I motivi delle cattive interpretazioni della filosofia di Hegel

Prima di immergerci nell’analisi delle diverse opere che compongono il sistema hegeliano, affrontiamo alcuni concetti chiave, la cui incomprensione ha prodotto diversi malintesi.


I motivi delle cattive interpretazioni della filosofia di Hegel Credits: https://www.stmuhistorymedia.org/paint-the-town-red/

Link al video della lezione. Segue da: Il tragico destino del cristianesimo

Gli anni di Jena

Nel 1800, ricevuta una piccola eredità, in seguito alla morte del padre, Hegel può abbandonare la professione di precettore per recarsi a Jena, principale centro universitario tedesco dell’epoca – in cui si è già affermato il suo ex compagno di studi Schelling – intendendo dedicarsi a tempo pieno alla carriera accademica.

Hegel si abilita all’insegnamento e lavora come insegnante precario; può pubblicizzare i suoi corsi all’università, ma li deve tenere nella casa che ha preso in affitto insieme a Schelling. Il suo onorario è pagato direttamente dagli studenti che ne seguono i corsi. Così, in almeno un semestre il corso previsto non si tiene per assenza di studenti. Hegel non demorde e, anzi, pieno di entusiasmo giovanile fonda e scrive interamente con il già affermato Schelling, di cui è ora considerato il principale collaboratore, il “Giornale storico della filosofia”.

In questi primi anni di insegnamento Hegel abbozza il suo intero sistema, utilizzandone le diverse parti come punto di partenza delle sue lezioni. Si tratta, evidentemente, di bozze, di prime stesure, non destinate alla pubblicazione, delle grandi opere della maturità che saranno pubblicate da Hegel e poi dai suoi più validi allievi. Allo stesso modo gli articoli pubblicati nel “Giornale storico della filosofia” risentono ancora fortemente dal sodalizio intellettuale con Schelling, al punto che i due amici non li firmavano. Tanto che ancora oggi, non è proprio scontata l’attribuzione di un articolo a uno piuttosto che all’altro. Del resto, già quando fu pubblicata, dopo la morte dell’autore, la prima edizione delle opere complete di Hegel, diversi articoli a lui attribuiti, furono rivendicati come propri da Schelling, sopravvissuto all’ex amico e collaboratore.

Tanto più che l’influenza di Schelling nel sodalizio intellettuale – in quest’epoca in cui quest’ultimo era già affermato e famoso, mentre Hegel restava del tutto sconosciuto ai più – era decisamente preponderante. Per cui anche negli scritti che sono certamente opera di Hegel, il linguaggio e l’impianto concettuale risentono sensibilmente di quelli dell’amico Schelling. Si tratta, perciò, di un argomentare decisamente più influenzato dalla cultura romantica, più astratto, oscuro e a tratti addirittura misticheggiante, di quello che diverrà peculiare delle opere della maturità Hegel. Proprio per questo tali opere non sono solo decifrabili se non in tempi necessariamente molto lunghi, ma non contengono essenzialmente quasi nulla di essenziale, che non sia stato poi ripreso ed esposto in modo decisamente più consapevole, congruo, chiaro e maturo nelle opere pubblicate negli anni successivi e di cui ci occuperemo nei prossimi articoli.

L’influenza di Schelling

In altri termini tali opere scritte a Jena prima della partenza da questa città dell’amico – che segnerà un necessario venir meno della precedente collaborazione – mantengono un valore essenzialmente storico, ovvero restano di grande interesse per capire come Hegel, a partire dall’idealismo “oggettivo” di Schelling, abbia a poco a poco elaborato, superandolo dialetticamente, il proprio “idealismo assoluto”. D’altra parte, dal momento che non si tratta di un percorso lineare e facilmente riassumibile, preferiamo concentrarci su quei concetti decisivi che Hegel viene elaborando in questi ultimi anni di apprendistato filosofico e che saranno la chiave indispensabili per comprendere e valorizzare le grandi opere della maturità.

Le “cattive” interpretazioni della filosofia di Hegel

Anche perché la cattiva o scorretta interpretazione di tali concetti chiave è alla base delle più note e perduranti incomprensioni del valore dell’opera di Hegel e, più nello specifico, della mancata comprensione degli apporti che essa ha offerto allo sviluppo della filosofia marxiana.

In effetti, sin dal periodo immediatamente successivo alla morte di Hegel (1831), la sua eredità culturale è stata a lungo contesa fra gli esponenti della “destra” e della “sinistra” hegeliana. Dunque, mentre i più radicali fra gli allievi prima diretti e poi indiretti tendevano a sviluppare in senso progressista e poi apertamente rivoluzionario, gli innumerevoli spunti offerti dall’opera del maestro, dall’altra parte in particolare il sistema hegeliano è stato altrettanto immediatamente rivendicato anche dai suoi allievi più conservatori, che giocando sulle ambiguità, i nodi non risolti, le debolezze dell’uomo e le autocensure etc. ne hanno dato un’interpretazione decisamente più moderata, sfumando gli elementi di aperta rottura con l’ideologia dominante. Richiamandosi, più a ragione che a torto, a questi esponenti della destra hegeliana e alle interpretazioni in chiave irrazionalista di un giovane Hegel romantico e mistico, si affermeranno in seguito letture interessate a rivendicarne l’eredità in funzione persino del nazismo e del fascismo, in particolare in Italia a opera di Giovanni Gentile.

A complicare ulteriormente le cose, intervenne la critica liberale a Hegel, che ebbe ed ha grande influenza essendo il liberalismo ben presto dopo la morte del filosofo divenuto l’ideologia, a tutt’oggi, dominante. Il vero e proprio astio nei confronti di Hegel da parte della maggioranza dei suoi critici liberali è dovuta al fatto che le critiche del filosofo, in primo luogo, al liberismo e, più in generale, all’ideologia liberale ha offerto strumenti validi tanto alle critiche di destra, quanto alle critiche di sinistra di tale visione del mondo. La grande maggioranza dei liberali ha dato credito essenzialmente alle critiche da destra, alle quali era non solo più facile controbattere, ma che consentivano di screditare gli stessi critici di sinistra, accusandoli di avere una posizione in fin dei conti assimilabile ai reazionari. Così, anticipando il concetto di totalitarismo, mediante il quale i liberali pretendono di sbarazzarsi di tutti i loro oppositori, facendo di tutt’erba un fascio reazionario, e riprendendo le analoghe critiche rivolte a Rousseau – nelle quali si accentuavano unilateralmente le poche critiche di stampo reazionario, per meglio screditare quelle, decisamente maggioritarie, di carattere progressista – si è fornita un’immagine altrettanto unilaterale di Hegel quale presunto filosofo ufficiale del retrivo Stato prussiano [1].

Razionale e reale

Al centro di tali critiche, come del resto al centro dell’interpretazione altrettanto unilaterale che dà del filosofo la cosiddetta destra hegeliana, vi è la celebre affermazione di Hegel per cui solo il razionale è reale e solo il reale è razionale. Sulla base di questa presunta identità fra razionale e reale – enunciata dallo stesso Hegel, nella sua ultima grande opera I lineamenti di filosofia del diritto – si è accusato il filosofo di cercare giustificazioni razionali a una realtà storica ancora in buona parte improntata all’ancien régime come quella prussiana. Al di là del fatto che tale interpretazione della Prussia ai tempi di Hegel è piuttosto unilaterale, in quanto non tiene conto dell’importante processo di modernizzazione, per quanto non di stampo propriamente liberale, allora in atto – a causa della cocente sconfitta da parte della Francia “rivoluzionaria” nella battaglia di Jena – nella celebre e famigerata “massima” hegeliana si pone sempre l’accento sull’affermata razionalità del reale e non si riflette a fondo sul fatto che il filosofo sottolinei al contempo che solo il razionale è reale. Ciò porta necessariamente a non comprendere cosa intende Hegel quando parla di realtà, o meglio di realtà effettuale, dal momento che sceglie la parola Wirklichkeit, piuttosto che Realität.

Possibile, reale e necessario

Ora, come è noto, nel linguaggio comune si tende a utilizzare il termine reale anche per ciò che è accidentale, irrazionale, casuale, superficiale e trascurabile. Nel rigoroso linguaggio filosofico-scientifico utilizzato da Hegel nelle sue opere in tutti questi casi non si ha a che fare con ciò che è effettivamente reale, ma con la più debole e vaga categoria del possibile, ovvero di ciò che è meramente possibile, ossia che può non essere allo stesso modo che è. Al contrario il reale nel senso forte, filosofico del termine è sempre necessario, ossia non solo non può non essere, ma non può nemmeno essere diverso da ciò che è. L’accidentale è in quanto tale finito e, dunque, limitato e destinato a non essere. Ad esempio la vecchia tastiera su cui sto scrivendo questo articolo è appunto qualche cosa di accidentale, che ora per puro caso ancora è – in quanto non ho voglia di mettermi a cercarne una migliore – ma ben presto non sarà più e nessuno la ricorderà e tanto meno la rimpiangerà. Ben altro discorso vale per un grande evento storico, uno dei più significativi con cui si confrontò per quasi tutta la vita Hegel, ovvero la Rivoluzione francese. Quest’ultima è l’esatto contrario dell’accidentale, ovvero è essenziale, in quanto con la coeva rivoluzione industriale è alla base del mondo moderno, capitalista. Dunque essa non è qualcosa di meramente possibile, che potrebbe non essere così come è, anche perché dal punto di vista storico è del tutto necessaria, considerata la rivoluzione culturale dell’Illuminismo e l’incapacità di autoriformarsi dell’ancien régime francese.

Inoltre, non è semplicemente reale nel senso di esistente, ma è profondamente razionale, anzi agli occhi di molti dei maggiori intellettuali del tempo rappresentava proprio l’affermazione della ragione, della razionalità e della sua universalità nella storia. Infine non è qualcosa che ora è, ma presto non sarà più e verrà giustamente dimenticata da tutti, come appunto la sopra citata tastiera. Sebbene siano passati oltre due secoli su la Rivoluzione francese il dibattito è ancora acceso, è studiata e discussa in quasi tutti i paesi del mondo e continuano a uscire libri e nuove interpretazioni su di essa.

Esistenza e realtà

Dunque, sebbene non vi sia nulla di più differente fra questa vecchia e da molto superata, sotto ogni punto di vista, tastiera – su cui mi ostino per pigrizia a scrivere – e un evento storico di portata mondiale come la Rivoluzione francese, nel linguaggio comune si tende a definire entrambe come reali. Proprio perciò in un linguaggio scientifico, nel linguaggio filosofico utilizzato da Hegel diviene decisivo distinguere ciò che è meramente esistente, come questa tastiera (che sopravvive in modo del tutto irrazionale), da ciò che è reale, in quanto è al contempo razionale, come la Rivoluzione francese.


Note

[1] Andrebbe quanto meno ricordato il minoritario, ma comunque molto influente, soprattutto in Italia, tentativo di recuperare in chiave liberale l’eredità hegeliana, a opera in primo luogo di Benedetto Croce.

08/12/2018 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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