Lungo tutto il “secolo dei consumi” fino ad oggi si è potuto assistere alla conversione in merce della qualsiasi cosa, comprese le nuove istanze e rivendicazioni, allo scopo di eliminare le lotte sociali dalle piazze e trasferirle sui mass media, incanalandole e inquadrandole in modo da renderle innocue e compatibili col sistema. Preso atto della capacità espansiva del mondo dei consumi, viene da chiedersi: qual è la sua influenza nel XXI secolo e come plasma i rapporti fra generi e generazioni?
di Davide Costa
Il secolo scorso è stato definito da molti sociologi il “secolo dei consumi” in quanto, a seguito di una trasformazione del capitalismo, del boom economico e della mercificazione sempre più totale, “consumare” prodotti è diventato parte integrante della nostra vita quotidiana. Negli anni ’50 e ’60 l’attenzione dell’analisi della sociologia marxista infatti si spostò su questi aspetti: celebre è la teoria critica di esponenti della Scuola di Francoforte come Herbert Marcuse o Theodor Adorno che parlarono di industria culturale che, attraverso i media, creava quell’uomo a una dimensione standardizzato, imborghesito, incapace di elaborare una propria visione del mondo, ormai bombardato dalla concezione del pensiero unico e atto solo a “consumare”.
Queste forti visioni influenzarono un’intera generazione, quella del sessantotto e della Nuova Sinistra che attraverso una propria controcultura si oppose allo stato di cose vigente contro ogni forma di autoritarismo, fosse esso mediatico e culturale o dittatoriale. Sappiamo però che la grande capacità del mercato e del mondo dei consumi di assorbire e mercificare istanze e nuove culture attraverso un’interazione dialettica fra mass media e consumatori non è a senso unico ma si basa su un ciclo la cui fine è la creazione di un prodotto appetibile anche a chi è contro.
Non è un caso che i maggiori esponenti di quella che fu la Nuova Sinistra oggi, dopo il riflusso del movimento, siano finiti nei ranghi di Sinistra Ecologia Libertà a fare le fusa all’establishment.
Preso atto della capacità espansiva del mondo dei consumi, viene da chiedersi: qual è la sua influenza nel XXI secolo e come plasma i rapporti fra generi e generazioni?
Per quanto riguarda il rapporto fra i generi, la sua influenza risulta in realtà molto antica e risale alle origini stesse del capitalismo. Con l’ascesa della borghesia, l’abolizione del sistema chiuso dei ceti e l’affermazione del libero mercato, le leggi suntuarie che regolavano gli standard di vita di ogni ceto vennero meno. Si sviluppa una concezione edonistica della vita che si manifesta nella spettacolarizzazione delle vendite di beni (i grandi magazzini) e della cultura (il teatro come esperienza “estetica”) ma anche nella nuova concezione dell’amore e della sessualità sempre più slegata da fini procreativi. Tutto ciò però diveniva merce, qualcosa su cui lucrare.
Questa nuova visione del mondo cozzava con una concezione predominante sobria, paternalistica e tradizionale della borghesia rurale che vedeva in questi “eccessi” la degenerazione della parsimonia e della moderazione borghese. Come risolvere quindi questa contraddizione? Attraverso la divisione in generi.
La donna infatti divenne espressione della sfera dei consumi; in quanto considerata inferiore poteva incarnare quella frivolezza e quella superficialità propria dell’edonismo borghese di fine Ottocento sempre, però, atta a soddisfare i desideri dell’uomo-padrone. La donna regina-schiava della casa, andava nei grandi magazzini e diveniva essa stessa strumento di ostentazione di status dell’uomo attraverso un abbigliamento e un comportamento eccentrico e frivolo. Frequentatrice assidua, perciò, dei grandi magazzini che l’etnoantropologo Marc Augé definì nonluoghi - contrapposti ai luoghi antropologici in quanto, in questi spazi non identitari, milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione, mosse solo dallo scopo di consumare e costruire un’identità simbolica: simboli di una nuova era caratterizzata dalla precarietà, dalla provvisorietà e dall’individualismo atomistico.
L’uomo invece era espressione della sfera della produzione in quanto detentore del potere materiale ed economico; era portatore di quella sobrietà, parsimonia e moderazione della borghesia che produceva denaro e non si faceva abbagliare dagli sfarzi di un mondo che aveva creato.
Questa dicotomia discriminante e pregiudiziale si è protratta in varie forme fino ai giorni nostri per poi entrare in crisi con il dilagare delle rivendicazioni femministe.
Le donne prendendo atto della propria autocoscienza di sfruttate e discriminate ed essendo entrate nella sfera della produzione quando gli uomini erano impegnati in guerra, hanno cominciato a rivendicare nuovi spazi e diritti nella società. Stessa cosa dicasi per i soggetti che avevano vissuto nell’ombra della finzione dicotomica borghese, ovvero i soggetti “LGBTQI”.
Questo ha scatenato l’opposizione feroce dei custodi del “vecchio ordine” come la Chiesa e le frange conservatrici della borghesia. Ma il mondo del mercato e dei consumi è dinamico, non si scontra ma mercifica e assorbe tutto il reale.
La liberalizzazione della donna fu quindi portata avanti e ostentata da ampi settori della borghesia ma in chiave consumistica ovvero attraverso la mercificazione del corpo, come ricorda Marcuse in Eros e Civiltà. Una libertà, quindi, fittizia, sempre schiava dei desideri dell’uomo, portata avanti dal modello di donna sensuale e seducente dei mass media, come se la sua unica funzione e libertà fosse quella sessuale. Stessa cosa dicasi per il mondo LGBTQI: il mondo borghese si è travestito come tollerante e accogliente, parlando di “multiformità della famiglia” e concedendo formalmente diritti alle minoranze.
In pratica, la borghesia ha stroncato queste rivendicazioni colpendole silenziosamente alla radice ovvero slegando le rivendicazioni civili da quelle sociali. Le discriminazioni delle donne e dei soggetti LGBTQI non furono presentate come endemiche in un sistema fondato sullo sfruttamento e sulla disuguaglianza paternalistica, ma come “regressione culturale” di un passato ormai lontano. Oggi, in periodo di crisi economica, sappiamo benissimo che esisono disparità (anche di salario) e discriminazioni che vivono le donne e i soggetti LGBTQI proletari nel mondo del lavoro, ma i mass media sono grandi mistificatori della realtà. Tutto si compra, anche l’accettazione nel mondo borghese. Questo riporta la questione della commistione fra istanze civili e istanze sociali che i comunisti non possono più scindere, pena la perdita di senso delle nostre battaglie.
E le giovani generazioni? Si parla spesso di conflitto generazionale e di una trasformazione dei rapporti padri-figli. Il processo che ha investito la rivolta di genere ha però investito anche la rivolta generazionale. Il rifiuto della gerarchia familiare e della figura del pater familias è stata anch’essa istituzionalizzata e resa parte integrante di un fittizio mondo liberale attento a questi temi.
Questo è avvenuto attraverso la spettacolarizzazione della “cultura dell’eccesso” portata avanti da icone pop e rock eccentriche e “controcorrente”, che trasformavano la sofferenza di una generazione in fenomeno mediatico attraverso cui trarre profitto proprio da chi al modello di vita borghese si era opposto. Veniva quindi rappresentato un modello di vita volutamente antiborghese in senso stretto, a cui i “giovani ribelli” si potevano rifare pur sempre rimanendo all’interno del circuito del mercato e del consumo: comprando vestiti, dischi, macchine e tutto ciò era sponsorizzato da queste icone. Il conflitto è stato spento spostandolo dalle piazze alla TV.
Oggi noi giovani viviamo in una società atomizzata dove ci si esprime più attraverso il terreno socialmente arido e frammentato dei social network che delle autentiche relazioni sociali, una società che produce e vende identità preconfezionate e innocue che si è costretti a far proprie per non andare incontro all’esclusione sociale.
È questa la nuova frontiera del governo del sociale del capitalismo informatico, delineata dal sociologo Adam Arvidsson: un capitalismo consumistico e digitale che non solo cerca di orientare le nostre scelte ma addirittura crea mondi in cui noi viviamo.
In questo contesto la battaglia gramsciana contro l’egemonia culturale diviene più fondamentale che mai e noi comunisti abbiamo il compito-dovere di conoscere questo “nuovo mondo” per combatterlo con i suoi stessi mezzi e per approdare all’emancipazione sociale, economica e civile autentica nel socialismo.