Care compagne e cari compagni, sono onorato e felice di essere qui con voi, oggi, per celebrare il bicentenario di Marx. Mi piace pensare che festeggiamo il duecentesimo compleanno del “fantolino che vagisce in culla” come dice Gramsci.
Karl Marx è l’uomo che con la sua vita interamente dedicata al lavoro pratico di militante e all’elaborazione faticosa del pensiero teorico ha dato inizio a una nuova epoca del pensiero e della storia dell’umanità. L’epoca in cui viviamo e nella quale in particolare noi comunisti agiamo con una consapevolezza che solo Marx ha iniziato a darci: la consapevolezza che la realtà sociale non è l’eterna ripetizione di oggettive differenze naturali ma è invece sottoposta a leggi storiche tendenziali, ossia leggi non meramente soggettive - psicologiche, culturali, spirituali - bensì oggettive: strutturali, materiali ed economiche, in una parola: politiche.
Per ricordare Karl Marx in Italia, oggi, non c’è forse nessuno meglio di Antonio Gramsci, in un articolo celebrativo di cent’anni fa [1]: “Con Marx (...) le idee, lo spirito, si sustanziano, perdono la loro arbitrarietà, non sono piú fittizie astrazioni religiose o sociologiche. La sostanza loro è nell'economia, nell'attività pratica, nei sistemi e nei rapporti di produzione e di scambio”.
Marx ci ha insegnato che la realtà così come ci appare nella sua totalizzante dimensione sociale è politica, ossia effetto dell’azione conflittuale di soggetti storicamente determinati, sempre coinvolti in un divenire fondato sulle differenze date, innanzitutto e per lo più quelle di classe. Marx ci ha insegnato che il “dato” storico è oggettivo ma può essere superato.
“Marx non ha scritto una dottrinetta, non è un messia che abbia lasciato una filza di parabole gravide di imperativi categorici, di norme indiscutibili, assolute, fuori delle categorie di tempo e di spazio. Unico imperativo categorico, unica norma: Proletari di tutto il mondo unitevi”. Il dovere dell'organizzazione, la propaganda del dovere di organizzarsi e associarsi, dovrebbe dunque essere discriminante tra marxisti e non marxisti. Troppo poco e troppo: chi non sarebbe marxista?”
E infatti negli ultimi anni abbiamo assistito a un tentativo da parte degli avversari di Marx di annettersi segmenti separati del suo pensiero: tentativo disgustoso e divertente allo stesso tempo! Come se si potesse frammentare l’opera del grande allievo di Hegel che ha fatto della dialettica della totalità la sua norma di indagine scientifica!
Di fronte all’evidente fallimento del loro progetto politico su scala mondiale, i liberali di tutti i paesi hanno iniziato a dire: Marx aveva ragione! [2].
Salvo poi tentare di distinguere un “buon Marx”, ossia quello che ha studiato la dinamica dialettica del dispositivo del capitale e della (sua) globalizzazione, da un “cattivo Marx” (quasi un “Marx cattivo”), ossia quello che ha osato incitare i proletari di tutti i paesi a unirsi per lottare contro il capitale e la borghesia!
“Marx è stato grande, la sua azione è stata feconda, non perché abbia inventato dal nulla, non perché abbia estratto dalla sua fantasia una visione originale della storia, ma, perché il frammentario, l'incompiuto, l'immaturo è in lui diventato maturità, sistema, consapevolezza”.
Maturità del materialismo, che con Marx ambisce a diventare sistema dialettico della verità scientifica, ossia consapevolezza del soggetto umano nella sua figura più pura ed essenziale, quella che patisce la maggiore negatività: i proletari sottoposti al comando dello sfruttamento capitalista.
“...egli non è solo uno studioso, è un uomo d'azione; è grande e fecondo nell'azione come nel pensiero, i suoi libri hanno trasformato il mondo, cosí come hanno trasformato il pensiero”.
Marx ci ha insegnato che il pensiero teorico, a condizione di essere materialista e dialettico (ossia diretto alla totalità della verità), è una forma di azione e che l’azione politica rivoluzionaria può essere organizzata dal pensiero razionale. (Un punto, questo, sviluppato in modo compiuto da Lenin).
Marx ha voluto fare della filosofia un’attività di trasformazione del mondo (Tesi su Feuerbach, XI).
Certi avversari di Marx possono argomentare che anche il capitalismo trasforma il mondo, cosa ben riconosciuta da Marx (anche se farne un elogiatore del capitalismo è una mistificazione giustificabile solo da un’avversione politica fondata sulla menzogna liberale: tuttavia Marx vuole la trasformazione rivoluzionaria del mondo (di tutti i paesi: aller länder) attraverso il comunismo.
E il comunismo è il movimento storicamente effettivo (die wirkliche Bewegung) che supera dialetticamente (aufhebt) lo stato presente delle cose (den jetzigen Zustand).
La trasformazione marxiana del mondo non è una tra le tante possibili, ma - in analogia con la hegeliana “fine della storia” nella quale culmina la storia dello Spirito Assoluto - l’ultima trasformazione qualitativa di classe, la fine delle classi e della lotta di classe e l’inizio di un indefinito accumulo di progresso umano. Fino alla fine del mondo.
Marx ci ha insegnato che la rivoluzione passa per la costruzione (della consapevolezza) del soggetto rivoluzionario:
“La sistemazione della reale causalità storica acquista valore di rivelazione per (...) lo sterminato gregge senza pastore. Il gregge acquista consapevolezza di sé, del compito che attualmente deve svolgere perché l'altra classe si affermi, acquista coscienza che i suoi fini individuali rimarranno puro arbitrio, pura parola, velleità vuota ed enfatica finché non avrà gli strumenti, finché velleità non sarà diventata volontà. (...) Volontà, marxisticamente, significa consapevolezza del fine, (...) nozione esatta della propria potenza e dei mezzi per esprimerla nell'azione. (...) distinzione, individuazione della classe, vita politica indipendente da quella dell'altra classe, organizzazione compatta e disciplinata ai fini propri specifici, senza deviazioni e tentennamenti”.
L’insegnamento marxiano è che la differenza di classe è radicale, qualitativa, assoluta, logica (come ben sanno i capitalisti, ai quali la coscienza di classe non difetta di certo): un’idea difficile e faticosa per i proletari, che richiede la massima determinazione morale e logica da parte dei proletari e degli intellettuali comunisti, di cui Marx, insieme al suo amico Engels, è certamente l’ammirevole prototipo.
“Carlo Marx è per noi maestro di vita spirituale e morale (...). È lo stimolatore delle pigrizie mentali, è il risvegliatore delle energie buone che dormicchiano e devono destarsi per la buona battaglia. È un esempio di lavoro intenso e tenace per raggiungere la chiara onestà delle idee, la solida cultura necessaria per non parlare a vuoto, di astrattezze”.
Marx come esempio, dunque, e come elemento e fondamento del pensiero comunista.
“[Marx è] un vasto e sereno cervello pensante, è un momento individuale della ricerca affannosa secolare che l'umanità compie per acquistare coscienza del suo essere e del suo divenire, per cogliere il ritmo misterioso della storia e far dileguare il mistero, per essere piú forte nel pensare e operare. (...). Glorificando Carlo Marx nel centenario della sua nascita, il proletariato internazionale glorifica se stesso, la sua forza cosciente, il dinamismo della sua aggressività conquistatrice che va scalzando il dominio del privilegio, [e si prepara alla lotta finale che coronerà tutti gli sforzi e tutti i sacrifizi.]”
Glorificando Marx nel suo bicentenario, siamo meno ottimisti di Gramsci rispetto alla prospettiva della lotta finale?
Quello che è certo è che nel celebrare Marx ricordiamo una volta di più a noi stessi e a tutti i compagni che per scalzare “il dominio del privilegio” noi dobbiamo partire dalla nostra forza cosciente per organizzarci come comunisti.
Note:
[1] Non firmato, Il Grido del Popolo, 4 maggio 1918.
[2] The Economist, Second time, farce. Rulers of the world: read Karl Marx!, 3/05/2018.