Segue da Dalla guerra di movimento alla guerra di trincea / Link al video della lezione Unigramsci
Con la trasformazione della “gloriosa guerra di movimento” nella squallida guerra di logoramento, di trincea, ben presto i militari, che erano stati convinti a combattere – in particolare il ceto medio e la piccola borghesia – dall’ideologia dominante al servizio della classe dominante, fecero l’amara scoperta di essere stati nuovamente ingannati, nel caso specifico dal mito di una travolgente “guerra lampo”. Al contrario, si trovarono, ben presto, a dover sopportare per intero il terribile fardello di una durissima e apparentemente infinita guerra di logoramento, rinchiusi in strette e fetide trincee, al freddo e al gelo d’inverno, sotto il sole leone d’estate, sempre e comunque sottoposti agli snervanti e micidiali bombardamenti dell’artiglieria nemica. Gli unici diversivi finirono per rivelarsi una medicina peggiore del male, risolvendosi in arrembaggi suicidi contro le linee fortificate dei nemici, attraversando micidiali campi minati per finire sotto il tiro delle mitragliatrici degli avversari pronte a far strage degli assalitori. Infine, i pochi che riuscivano, in casi più unici che rari, a penetrare nelle trincee nemiche, erano generalmente prontamente sopraffatti dalla controffensiva dell’avversario, mentre coloro che, il più delle volte, decimati dal fuoco nemico, finivano per ripiegare sensatamente nelle trincee, dovevano fare i conti con le corti marziali e le decimazioni per aver assunto un’attitudine “vigliacca” dinanzi al nemico, quando non erano direttamente colpiti dalla propria stessa artiglieria o dai reparti di polizia militare schierati proprio per impedire qualsiasi via di fuga ai proletari in divisa. Su tali tragici eventi non si può che rimandare alla visione dell’eccellente film Orizzonti di gloria, commissionato al grande regista Stanley Kubrick dall’altrettanto grande Douglas Sirk, attore molto impegnato dal punto di vista politico e sociale.
Decimazioni, autolesionismo e odio per la guerra
Così, ben presto, la grande maggioranza dei soldati ebbe in odio la guerra. Si moltiplicano allora i fenomeni di renitenza alla leva, di diserzione, di autolesionismo, che portano ovunque a una spaventosa repressione da parte degli ufficiali delle classi dominanti sui soldati delle classi subalterne, spesso mediante il sistema terroristico della decimazione di reparti che non avevano, secondo il parere soggettivo e classista dei superiori, dimostrato sufficiente coraggio dinanzi al nemico. Nel solo esercito italiano ci sono 340.000 processati e 100.000 renitenti alla leva. I soldati italiani, essenzialmente proletari in divisa, finirono con l’essere colpiti quasi più dal “fuoco amico” – su ordine dei reali nemici di classe – che dai subalterni irreggimentati dalle altre potenze imperialiste. I soldati, quasi sempre, continuarono a combattere per rassegnazione, cercando essenzialmente di salvare la vita propria e quella dei compagni, cui si sentivano legati dallo spirito di cameratismo che si sviluppa fra i subalterni condannati alla spaventosa lotta per la sopravvivenza in trincea. Tali tragici eventi – e, in particolare il duro conflitto di classe fra gli ufficiali delle classi dominanti, i sergenti della piccola borghesia e i soldati proletari – sono efficacemente rappresentati dal bel film di Francesco Rosi Uomini contro, tratto dall’altrettanto valido romano autobiografico Un anno sull’Altipiano di Emilio Lussu. A esaltare l’esperienza della guerra rimasero esclusivamente piccoli gruppi di fanatici del ceto medio o della piccola borghesie assetati di potere, generalmente arruolati nei corpi scelti, che diverranno in seguito in Italia la base dello squadrismo fascista.
Nel frattempo, sul fronte orientale i Tedeschi infliggono una dura battuta d’arresto all’avanzata in Prussia dei russi, che però, a loro volta, hanno inferto una significativa sconfitta agli austro-ungarici. L’intervento in guerra dell’Impero turco ottomano aiuta l’Impero austro-ungarico a riprendersi dalla sconfitta patita a opera dei russi. L’entrata in guerra dei Turchi estende ulteriormente il conflitto al Medio Oriente, dove agli Ottomani si oppone l’Impero britannico per difendere ed estendere il suo già enorme impero coloniale.
Il blocco navale, la guerra sottomarina, l’affondamento del Lusitania
I britannici, da parte loro, nonostante gravi perdite riuscirono a infliggere una decisiva sconfitta nella battaglia dello Jutland alla potente flotta costruita negli anni precedenti dai tedeschi, che devono così rinunciare per sempre a ogni speranza di invasione dell’Inghilterra e anzi, vista le netta superiorità della flotta nemica non la affrontano più in campo aperto per tutto il resto della guerra. In tal modo il controllo dei mari resta saldamente in mani britanniche, che impongono ai nemici un durissimo blocco navale che gli impedisce di approvvigionarsi, con conseguenze tragiche in primo luogo sulla popolazione civile, in secondo luogo su quel poco che restava delle garanzie costituzionali tedesche.
La Germania cercò di reagire al blocco portando avanti una guerra sottomarina, che provoca l’affondamento delle navi, in primo luogo americane, che riforniscono di armi l’Inghilterra. Si creano così crescenti attriti con gli Stati Uniti che, rimasti neutrali, realizzano enormi profitti grazie al commercio bellico. L’apice di tale attrito si raggiunge quando un sottomarino tedesco affonda il transatlantico Lusitania, orgoglio della marina inglese, dal momento che i tedeschi sospettano, a ragione – come si verrà a sapere diversi anni dopo – che la nave nascondesse nella stiva un carico di armi. Fra i morti si contarono circa mille civile statunitensi, il che fece grande scalpore nel paese.
Il progressivo affermarsi di regimi totalitari fra le potenze belligeranti
Gli Stati Uniti minacciano di entrare in guerra, costringendo i tedeschi, per impedirlo, a dover rinunziare alla guerra sottomarina condotta senza rispettare il diritto internazionale. In tal modo i profitti di guerra statunitensi raggiungono il loro apice e sono infine superati, con la politica di riarmo permessa dalla Prima guerra mondiale, anche dal punto di vista occupazionale, i disastri creati dalla grande crisi di sovrapproduzione esplosa nel 1929, solamente alleviati dalle misure rooseveltiane del New Deal.
La Germania, invece, con il blocco inglese che gli impedisce gli approvvigionamenti, ha poche speranze di poter vincere la guerra. Per superare tali difficoltà le classi dominanti sviluppano un vero e proprio regime totalitario, che prevede un forte controllo dello Stato sull’economia, la militarizzazione della forza-lavoro e delle retrovie. Più in generale la guerra di logoramento favorisce il sorgere di regimi autoritari e anti-democratici in praticamente tutti i paesi belligeranti. A detta di diversi storici tali regimi anticipano i regimi totalitari che si affermeranno prima in Europa e poi a livello internazionale nel corso degli anni Trenta.
Interventismo e neutralismo in Italia
All’inizio del conflitto – nel 1914 – l’Italia resta neutrale, dal momento che la Triplice alleanza è come di consueto un patto di natura difensiva e la grave responsabilità di aprire questa spaventosa guerra se la sono assunta gli Imperi centrali che, per altro, sono passati all’offensiva senza neppure premunirsi di avvisare l’alleato italiano al solito snobbato, anche per pregiudizi di natura razziale.
L’interventismo sciovinista
Contro la scelta obbligata di rimanere neutrali, all’inizio delle ostilità, si schierano in primo luogo gli interventisti sciovinisti della destra radicale, in Italia capitaneggiati da Corradini, dai futuristi e da D’annunzio, nemici giurati dei democratici, dei socialisti e di Giolitti. In un primo momento si pongono come accesi fautori di una guerra alla Francia per conquistare Nizza, la Corsica e la Tunisia. D’altra parte, l’interventismo sciovinista è in quanto tale irrazionalista, per cui considera essenzialmente indifferente quale nemico combattere. Gli interventisti sono, infatti, fautori della guerra intesa come un bagno di sangue rigeneratore e si richiamano alla nietzschiana volontà di potenza, resa popolare in Italia da D’Annunzio che si rifà al superuomo nietzschiano che si libera da ogni freno morale e razionale tornando belva e dando libero sfogo alla propria naturale aggressività. Tale ideologia avrà notevole successo fra gli impiegati e i piccolo-borghesi frustrati, che diverranno la base di massa dell’interventismo e in seguito del fascismo. Così, non riuscendo a persuadere l’opinione pubblica della necessità di una guerra alla Francia, gli interventisti puntarono sulla meno insensata guerra all’Impero asburgico per conquistare Trento, Trieste, l’Istria e la Dalmazia, territori in cui una parte significativa della popolazione era italofona.
L’interventismo democratico
In tal modo l’interventismo sciovinista riuscì a fomentare e poi a saldarsi con l’interventismo democratico, che si richiamava agli ideali risorgimentali e mazziniani, rivendicando solo le terre a maggioranza italofona. Nelle sue fila si schierano il più eminente esponente degli intellettuali democratici: Gaetano Salvemini e Cesare Battisti, socialista trentino morto volontario in guerra, divenuto il prototipo dell’interventismo di “sinistra”. Ricordiamo, infine, i socialisti riformisti e revisionisti che sono fautori della guerra in nome della liberal-democrazia e contro l’assolutismo degli Imperi centrali. Come nota il grande filosofo italiano Benedetto Croce – che si batteva contro lo spirito da crociata tra potenze imperialiste che si veniva affermando, che avrebbe finito per favorire i socialisti – era risibile schierarsi in nome dei valori democratici con l’autocrazia russa.
I neutralisti
D’altra parte le masse operaie e contadine, rappresentate le prime dai socialisti, le seconde principalmente dai cattolici, sono neutraliste. Il Vaticano è contrario alla guerra in quanto spacca il mondo cattolico, rischia di rafforzare l’odiato e mai accettato Regno d’Italia e favorisce le forze rivoluzionarie ponendo in contrapposizione fra loro le potenze imperialiste. I Socialisti, al contrario, sono contro la guerra imperialista che contrappone i lavoratori dei diversi paesi a tutto vantaggio dei padroni che vi si arricchiscono e dominano la società senza gli ostacoli costituiti dalla democrazia formale e dai sindacati.
Posizione dei giolittiani e dei sindacalisti rivoluzionari
Neutralisti sono anche i giolittiani e alcuni settori della borghesia meno legate alle commesse statali e all’apparato militare-industriale, da sempre fautore del colonialismo, del militarismo e del protezionismo, oltre che più sensibile alle tentazioni totalitarie che tendono a prevalere nel corso del conflitto. Inoltre i giolittiana sostengono che con la neutralità l’Italia avrebbe avuto gli stessi vantaggi territoriali ottenibili con una vittoria e avrebbe nel frattempo potuto vendere armi e forniture a entrambi i contendenti arricchendosi, come intelligentemente faranno gli Stati Uniti. Inoltre i giolittiani temono che i crimini della guerra possano favorire le forze rivoluzionarie. Tale era invece la giustificazione adottata da Mussolini e da diversi sindacalisti rivoluzionari anarchici per giustificare il loro repentino passaggio dall’antimilitarismo più radicale all’interventismo più acceso. Così Mussolini, con finanziamenti francesi, fondava il “Popolo d’Italia”, il quotidiano più accesamente interventista, con posizioni sempre più apertamente antidemocratiche e filo totalitarie.
L’Interventismo del governo e della corona
La maggioranza dei parlamentari è neutralista, mentre il governo della destra liberale conservatrice guidato da Salandra, la corona e gli ambienti aristocratici sono interventisti, innanzitutto per la paura dinanzi alla determinazione dimostrata dalle classi subalterne durante la settimana rossa e in secondo luogo in quanto nostalgici di una società gerarchica e militarista in cui le masse popolari sono irreggimentate e, così, impossibilitate a svolgere un ruolo autonomo sul piano politico e sociale.