“Tuttavia il particolarismo, il privilegio e l’eccellenza, sono qualcosa di così profondamente personale, che il concetto e la comprensione della necessità sono sempre troppo deboli per operare sull’azione stessa; concetto e comprensione attirano una tale diffidenza su di sé, da doversi giustificare con la violenza affinché l’uomo si sottometta loro.” [1]
La prima opera composta a Tubinga, Di alcuni vantaggi che ci procura la lettura degli antichi scrittori classici greci e romani, non rappresenta un momento di sviluppo lineare, privo di intime contraddizioni e ripensamenti, nella formazione del giovane Hegel. Da questo breve componimento scolastico emerge un’aporia presente in buona parte del pensiero illuminista e che caratterizzerà a lungo – almeno fino a Francoforte – la riflessione hegeliana. Il giovane Hegel sembra costantemente oscillare tra la nostalgia per la cultura naturale e popolare del mondo antico, da cui deriva l’attenzione per la sensibilità, per la religione popolare (tutti elementi di derivazione rousseauiana e poi schilleriana) e l’idea di vivere in un’epoca di enorme progresso in cui, grazie all’illuminismo, ci si è liberati delle scorie della positività della tradizione, divenendo capaci di autodeterminare il proprio agire sul fondamento della ragione pura, riappropriandosi del proprio destino – idee di cui Hegel troverà conferma e più rigoroso fondamento nella filosofia critica kantiana.
Del resto, già nello scritto precedente, Di alcune differenze caratteristiche dei poeti antichi, fa la sua comparsa questo decisivo concetto, centrale per tutto lo sviluppo del giovane Hegel, l’idea della riappropriazione da parte dell’uomo del proprio destino. A questo proposito, come nota Carmelo Lacorte, si tratta di un “problema che egli ha qui trattato facendosi ampiamente aiutare dalla sua cultura illuministica: la religione, la concezione del divino e, in immediato rapporto ad essa, die Schicksale der Menschen, stanno nelle mani dell’uomo; bessere Begriffe der Gottheit procedono di pari passo col rischiaramento degli uomini” (C. Lacorte, Il primo Hegel, Firenze, Sansoni 1959, p. 93). E ancora: “L’uomo può concepire e sentire il destino come una forza a lui estranea, e lo sente così quando contemporaneamente anche il suo Dio è una forza per lui incomprensibile che lo regge con l’arbitrio e la paura; oppure, quando si è elevato al concetto «illuminato» di provvidenza – nella cui bontà e legalità ormai confida – egli si sente invece padrone del destino.” Ivi, p. 91.
Per quanto concerne l’influenza della filosofia critica, non è attestata una conoscenza diretta della filosofia kantiana nel periodo di Stoccarda. In nessuno dei manoscritti di questi anni è presente una citazione diretta o indiretta da un’opera di Kant. Lo stesso Rosenkranz, che – come è noto – possedeva una mole di manoscritti decisamente superiore a quella oggi conservata, ha scritto che Hegel avrebbe intrapreso la lettura di Kant con la Critica della ragion pura nel 1789, benché anche questa affermazione sia stata messa in dubbio da più recenti studiosi degli anni di Tubinga, come Lacorte, che ritengono che Rosenkranz in realtà ne deduca la lettura da riflessioni hegeliane che fanno riferimento a quest’opera, ma che sono tratte dagli appunti relativi alle lezioni di Flatt: “Da Flatt Hegel avrà avuto occasione di sentir parlare di Kant (uno studio sistematico in questi anni di Kant da parte di Hegel è assolutamente da escludere)” Ivi, p. 135. Tuttavia, a partire da Hoffmeister, diversi interpreti hanno sostenuto che il giovane Hegel si era formato nello spirito della filosofia kantiana. Questa tesi si fonda su basi incerte, sulla conoscenza della filosofia kantiana che avrebbe avuto il prof. Abel, uno dei precettori di Hegel in questi anni, e su un paio di estratti relativi a saggi dedicati all’analisi del pensiero di Kant, risalenti al 1788 (cfr. Ivi, p. 103). Davvero poco per attestare, come fa ancora Mirri (G.W.F. Hegel, Scritti giovanili, traduzione italiana di E. Mirri, Guida, Napoli, 1993, pp. 110-11), una sicura ascendenza kantiana nella formazione del giovane Hegel, anche perché, come ricorda Lacorte, “Morale e psicologia, nel senso della filosofia popolare illuministica, insegnava Abel […] e Hegel mostra di non avere una grande opinione di questo insegnante” C. Lacorte, Il primo…, op. cit., p. 128. Ci sembra, quindi, più attendibile quanto osservava già Rosenzweig, ovvero che “Kant (…) non era rimasto al di fuori dei suoi interessi – come testimoniano gli estratti – ma il giovane illuminista non aveva preso coscienza della serietà e della portata di quel pensiero” K. Rosenzweig, Hegel e lo stato [1920], tr.it., Il Mulino, Bologna 1976, p. 33. Del resto, ci sembra che nessun passaggio degli scritti di questi anni permetta di dedurne con una certa attendibilità tale influsso che, se pur c’è stato, non si distingue dall’influsso più generale dell’illuminismo. In altri termini, nelle riflessioni hegeliane di questi anni si ritrovano certo concezioni presenti anche in Kant, ma attribuibili più al generale spirito dell’epoca che allo sviluppo sostanziale che riceverà nella filosofia kantiana. Da ciò si potrebbe al limite insinuare, con un po’ di malizia, che diversi interpreti hegeliani tendono a sottovalutare le differenze sostanziali tra il pensiero di Kant e quello dell’illuminismo in generale. Del resto, ciò che vale per Kant vale anche per la conoscenza di altri pensatori, che svolgeranno una funzione decisiva nel processo di formazione della filosofia hegeliana quali Montesquieu, Rousseau, Schiller, ecc.
Come ha osservato a ragione Lacorte: “Così come queste ultime recensioni introducono al pensiero di Kant e di Spinoza, gli estratti dal Feder hanno posto Hegel a contatto indiretto con Rousseau, pensieri di Montesquieu, Gibbon, Voltaire gli sono giunti attraverso la lettura di Schröckh e di Meiners; e il Garve gli ha presentato una parte delle idee dei preromantici inglesi, e segnatamente di Fergurson, e lo ha avvicinato a prospettive che Hegel attingerà in seguito anche da Schiller” C. Lacorte, Il primo…, op. cit. p. 110 [2].
Si tenga inoltre presente che il giovane Hegel, pur contrapponendo talvolta negli scritti di questi anni l’ideale del mondo antico ai tempi moderni, resta sostanzialmente fedele alla concezione dell’illuminismo, che tendeva a marcare in ogni caso la superiorità della modernità illuminata [3].
Tornando a Di alcuni vantaggi che ci procura la lettura degli antichi scrittori classici greci e romani, occorre sottolineare che: se da una parte Hegel si trova perfettamente in linea con la periodizzazione della filosofia della storia dell’illuminismo, in cui all’infanzia dell’umanità individuata nell’oriente fa riscontro la bella giovinezza del mondo greco e la piena maturità conseguita nel rischiaramento del mondo moderno, dall’altra inizia ad affacciarsi il rimpianto per un’epoca primigenia, che dallo stato di natura si viene trasformando – grazie al magistero di Winckelmann – nella Grecia classica o nel suo ideale.
In modo analogo, Hegel sembra derivare dall’illuminismo, in particolare da Lessing, l’idea di una religione universale, fondata sui principi della ragione e della moralità, una credenza sovrastorica, pensata in analogia al diritto naturale, alla quale le diverse religioni positive si sarebbero più o meno accostate. La superiorità del tempo presente, illuminato, è fondata sulla raggiunta autocoscienza di questo principio, che ci consente di essere tolleranti verso le religioni del passato. Tuttavia, a questo atteggiamento di tolleranza e di superiorità si sovrapporrà progressivamente l’interesse per la religione popolare, che troverà la sua patria ideale proprio nel mondo greco. Vi è, dunque, qui la stessa difficoltà presente in Rousseau [4]; anche Hegel ricerca l’origine non ancora nel concetto, ma in un mitico “stato di natura” pre-contrattuale, che ne costituisce la semplice forma rappresentativa. Come vedremo, solo il superamento di questa aporia – che, in virtù della mediazione costituita da Schiller [5] e Fichte, porterà Hegel a demitizzare il mondo antico e a problematizzare la modernità – permetterà il sorgere di riflessioni filosofiche veramente originali. Allora, esclusivamente mediante una radicale storicizzazione speculativa delle categorie ancora astratte e fondate sulla riflessione intellettuale dell’illuminismo, Hegel apparirà in grado di rendersi autonomo da quella tradizione, dopo averla fatta pienamente propria.
Note:
[1] G.W.F. Hegel, Scritti storici e politici, tr. it. di G. Bonacina, a cura di D. Losurdo, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 106.
[2] Di diverso avviso, per quanto riguarda la conoscenza di Rousseau, sembra essere Rosenkranz, che scrive: “Il francese lo trascrive benissimo. Esistono alcuni estratti da Rousseau che hanno un aspetto molto piacevole” La vita di Hegel [1844], tr. it., Firenze 1964, p. 39. Gli estratti in questione si dovrebbero riferire alle Confessioni. Tuttavia lo stesso Rosenkranz, facendo riferimento a uno schedario di concetti filosofici, compilato da Hegel a partire dal 1785, mette in luce come le definizioni siano tratte essenzialmente da “filosofi popolari dell’illuminismo” Ivi, pp. 36-37, oltre che dagli immancabili antichi, Platone, Aristotele, Epitteto, Tacito e Cicerone. Mentre è attestata dallo stesso Hegel la conoscenza della filosofia wolffiana sin dal 1785. Cfr. Ivi, p. 26.
[3] Come ricorda Rosenkranz: “si pronunciò sul perché i filosofi antichi avessero dovuto riferirsi a quanto vi era in loro di soggettivo. «Ma la filosofia moderna si occupa di principî, che sono di natura concreta e che contengono in sé un fondamento di determinatezza e di sviluppo e non di pura astrazione; perciò tale rappresentazione del soggetto è oziosa»” K. Rosenkranz, La vita…, op. cit. pp. 43-44.
[4] Il richiamo a Rousseau, il cui magistero è costantemente presente nelle opere del giovane Hegel, rende particolarmente complesso e, quindi, irriducibile a ogni schematismo il rapporto di Hegel con l’illuminismo. Rousseau, e ancora di più la sua ricezione in questi anni, appartengono tanto alla cultura illuministica, quanto al suo superamento critico. A proposito della ricezione, in quest’epoca, dell’opera del ginevrino ha osservato Lacorte: “Il Rousseau teorico della crisi della civiltà e della cultura, portatore della esigenza di rinnovamento dell'umanità, è una fonte a cui attingono in varia misura, ma all’interno di posizioni diverse e anche contrastanti, i moltissimi autori che si interessano del medesimo problema; quale che sia poi, per essi, l’interpretazione particolare dei motivi della crisi stessa, e il loro proprio orientamento programmatico per superarla; e siano essi rappresentanti del razionalismo illuminista, o di quello kantiano, oppure della filosofia del sentimento, delle correnti irrazionalistiche e della letteratura preromantica e romantica” C. Lacorte, Il primo…, op. cit., pp. 264-65. In generale in questi anni, ma anche in quelli di Tubinga e Berna, gli apporti della filosofia di Rousseau sono indissolubilmente legati al magistero di Lessing. In altri termini, alla discontinuità rappresentata da Rousseau, nel pensiero del giovane Hegel si affianca la continuità della lezione dell’illuminismo, che si esprime in modo esemplare nella concezione della religione naturale la quale, in nome del principio universalistico di tolleranza, si pone in un rapporto di rispetto verso le religioni storico-positive.
[5] Come nota a ragione Lacorte: “L’enorme importanza che per le Jugendschriften assumeranno le idee di Schiller è cosa facilmente rilevabile in base alle numerose concordanze dei testi, ma intanto è bene osservare che, almeno per quanto riguarda la valutazione del mondo classico, alcune posizione sviluppate negli anni successivi sono anticipate e preparate nella esperienza di Hegel già dalla conoscenza di questi testi illuministici del periodo di Stoccarda” Ivi, p. 98.