Il processo nella fase delle indagini preliminari: moderna inquisizione contro conflitto sociale

In un paese democratico e sviluppato industrialmente non si può ricorrere all’aperta repressione sanguinosa, servono metodi più soft, più autorevoli e difficili da criticare


Il processo nella fase delle indagini preliminari: moderna inquisizione contro conflitto sociale

Il processo penale e la giustizia penale hanno come perno la fase dibattimentale nel quale un Giudice (o più Giudici), terzo tra accusa e difesa svolge l'istruttoria, raccoglie le prove, interroga le parti e i testimoni e scrive la sentenza. È un sistema garantista.

Ma negli anni ‘70 il conflitto sociale in Italia raggiunse vette talmente radicali che la classe dominante, il sistema dei partiti dominanti e lo Stato presero misure sia terroristiche (le stragi) sia di stravolgimento della legalità per fermare quel grande movimento di trasformazione sociale che aveva esplicitamente nel suo orizzonte la costruzione graduale di una società comunista.

La repressione preventiva

Per quanto riguarda la repressione penale, cioè i processi, le classi dominanti rispolverarono un metodo di dominio fondato sull'inganno e sulla paura, tipico di un paese che è stato maestro dell'Inquisizione. In un paese democratico e sviluppato industrialmente come il nostro, dal '68 in poi non si poteva ricorrere all’aperta repressione sanguinosa da parte della polizia e delle forze armate come ad esempio avviene in Sudamerica. Occorrevano metodi più soft e più autorevoli e difficili da criticare.

Così si mise mano alla prima fase dei processi - le indagini preliminari - ampliando di fatto i poteri del Pubblico Ministero, trasformato in organo incontrollato della repressione del conflitto sociale. Con il “tocco” formale che la repressione gestita da magistrati “in toga” non poteva essere criticata come la repressione poliziesca o militare. Un retaggio della Santa (sic!) Inquisizione nella quale la repressione e la morte venivano comminate con l'autorità della “tonaca” in nome di Dio.

Tutte le cose più importanti del processo penale (arresti, interrogatori, sequestri, raccolta di elementi di prova, intercettazioni ecc.) le fa il Pubblico Ministero in gran parte senza la presenza dei difensori e senza le procedure garantiste di pari livello della fase dibattimentale successiva.

Per legge le prove si raccolgono davanti a un Giudice terzo e in presenza dei difensori nella fase dibattimentale. Durante le indagini, invece, il PM non può raccogliere prove ma solo “elementi di prova” da sottoporre poi al Giudice e ai difensori nella fase successiva. Ma di fatto è lui che imposta il vero processo, facendo o omettendo di fare.

L'arbitrio del PM infatti si manifesta sia se opera in maniera persecutoria sia se omette di operare, salvando così gli indagati ‘eccellenti’ , cioè i capitalisti e gli uomini di potere. A Roma, ad esempio, è stato dato osservare che l'input al liberismo capitalistico è stato fornito da omissioni di atti d'ufficio e addirittura dall'inquinamento delle prove già raccolte dalla polizia giudiziaria per responsabilità di organi della magistratura inquirente. Insomma l'imprenditoria come ‘fauna economica protetta’ anche se commetteva reati. “Guarda tu dove va a ficcarsi il diritto”, commenterebbe Manzoni.

La ratio della riforma: reprimere il conflitto

Così, se non si fa giustizia, cionondimeno si fa repressione dei movimenti di lotta. Una repressione illegittima perché solo il Giudice può farla, avallata però dall'autorità della toga del PM, giudice apparente in quanto magistrato anche lui. Nella inquisizione dei secoli bui, i crimini dello Stato avvenivano con l’autorità della tonaca, nell’Italia moderna la lotta di classe viene repressa con l’autorità della toga, come già detto. Questo il trucco ideologico degno di un baro del potere nell'Italia contemporanea. Ognuno vede che qui è all'opera una esperienza inquisitoria di oltre mille anni.

Nei fatti le fucilazioni nelle piazze sono escluse ma si trasformano in arresti, carcere e quant'altro con l'autorità della toga della magistratura inquirente.

Si badi che questo sistema vige almeno dal processo 7 Aprile 1979, data simbolica di inizio della resa dei conti tra capitale e operai alla fine degli anni ‘70, ed è stato formalizzato dieci anni dopo, con l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale [1]. Recentemente stava emergendo un punto di vista autocritico da parte delle Procure della Repubblica ma poi i decreti sicurezza di Salvini hanno peggiorato la situazione, aumentando finanche i poteri repressivi della polizia nella fase delle indagini. Una novità all'insegna dello Stato di polizia, brutto sintomo di una ulteriore involuzione dello Stato di diritto.

Le anticipazioni di Marx ed Engels

Il pensiero di Marx e di Engels ci viene incontro. La critica del diritto e dello Stato borghesi è un caposaldo delle loro concezioni e Lenin ne tiene debito conto. Nel discorso sulla legalità è straordinaria, ad esempio, l'Introduzione di Engels alla “Lotta di classe in Francia” di Marx, scritta nel 1895 poco prima di morire. Engels anticipa di molto la moderna teoria dello Stato d'eccezione e la corrobora di osservazioni storiche e politiche di grande lucidità.

Engels osserva come a un certo punto del percorso storico la classe dominante avverte come un impaccio l'ordinamento giuridico da lei stessa creato, “la légalité nous tue” (la legalità ci uccide) grida lo statista borghese Odilon Barrot, e se ne sbarazza.

Al tempo stesso i comunisti, gli operai, si appropriano di questa legalità violata e ne fanno un'arma di lotta. Almeno fino a quando la situazione non precipita in un colpo di Stato, in una guerra civile: allora anche i sovversivi sono autorizzati a violare le leggi borghesi e a passare alla guerra civile armi in pugno.

Conclusioni

La Storia dell’Italia contemporanea è continuamente attraversata da questo passaggio della borghesia capitalistica all'illegalità, ,al tentativo di stravolgere la Costituzione, al terrorismo di Stato, al ripristino del fascismo e del razzismo. Fin quando sarà possibile allora, le classi subordinate devono fare della legalità costituzionale un'arma. Legalità costituzionale e non “valore della legalità” però, perché una legge è valida se è conforme alla Costituzione.

Il processo penale, in particolare, deve rimanere saldo sul terreno del garantismo, dell'art. 27 della Costituzione - il cui impianto filosofico sulla pena come redenzione e quindi speranza di riabilitazione sociale riecheggia il Socrate del dialogo ‘Gorgia’ di Platone [2].

Ma la battaglia politico-giuridica deve vertere soprattutto a una riforma profonda dell'impianto politico-inquisitorio del processo nella fase delle indagini preliminari divenuto strumento astuto per reprimere arbitrariamente il conflitto sociale o semplicemente per implementare lo Stato di polizia. Parliamo di Giustizia e quindi dobbiamo parlare di accertamento della Verità su base oggettiva, di Stato costituzionale di diritto, di diritti.

No al PM-sceriffo del conflitto sociale! No allo Stato di polizia! Sì al giusto processo!


Note:

[1] I PM hanno interpretato il nuovo codice in chiave inquisitoria e di incentivazione del potere dell'accusa. Ci furono molte proteste da parte dell'avvocatura, che culminarono in un congresso straordinario. Si parlò del '68 dell’avvocatura, ma da una parte la convergenza di alti papaveri dell'avvocatura (Camera Penale e Consiglio dell'Ordine) e delle Procure (che combatterono l'isolamento cui gran parte dell'avvocatura le aveva ridotte conferendo poteri di rappresentanza al direttivo della Camera Penale, che aveva tutto l'interesse di bottega a non presentare denunce contro il c.d. “porto delle nebbie”) dall'altra una sentenza della Corte Costituzionale a favore dei PM stabilizzarono il potere della magistratura inquirente. Se si pensa che i mass media agivano di concerto con le Procure è chiaro che la magistratura inquirente aveva (e ha tutt’ora) un potere abnorme. Ma la ratio di questo potere fu ed è che la repressione contro i movimenti sociali aveva ed ha le mani libere nella fase delle indagini.

[2] Anni fa in relazione all'art. 27 della Costituzione si è sviluppato un dibattito tra avvocati e magistrati di cultura sessantottina critici del diritto e dello Stato ma anche semplicemente di cultura democratico-costituzionale sulla funzione della pena. Il riferimento al Socrate del Dialogo 'Gorgia' di Platone è sembrato il più pertinente. Socrate dice che come per le malattie del corpo si va dal medico, così per le malattie dell'anima - malvagità, tirannide, stoltezza, ecc. - bisogna accorrere dal Giudice e accettare la pena, tramite la quale l'anima torna limpida. Una morale ben più profonda di quella cattolica: io non uccido, non rubo, perché altrimenti mi diminuisco come uomo degno, non perché ho paura di… andare all'inferno! Corollario di ciò è sembrata la critica ai teoremi indimostrati dei PM in nome del rigoroso accertamento della verità dei fatti, cosa peraltro oggi più facile grazie alle moderne tecnologie. La Verità, dunque, come ancella di Giustizia. Purtroppo oggi il nostro sistema giudiziario è sotto attacco da parte della Lega e dei poteri forti, che non vogliono una Giustizia vera, ma una  Giustizia leghista, succube di chi comanda e ha più soldi e influenzata dai mass media e social salviniani. Il disegno è tanto malvagio quanto folle, affetto innanzitutto di ignoranza storica e giuridica, ma bisogna lottare per smantellarlo.

24/11/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Pasquale Vilardo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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