Scienza della logica II parte

Proseguiamo nell’esposizione dei momenti fondamentali della Scienza della logica di Hegel


Scienza della logica II parte Credits: https://www.fatamorganaweb.unical.it/index.php/2018/02/19/lestetica-di-hegel-biblioteca-cousin/

Link al video della prima lezione sulla Scienza della logica tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci

Segue da “Scienza della logica

Il qualcosa e l’altro

L’essere determinato, ovvero l’esserci (in tedesco Dasein termine composto dal verbo essere [sein] e dalla proposizione qui [da] che lo determina) ha in sé la propria negazione, ovvero il proprio limite il da, ossia il ci (dell’esser-ci) che lo contrappone al proprio altro, al contrario delle categorie intellettualistiche dell’opinione (essere e nulla) che trovavano la propria negazione sempre nel proprio opposto, in cui finivano così per trapassare in un perpetuo divenire. In altri termini l’essere determinato è qualcosa – è dotato, a differenza delle precedenti astrazioni dell’intelletto, di esistenza – ma proprio in quanto tale rinvia al proprio altro, secondo la logica dialettica dei contrari. L’essere determinato in quanto tale non è più indefinito come l’essere o il nulla, ma è finito e, in quanto tale, mutevole, non necessario e non causa di se stesso (causa sui). Volendo ricorrere a un esempio semplice e immediato l’essere determinato di una matita non ha in sé la propria ragion d’essere, è effetto dell’albero da cui è stata tratta e non rimarrà identica a sé, né continuerà necessariamente a esistere, ma essendo qualcosa di accidentale attraverso l’uso che se ne fa sarà ridotta ben presto a dei trucioli, che saranno spazzati via. Per poi divenire altro ancora mediante la raccolta differenziata dei rifiuti e i successivi trattamenti che riceverà.

Il finito e l’infinito

Il finito, perciò, è qualcosa non di reale come crede, opina il senso comune – privo della conoscenza filosofica – ma è qualcosa di ideale, è un momento, un’astrazione di un processo infinito. L’infinito, di cui è momento, non può essere contrapposto come opina l’intelletto che ha il difetto di pensare sempre astrattamente – al finito, se non vuol divenire un altro finito. L’infinito, in quanto tale, deve ricomprendere tutto in sé. Se qualcosa restasse fuori e gli si contrapporrebbe, come un qualcosa di finito, lo limiterebbe e lo ridurrebbe a un altro finito. Al contrario, dunque, Il vero infinito ricomprende sempre necessariamente in sé il finito. Come fa in modo esemplare – se non si vuol cadere nella consueta astrazione dell’intelletto del cattivo infinito, ovvero un infinito per definizione irraggiungibile – l’essere per sé, ovvero la coscienza che trasforma l’oggetto che percepisce mediante le proprie strutture mentali, ricomprendendolo al proprio interno, facendolo proprio nella memoria, per poi appropriarsene antropizzandolo mediante il proprio lavoro.

La quantità e il cattivo infinito

La seconda parte della dottrina dell’essere è dedicata alla categoria della quantità, corrispondente all’astrazione tipica del procedimento scientifico (dalla fondazione della scienza [matematica] dei pitagorici, alla rivoluzione scientifica di Galilei che fonda la fisica moderna) dalle diverse qualità delle cose, dalle differenze qualitative, per cogliere unicamente l’aspetto quantitativo della realtà, che può essere calcolato scientificamente mediante la matematica. Hegel riconduce l’antinomia kantiana della divisibilità o indivisibilità di spazio, tempo e materia alla contrapposizione tra grandezze continue e discrete, che si supera dialetticamente nella quantità determinata espressa dal numero in cui discreto e continuo sono mediati dialetticamente, divenendone momenti. Il discreto è il numero estensivo quale pluralità di unità, il continuo è il numero intensivo, come il tutto che unifica la pluralità. In questo secondo momento della dottrina dell’essere, Hegel critica in particolare l’infinità quantitativa, ovvero l’infinito inteso matematicamente come una quantità immensa, in quanto comporta un progresso all’infinito, ovvero una cattiva infinità, come il dover essere caratteristico dell’idealismo soggettivo di Fichte, che mira invano – con una fatica degna di Sisifo – a togliere il non-Io, che sempre, sebbene in forme nuove, gli si ripresenta davanti.

La misura e il suo limite

Dopo aver analizzato le varie forme in cui si articola il rapporto quantitativo Hegel passa alla terza parte della dottrina dell’essere dedicata alla misura intesa quale sintesi fra il primo momento qualitativo e il secondo quantitativo di comprensione scientifica della realtà; in quanto la misura consiste proprio nella determinazione della quantità delle qualità. Nella misura, quale rapporto, la quantità e la qualità si corrispondono, ovvero sono fra loro in una precisa relazione: così una determinata specie animale ha 4 e non 6 zampe. Inoltre un mutamento quantitativo, apparentemente trascurabile, finisce per produrre necessariamente un profondo mutamento qualitativo, ad esempio l’aumento della temperatura oltre i 100 gradi fa passare l’acqua dallo stato liquido allo stato gassoso.

Il passaggio alla dottrina dell’essenza

Tuttavia la misura è una relazione in cui quantità e qualità restano ancora esterne l’una all’altra, non sono in quanto tali in questo rapporto fra loro, come lo saranno le categorie proprie della dottrina dell’essenza.

LA DOTTRINA DELL’ESSENZA

Link al video della lezione sulla dottrina dell’essenza tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci

Oggetto della dottrina dell’essenza non è più l’essere nella sua immediatezza ma il suo fondamento, la sua ragione d’essere, ossia l’essenza. Tale dottrina è caratterizzata dalla mediazione o riflessione, ovvero ogni categoria esprime in quanto tale il proprio necessario rapporto con un’altra, un rapporto non più esteriore, in quanto le due categoria divengono momenti diversi di una medesima effettualità, come se fossero, due facce di una stessa medaglia.

Partizione della dottrina dell’essenza

La dottrina dell’essenza si suddivide in tre sezioni principali: l’essenza come riflessione in se stessa (ovvero come ragion dìessere dell’esistenza), il fenomeno (quale necessario manifestarsi dell’essenza), la realtà effettiva (quale realizzata unità di essenza e fenomeno).

Prima sezione: l’essenza come riflessione in se stessa

L’essere ha superato se stesso quando ha cominciato a riflettere su di sé e a scorgere le relazioni che lo legano e lo distinguono dall’altro da sé. Così l’essere diviene l’essenza che, riconoscendosi eguale a sé e diversa dalle altre, conosce la propria ragion d’essere e, così, diviene esistenza.

La critica hegeliana ai tre principi della logica classica della tradizione aristotelica

Nella prima sezione della dottrina dell’essenza, Hegel discute criticamente i tre princìpi della logica classica: il principio di identità, di non contraddizione e il terzo escluso, ovvero un due proposizioni opposte debbono essere necessariamente una vera e l’altra falsa. L’identità con sé è il primo attributo dell’essenza, ma secondo Hegel non ci si può limitare alla mera tautologia di A = A posta dal principio di identità. L’identità dal punto di vista della ragione presuppone sempre il proprio opposto, ovvero la distinzione, che è o differenza – per cui ogni cosa è uguale a sé stessa solo in quanto è in grado di differenziarsi da tutte le altre – o opposizione (il buono non potrebbe esistere se non ci fosse il cattivo, il bello sena il brutto), o contraddizione. Inoltre, secondo Hegel, non esistono cose tanto unilaterali da essere il semplice opposto di altre e ciò mostra l’unilateralità intellettualistica del principio del terzo escluso. Si tratta in tutti e tre i casi di astrazioni intellettualistiche che non sono in grado, da sole, di dar conto della realtà nella sua complessità.

Il finito e la contraddizione

L’intelletto, con il suo spirito analitico, volto a fissare tutti i differenti aspetti della realtà, non può che temere la contraddizione, non è in grado di farsene carico in quanto gli spariglia le sue partizioni, che però non sono reali, ma astrazioni. In effetti ogni cosa, nella realtà, è comunque sempre opposta e contraddittoria in sé stessa, ogni cosa è, in effetti, unità di molteplici elementi diversi e ha in sé il germe della propria morte, del proprio passare nell’altro, nel proprio opposto. Anzi, ogni cosa finita non può che, fa notare Hegel, soccombere alla propria contraddizione, ovvero morire e trapassare nell’altro da sé (così come l’uomo non può che trapassare nel verme, il seme nella pianta etc.). Ciò mostra che il finito non ha in sé la propria ragione d’essere, la propria essenza, il proprio fondamento. Ogni finito è un effetto che ha una causa a sé esterna, ogni bambino è l’effetto dell’accoppiamento di due genitori. Perciò il pensiero deve, sottolinea Hegel, essere in grado di sopportare la contraddizione, se vuole intendere al realtà in tutta la sua complessità. A tale scopo è essenziale la ragione che è in grado di andare al di là della logica astratta e formale cui si arresta l’intelletto, nel suo pensare astrattamente, ovvero separando artatamente gli opposti e ponendoli ognuno per sé. Mentre la ragione è in grado di comprendere la totalità del reale e delle sue differenze interne, sotto certi aspetti necessariamente contraddittorie.

Seconda sezione: il fenomeno

Dal fondamento, dall’essenza scaturisce l’esistenza, che è dapprima un semplice e immediato esistente, ma, considerandolo meglio, diviene un fenomeno, ovvero non è mera parvenza, ma la manifestazione adeguata e piena di essenza del proprio fondamento, divenendo finalmente la realtà effettiva, in tutta la sua concretezza. Perciò Hegel critica la distinzione e contrapposizione intellettualistica, ancora presente nella filosofia critica della riflessione, fra il fenomeno e la legge, fra l’apparenza e la cosa in sé, etc. Allo stesso modo Hegel mostra i limiti di tre tipologie di rapporto connesse a tali distinzioni intellettualistiche: tutto e parti; forza ed estrinsecazioni; esterno e interno. Si tratta di uno schematico dualismo che scinde in due ciò che nella realtà è sempre unito. La realtà effettiva, in atto, è data propria dal nesso che lega indissolubilmente essenza ed esistenza, le parti al loro tutto, la forza con il suo necessario estrinsecarsi, l’esterno come manifestazione dell’interno.

Terza sezione: la realtà effettiva

La Wirklichkeit, la realtà effettiva, è la conseguita totalità di tutto e parti, di interno ed esterno, di essenza e fenomeno. La realtà effettiva non è solo possibile o contingente, ma necessaria e, perciò, razionale. Comprendere la razionalità del reale significa comprendere come si articola al proprio interno e si viene sviluppando. A tale scopo sono insufficienti i concetti dualistici di sostanza e accidenti, causa ed effetto. In realtà, infatti, ogni causa è a sua volta un effetto di un’altra causa e così via all’infinito. Come l’effetto è la causa di un altro effetto e così via nella direzione di una cattiva infinità. Per spezzare tale catena infinita, tale cattiva infinità ci vuole la relazione di azione reciproca, in cui ogni membro del rapporto è tanto causa quanto effetto, come nel celebre chi viene prima? L’uovo o la gallina?. Tuttavia, anche in quest’ultimo caso, permane un residuo di dualismo fra i due momenti, nel nostro esempio l’uovo e la gallina per quanto siano il prodotto di un’azione reciproca restano differenti.

29/03/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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