La Corte di giustizia e la Corte penale internazionali nella crisi di Gaza

La Corte di giustizia e la Corte penale internazionali sono intervenute nella crisi di Gaza, ma tale azione rischia di rimanere solo una “voce nel deserto”, senza giungere ad una soluzione concreta della vicenda. Vedremo qui chi sono e come operano questi due giudici internazionali.


La Corte di giustizia e la Corte penale internazionali nella crisi di Gaza

Com’è ormai noto a tutti, all’indomani dell’attacco jihadista palestinese nel Sud di Israele del 7 ottobre 2023 e della dura reazione militare israeliana contro la popolazione palestinese di Gaza la Corte penale internazionale (CPI) ha aperto un’indagine penale sui capi di Hamas e sui vertici del governo israeliano, mentre il Sudafrica ha accusato quest’ultimo Governo di genocidio nei confronti dei palestinesi davanti la Corte internazionale di giustizia (CIG). A gennaio, nella sua prima udienza, la CIG ha ordinato a Israele di fare il possibile per prevenire atti di genocidio e consentire l’arrivo degli aiuti umanitari a Gaza, senza però ordinare il cessate il fuoco. Successivamente, il 24 maggio, la stessa Corte è intervenuta di nuovo ordinando al Governo israeliano di porre fine alla sua offensiva militare “e a qualsiasi altra azione nel governatorato di Rafah che metta a rischio la sopravvivenza degli abitanti palestinesi”. Il 20 maggio poi il procuratore della Corte penale internazionale ha accusato di crimini di guerra e contro l’umanità i tre capi di Hamas (Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Ismail Haniyeh), il primo ministro israeliano (Benjamin Netanyahu) e il suo ministro della difesa (Yoav Gallant), chiedendo alla Sezione preliminare della stessa Corte di emettere contro di loro mandati di arresto internazionali. Questo in estrema sintesi quanto è finora accaduto intorno all’affaire Israele-Hamas nel campo del diritto internazionale. Non è però questo il luogo per commentare, criticare o esaminare in maniera più o meno approfondita tali decisioni o le vicende legate ad esse, perché l’hanno già fatto e lo continueranno a fare altri su questa ed altre testate. Vogliamo solo illustrare qui i meccanismi di funzionamento della Corte internazionale di giustizia e della Corte penale internazionale, per capire meglio quello che può adesso accadere, considerando che si tratta di due organi di giustizia internazionale distinti, con compiti e funzioni diverse, ma che spesso vengono confusi, scambiati l’uno per l’altro. Vediamoli allora un po’ più da vicino.

La Corte internazionale di giustizia (CIG). Nota anche come Tribunale internazionale dell’Aja, è l’organo giurisdizionale principale delle Nazioni unite (NU), istituita dalla Carta dell’Onu nel 1945, col compito di definire - in base al diritto internazionale - le controversie ad essa sottoposte dagli Stati membri dell’ONU che hanno accettato, preventivamente o successivamente, la sua giurisdizione e dare pareri su questioni giuridiche ad essa sottoposte dagli organi dell’ONU (Assemblea e Consiglio di sicurezza) e da agenzie specializzate. Essa ha sede all’Aja, nei Paesi Bassi, e il suo funzionamento e la sua organizzazione sono disciplinati da uno specifico Statuto annesso a quello delle NU e da un Regolamento. La CIG può emanare sentenze solo nei confronti degli Stati, mai delle singole persone, e dalla sua nascita ha esaminato quasi duecento casi di rilevanza internazionale. Nello svolgimento della sua funzione di giudice internazionale, col compito di interpretare e applicare le norme del diritto internazionale consuetudinario o pattizio, la Corte interviene solo se gli Stati parti di una controversia internazionale ne abbiano riconosciuto la giurisdizione, cosa che può avvenire preventivamente, con l’approvazione dell’articolo 36.4 dello Statuto della Corte o di una clausola compromissoria inserita in un accordo internazionale o di uno specifico trattato internazionale compromissorio, con i quali gli Stati decidono di rivolgersi alla CIG in caso di possibili future controversie tra essi insorte, oppure successivamente, dopo la nascita della lite tra Stati non aderenti allo Statuto della Corte. Per quanto riguarda l’Italia, il 25 novembre 2014 essa ha depositato presso il Segretario dell’ONU la dichiarazione di accettazione della giurisdizione della CIG per cui, in caso di controversie internazionali con altri Stati, l’Italia è obbligata a dirimerle davanti la Corte internazionale di giustizia. La CIG è composta da quindici giudici di nazionalità diversa eletti dall’Assemblea e dal Consiglio di sicurezza dell’ONU, che restano in carica per nove anni e possono essere rieletti. Nessun paese può avere più di un giudice, ma ognuno dei paesi membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU (Usa, Russia, Cina, Francia e Regno Unito) ha sempre avuto un giudice presente tra i banchi della Corte. I giudici, una volta eletti, non rappresentano i loro paesi di riferimento, essendo essi indipendenti, e le decisioni vengono prese a maggioranza dei presenti. La CIG può decidere, oltre che secondo diritto, anche secondo equità, se le parti lo chiedono espressamente, e può costituire una o più sezioni, composte da almeno tre giudici, per trattare particolari controversie. La Corte può dare un ordine a uno Stato, ma non ha i mezzi giudiziari per imporre il suo rispetto. Israele, infatti, ha già fatto sapere che se la CIG ordinasse il cessate il fuoco, non rispetterebbe tale decisione sostanzialmente per due ordini di motivi: 1. Israele non riconosce la giurisdizione internazionale della Corte; 2. il cessate il fuoco dovrebbe coinvolgere necessariamente anche Hamas, che non è uno Stato e che, pertanto, non può ricadere sotto la giurisdizione della CIG. Quindi, stando così le cose, un eventuale cessate il fuoco deciso dalla Corte internazionale di giustizia potrebbe non essere rispettato dalle parti contendenti, se non volontariamente. Analogamente Israele respinge anche l’accusa di genocidio mossa innanzi la CIG, per cui si potrebbe giungere ad un’eventuale condanna solo fra mesi e forse anni. Tuttavia, una delibera della Corte che accusasse Israele potrebbe implicitamente pesare anche sulla decisione dell’altro tribunale internazionale, la Corte penale, circa la possibilità o meno di emettere un mandato di arresto nei confronti dei vertici governativi israeliani.

La Corte penale internazionale (CPI). Fondata a Roma nel 1998, ma entrata in vigore solo il primo luglio 2002, a seguito del deposito del 60esimo strumento di ratifica, non è legata all’ONU, come invece accade per la Corte di giustizia internazionale, ma è un organo giurisdizionale indipendente e permanente con sede all’Aja (in un edificio diverso però da quello che ospita la CGI), con il compito di giudicare non gli Stati, ma i singoli individui ritenuti colpevoli di crimini internazionali, come il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra, perché - com’è noto - la responsabilità penale può essere solo personale e non si può estendere agli Stati. È riconosciuta da 124 Paesi, ma non da Stati Uniti, Russia, Cina, Israele e altri. Mentre si stava lavorando per creare tale Corte, in ambito internazionale sono stati istituiti altri due tribunali simili per giudicare però casi specifici e limitati: il Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra commessi nei Balcani dopo lo sfaldamento dell’ex-Jugoslavia e il Tribunale penale internazionale per il Ruanda, che ha giudicato i crimini commessi nel corso della guerra civile scoppiata in quello Stato africano. Solo la CPI è però un organismo giurisdizionale permanente e generale, per giudicare tutti i crimini internazionali commessi ovunque e da chiunque nel mondo. La Corte è composta da diversi organi: la Presidenza, la Sezione d’appello, la Sezione di prima istanza, la Sezione preliminare, l’Ufficio del Procuratore e la Cancelleria. I suoi 18 giudici vengono eletti dall’Assemblea degli Stati parti dell’accordo istitutivo della Corte (oltre 120), composta da un rappresentante per ciascuno Stato, tra i candidati proposti da ognuno di essi. Una volta eletti i giudici rimangono in carica per nove anni e non sono rieleggibili. Spetta pure all’Assemblea degli Stati eleggere il Procuratore generale e gli Aggiunti. Essi esercitano l’azione penale in piena autonomia, operando secondo i principi di indipendenza e imparzialità. La Corte non si limita solo a processare e punire i responsabili dei crimini internazionali, ma si preoccupa pure di ascoltare e proteggere le vittime e i testimoni, fornendo loro sostegno giuridico, fisico, psicologico ed economico. Per tutti gli imputati vige la presunzione di innocenza, fino a quando non verrà dimostrata la loro colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio in un processo pubblico e imparziale. La CPI non può processare però imputati in contumacia (occorre quindi che essi siano presenti in aula) e non si sostituisce ai tribunali penali nazionali, ma interviene solo se lo Stato in cui sono stati commessi i crimini internazionali non vuole o non può giudicarli. Essa, infine, non disponendo di una propria polizia dipende dalla cooperazione degli Stati per l’esecuzione delle sentenze, dei mandati di arresto o delle notifiche delle citazioni. Se i giudici di questa Corte accoglieranno allora la richiesta avanzata dal suo Procuratore, emettendo un mandato d’arresto internazionale contro i due leader di Israele e i tre capi di Hamas, costoro diventerebbero dei ricercati e potrebbero essere arrestati se mettessero piede in uno dei Paesi che riconoscono lo statuto della CPI. Solo rimanendo nel loro territorio costoro potrebbero quindi eludere tale mandato, rendendolo nei fatti un’arma spuntata, come del resto è già avvenuto lo scorso anno quando, su richiesta del Procuratore, la Corte ha emesso un mandato di arresto contro Vladimir Putin per i crimini di guerra commessi dalle sue truppe nell’invasione dell’Ucraina, mandato finora mai eseguito.

31/05/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Ciro Cardinale

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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