Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare A. Gramsci su argomenti analoghi
Segue da: “Bloch e Sartre”
Angoscia e responsabilità
Dal punto di vista esistenzialistico del giovane Jean-Paul Sartre, l’essere umano è condannato alla libertà, avendo davanti a sé – dopo la morte di dio – il nulla, l’indeterminatezza delle sue azioni possibili. La libertà implica due strutture dell’esistenza: l’angoscia e la responsabilità. L’uomo, come scrive Sartre, “essendo condannato a essere libero, porta il peso del mondo intero sulle spalle”. L’uomo dovrà, dunque, affrontare di volta in volta la dialettica fra la libertà che lo sospinge al superamento del suo limite strutturale e la situazione che lo circonda e lo condiziona. Dinanzi a tale responsabilità scattano i tentativi di fuga, che portano l’uomo per sottrarsi a ciò che è, ad assumere ruoli, come nella coscienza soddisfatta del borghese, per esorcizzare con un sistema di valori istituzionalizzati l’angoscia della libertà-responsabilità.
Risulta inevitabile lo scontro delle libertà e la guerra dei significati
Questa libertà fa sì che l’individuo risulti in uno stato di endemico e permanente di conflitto con gli altri: nello stesso momento in cui “pietrifico” l’altro mediante i miei significati, la stessa operazione la compie l’altro nei miei confronti. Risulta inevitabile lo scontro delle libertà e la guerra dei significati: “l’inferno sono gli altri” sentenzia uno dei personaggi di A porte chiuse, intendendo dire che il conflitto con gli altri risulta un dato strutturale della condizione umana.
Gli scopi e i fini nascono solo con l’uomo, che dà senso a ciò che non ha senso
Nella condizione umana, per Sartre, vi è qualcosa di paradossale: pur essendo libero di fronte al mondo, ovvero pur scegliendo il senso del proprio essere, l’individuo non sceglie il suo essere stesso, ossia il fatto di essere gettato nel mondo ed esistere come libertà. In altri termini il fatto di essere nel mondo, per l’uomo come per tutti gli altri enti, è qualcosa di assurdo, che non ha spiegazioni al di là del fatto di esistere: gli scopi e i fini sorgono unicamente con l’uomo, che dà senso a ciò che in sé non ha senso.
Nel suo sforzo di farsi dio l’uomo è destinato allo scacco da qui la nausea
Da qui lo scacco cui è destinata la vita umana, incapace secondo il giovane Sartre di attingere soddisfazione e completezza, dinanzi alla constatazione dell’assurdità dello stesso esistere. Quest’ultimo era stato il tema della raccolta di racconti il Muro (1939) e dell’importante romanzo di Sartre La nausea (1938), il cui protagonista, un giovane intellettuale, sperimenta l’insensatezza dell’esistere, dal momento che tutto ciò che esiste è contingente, secondo un tema tipicamente romantico. “Ogni esistente – osserva a tal proposito Sartre – nasce senza ragione, si protrae per debolezza e muore per combinazione”. Tale contingenza non si può superare inventandosi un essere necessario, che sia causa sui, che spieghi e dia senso all’esistenza. La coscienza è considerata, da Sartre, il nulla che sussiste solo come coscienza di qualcosa. Tuttavia l’uomo cerca invano la fusione del proprio essere per-sé e dell’in-sé, di coscienza e mondo, fusione che è propria soltanto dell’ens causa sui, ovvero di dio che, però, è morto. Da ciò scaturisce il progetto dell’uomo di essere dio, ovvero ragione d’essere e fondamento di se medesimo, ma questo è impossibile: la coscienza può sorgere solo dopo l’essere, osserva Sartre, come nulla dell’essere stesso, non quale fondamento dell’essere. Nel suo sforzo di farsi dio l’uomo è destinato allo scacco ed è presentato da Sartre, nella sua più importante opera filosofica giovanile: Essere e nulla, come una sorta di dio mancato. La nausea è, dunque, lo stato d’animo che invade il protagonista dell’omonimo romanzo dinanzi all’assurdità dell’esistente e alla mancanza di terreno solido su cui poggiare.
3. L’esistenzialismo è un umanismo
L’opera che per prima fa conoscere Sartre al grande pubblico nazionale e internazionale è la conferenza-saggio L’esistenzialismo è un umanesimo del 1946. Sono passati appena tre anni dall’opera precedente, ma sono tre anni decisivi che hanno visto Sartre impegnato nella resistenza antinazista. Accentuando la connessione fra la propria filosofia e la critica della società borghese, Sartre cerca di reinterpretare in senso progressista l’esistenzialismo.
Occorre fare i conti con la propria responsabilità nei confronti della società e della storia
Sartre muove dalla sua concezione della libertà, dell’assenza di predeterminazione che contraddistingue la vita dell’uomo, in quanto l’esistenza precede l’essenza. Ciò obbliga l’uomo ad abbandonare ogni morale teologica o, comunque, eteronoma, ovvero non fondata sulla libertà del soggetto, e lo costringe a fare i conti con la propria responsabilità nei confronti della società e della storia. Tutto ciò porta al rifiuto di ogni forma di quietismo e comporta la spinta dell’uomo all’azione. Nell’azione occorre, tuttavia, fare i conti con la concretezza della storia, avendo però di mira l’emancipazione umana. Ciò fa sì che la giovanile concezione esistenzialista della libertà di Sartre, si sviluppi in una presa di posizione a favore della liberazione dell’umanità.
L’esistenzialismo è un umanismo versus il primato dell’ascolto dell’essere di Heidegger
Perciò per Sartre l’esistenzialismo è un umanismo, anche se non nel senso classico del termine, in quanto l’uomo non è qualche cosa di dato e definibile una volta per tutte, ma un essere che reinventa continuamente se stesso, trascendendo se stesso e la realtà che lo circonda. L’uomo, dunque, “non ha – afferma Sartre – altro legislatore che se stesso”, posizione che spinse Heidegger a una critica nettissima delle tesi di Sartre in Lettera sull’umanesimo, contrapponendo a tale concezione la propria tesi del primato dell’ascolto dell’essere.
“Les Temps modernes” e l’inedito incontro fra esistenzialismo e marxismo
Del resto la spaccatura insanabile tra i due pensatori ha radici anche politiche, dopo che Sartre ha aderito al Partito comunista. Testimonianza di questo nuovo impegno è la pubblicazione dal 1945 della rivista “Les Temps modernes”fondata insieme a Merleau-Ponty e altri intellettuali, che ha consentito a diffondere nella cultura anche extra-accademica, sino a divenire un fatto di costume, questo inedito incontro fra esistenzialismo e marxismo. Sartre in effetti, pur aderendo al marxismo, cerca di ricomprendere all’interno della nuova posizione diversi elementi portanti della sua filosofia giovanile: il nichilismo, il soggettivismo, la concezione esistenzialista della persona e della sua libertà. Tutto ciò rende il marxismo di Sartre decisamente eretico.
La necessità dell’impegno politico dell’intellettuale nei conflitti del proprio tempo
La Presentazione della rivista, scritta dallo stesso Sartre, ci offre una testimonianza significativa della sua concezione della necessità dell’impegno politico dell’intellettuale nei conflitti della propria epoca storica. All’illusione di chi ritiene che la produzione intellettuale debba rivolgersi all’eterno, Sartre risponde che all’assoluto si giunge agendo nel proprio tempo e nel proprio mondo storico. Compito dell’intellettuale è l’analisi critica delle ideologie dominanti con l’obiettivo di trasformare la società e l’uomo. Tali posizioni saranno sviluppate nel successivo saggio Che cos’è la letteratura? (1946), in cui definisce la sua estetica dell’impegno, e in due importanti drammi teatrali filosofici: Le mani sporche (1948) e il Diavolo e il buon Dio (1951).
Emblema dell’intellettuale engagé, Sartre attraverso “Liberation” denunzia colonialismo e imperialismo
Gli anni del secondo dopoguerra sono gli anni della massima diffusione del pensiero di Sartre, anche grazie al successo delle sue opere letterarie e teatrali. Sartre diviene l’emblema dell’intellettuale engagé e con un gruppo di intellettuali a lui legati, anche grazie al successo del quotidiano da lui fondato “Liberation”, influenza il dibattito politico prendendo posizione contro colonialismo e imperialismo, in primo luogo francese, sostenendo in particolare la lotta di liberazione algerina e vietnamita.
4. Il marxismo di Sartre
All’impegno politico di Sartre è strettamente connesso il suo confronto con il marxismo. Negli anni cinquanta Sartre cerca di allinearsi alle posizioni filo-sovietiche del Pcf, rifacendosi a una concezione ortodossa del marxismo-leninismo. Solo dopo la destalinizzazione in Urss e anche per le posizioni troppo morbide del Pcf nel sostegno alle lotte anticoloniali, il comunismo di Sartre si sviluppa su posizioni terzomondiste, guevariste e maoiste, che porteranno Sartre a una posizione fortemente critica dell’Urss e dello stesso Pcf. Al contrario tali posizioni lo avvicinano ai movimenti giovanili del ‘68 e, infine, alla sinistra extra-parlamentare, di cui diviene un importante punto di riferimento teorico.
Il marxismo come dogmatica dottrina di Stato versus il pensiero critico-rivoluzionario di Marx
In questi anni Sartre si impegna in uno sviluppo autonomo del marxismo, cercando di sintetizzarlo con le giovanili riflessioni filosofiche esistenzialiste in opere come Questioni di metodo (1957) e Critica della ragione dialettica, pubblicata nel1960, ma rimasta incompleta. Nella prima Sartre sostiene che il marxismo è la “filosofia del nostro tempo”, a patto che si distingua nettamente fra il marxismo divenuto una dogmatica dottrina di Stato in Urss e il pensiero critico-rivoluzionario di Marx. Il marxismo sovietico avrebbe, con il passare degli anni, perso di vista il decisivo nesso fra teoria e prassi stabilito da Marx, per ricercare presunte leggi della storia che non lasciano spazio all’individuo. Inoltre il marxismo ortodosso si sarebbe dimostrato chiuso alle suggestioni della psicanalisi e della sociologia che, al contrario per Sartre, sono decisive per uno sviluppo ulteriore del marxismo.
L’innesto nel marxismo dell’esistenzialismo per superare il determinismo economico
Perciò Sartre ritiene indispensabile un innesto nel marxismo dell’esistenzialismo, che pone l’accento sulla libertà dell’uomo e nega il determinismo economico. In tal modo è possibile fare i conti produttivamente con il pensiero di Marx, lasciando da parte le filosofie della storia e il dogmatismo del marxismo ortodosso.
Critica della ragione dialettica quale “logica vivente dell’azione” e non legge della storia
In Critica della ragione dialettica Sartre intende ripensare il concetto di dialettica per farne la “logica vivente dell’azione” e non una legge della storia. Sartre intende costruire una teoria della società che tenga conto al contempo della libertà dell’uomo e dell’oggettività dei condizionamenti storico-sociali. Il procedimento dialettico permette di riprodurre la continua interazione fra individuo e libertà da una parte e società, necessità, condizionatezza storica e materiale dall’altra. Al centro della nuova concezione elaborata da Sartre c’è la condizionatezza storica dell’individuo, sulla base della concezione materialista della storia. D’altra parte l’uomo, fa notare Sartre, “si definisce in base al suo progetto. Questo essere materiale supera di continuo la condizione che trova già fatta; svela e determina la propria situazione trascendendola per oggettivarsi con il lavoro, l’azione e il gesto. Questa relazione immediata con l’altro da sé, questa perenne produzione di se stessi con il lavoro è la praxis, è la nostra peculiare struttura”. La Critica della ragione dialettica rappresenta, dunque, il più organico tentativo di integrare esistenzialismo e marxismo, tentativo che ha influenzato un’intera generazione di intellettuali francesi ed europei.