Segue da Brecht, Lenin e la Rivoluzione contro il Capitale
Bertolt Brecht, nella prospettiva di un marxismo quale filosofia della prassi (rivoluzionaria), di un marxismo dialettico e antidogmatico non può che polemizzare con l’opportunismo di destra e di sinistra dei marxisti dottrinari. Questi ultimi, assumendo un’attitudine da spettatore dinanzi ai grandi e tragici eventi della Russia rivoluzionaria, sono sempre pronti a criticare chi come Vladimir I. Lenin, invece di occuparsi come loro di filologia marxiana, fa del marxismo una guida per l’azione (rivoluzionaria). Così Brecht, lasciando la difesa della pura lettera del marxismo ai parolai del marxismo occidentale, parteggia per chi come Lenin cogliendone lo spirito ha trasformato nel modo più radicale lo stato di cose esistenti. Quindi, riprendendo l’apologo leniniano rivolto a rispondere alle critiche da anima bella che gli rivolgevano spesso i marxisti occidentali, scrive Brecht [1]: “non è naturale supporre che l’uomo [Lenin e più in generale il rivoluzionario bolscevico] in questa situazione [in cui alla Rivoluzione in oriente ha fatto seguito la sconfitta dei rivoluzionari in occidente], benché prima fosse salito ad altezze inaudite [abbattendo per la prima volta nella storia una grande potenza imperialista con una Rivoluzione socialista], attraversi dei momenti di sconforto? E certo questi momenti saranno più frequenti e più difficili da attraversare quando egli ode voci dal basso [da chi è stato del tutto incapace di portare a termine l’assalto al cielo o vi ha rinunciato in partenza], voci di chi da prudenziale distanza [i dottrinari “marxisti” occidentali, come li chiamava ironicamente Brecht] contempla col cannocchiale quella pericolosa discesa [l’abbandono dell’epico comunismo di guerra in nome della realistica Nep], la quale non può essere chiamata ‘frenata’ perché la frenata presuppone una vettura già collaudata in precedenza, una strada ben sistemata, un meccanismo già sperimentato [si trattava, infatti, di esperienze storiche mai sperimentate in precedenza]. E qui non c’è vettura, non c’è strada, nulla, proprio nulla che sia stato sperimentato prima” (11).
Ancora una volta Brecht, attraverso Lenin, descrive alla perfezione la tragica situazione dei rivoluzionari russi che, dopo aver realizzato quella rivoluzione in oriente, da tutti precedentemente considerata impossibile o controproducente – in quanto destinata a essere subito rovesciata – non solo erano riusciti a conquistare il potere in modo sostanzialmente pacifico (visto il discredito del governo provvisorio e la fiducia che i bolscevichi si erano conquistati fra le masse), ma erano riusciti a sconfiggere le forze della controrivoluzione, sebbene costituite da grandi coalizioni di praticamente tutti gli altri partiti politici e tutte le potenze imperialiste e anticomuniste. Nonostante queste incredibili imprese, per i gravissimi errori dei marxisti e dei rivoluzionari in occidente, proprio lì dove era possibile costruire l’agognata società socialista, la rivoluzione era completamente fallita, favorendo le forze controrivoluzionarie della reazione. Perciò gli eroici comunisti russi erano stati costretti dalla disfatta del resto dell’esercito rivoluzionario a una delicatissima ritirata strategica sotto il fuoco incrociato del nemico, che non significa soltanto abbandonare nuovamente nelle sue mani quelle posizioni così avanzate che mai prima si erano potute conquistare, ma cambiare, almeno per il momento, l’obiettivo stesso della guerra, ovvero lasciando da parte nell’immediato la lotta per il socialismo, dovendosi paradossalmente impegnare nella lotta per la costruzione del capitalismo, per quanto monopolistico di Stato.
Tanto più che, in questa tragica situazione, devono subire gli insulti e le infamanti accuse di tradimento proprio da parte di quei sedicenti socialisti, comunisti e marxisti occidentali che erano la causa principale della loro precipitosa ritirata strategica, in quanto per codardia o per avventurismo e dottrinarismo avevano completamente mancato i loro obiettivi, consentendo ai comuni nemici una spaventosa avanzata, che avrebbe portato con i fascismi a rilanciare su scala internazionale addirittura lo schiavismo. Tanto più che tale ritirata tattica non solo non poteva essere in nessun modo tacciata di tradimento o di codardia, ma non poteva nemmeno essere considerata una frenata, proprio perché la macchina, l’Internazionale era andata in pezzi, a causa degli opportunisti di destra, e non esisteva nemmeno una strada, una teoria da seguire nel processo di costruzione di un capitalismo di Stato.
Le voci che giungono dagli ex commilitoni e compagni occidentali, non sono voci di incoraggiamento e tanto meno di compassione, anzi sono “voci di malevola soddisfazione”, di chi pretendeva di essere la guida del movimento rivoluzionario internazionale e che si era fatto completamente superare da chi era stato considerato la coda di tale movimento. In tal modo, i sedicenti rivoluzionari e marxisti occidentali finivano con lo sfogare la frustrazione per il proprio completo fallimento, individuando un capro espiatorio negli intrepidi rivoluzionari russi, costretti dalla completa mancanza di responsabilità dei loro più adulti e blasonati “compagni” occidentali, a una precipitosa ritirata tattica sotto il fuoco incrociato non solo dei moltissimi nemici, ma anche degli ex sedicenti amici.
“Gli uni”, come ad esempio coloro che fanno riferimento all’ormai “rinnegato” Kautsky, “esprimono apertamente questa soddisfazione gridando contro Lenin: “tra un poco cadrà giù! Gli sta bene a quel matto!” (11). In altri termini esprimo apertamente la loro soddisfazione per la ritirata dei sovietici, che a loro modo di vedere non potrà che concludersi con una rotta e una conseguente completa disfatta. Quest’ultima, dal loro punto di vista opportunista di destra non sarebbe altro che il giusto e necessario destino che colpisce la hybris di Lenin che avrebbe preteso, in modo avventurista, di tentare l’assalto al cielo. Altre componenti meno apertamente rinnegate del sedicente marxismo o socialismo occidentale si ingegneranno “di celare” nel modo più ipocrita “la loro soddisfazione” per quella che considerano la sconfitta della Rivoluzione in oriente. “Essi guardano in alto con occhi mesti e gemono: purtroppo i nostri timori si sono rivelati fondati. Non abbiamo forse impegnato tutta la nostra vita a elaborare il giusto piano per l’ascensione di quel monte [la conquista di una società socialista]? Non abbiamo chiesto che si rimandasse l’ascensione fino a che avessimo terminato di mettere a punto il nostro piano? E quando lottavamo così appassionatamente contro il tracciato [l’idea leniniana di passare alla rivoluzione socialista nell’arretrata Russia per favorire le rivoluzioni in occidente] che ora viene abbandonato anche da questo povero stolto (ecco, guardatelo, torna indietro, scende, si arrovella delle ore intere per regredire di qualche pollice, e non ci ingiuriava con i peggiori epiteti quando invocavamo sistematicamente moderazione e precisione,) quando condannavamo così aspramente questo mentecatto e diffidavamo ognuno dal dargli aiuto e soccorso, lo facevamo esclusivamente per amore del grande piano d’ascensione della montagna [di un’astratta concezione della conquista della società socialista], acciocché questo grande piano non venisse compromesso” [posizione, quest’ultima, tipica dei massimalisti].
La critica di Brecht e Lenin si rivolge, più in generale, al nutrito gruppo di rappresentanti dell’ortodossia marxiana della Seconda internazionale, anch’essa di derivazione kautskiana, ma antecedente al suo aperto opportunismo di destra, quando si definiva “centrista”. Ancora più in generale la loro critica ha di mira tutte quelle concezioni dottrinarie, presenti anche nelle posizioni opportuniste di sinistra degli estremisti, come l’ex maestro di marxismo di Brecht Karl Korsch, che si mettono in cattedra per condannare, sulla base di una pedissequa interpretazione alla lettere dei classici del marxismo, la concezione originale e rivoluzionaria elaborata e messa in pratica da Lenin. Si tratta, dunque, di quei dogmatici sedicenti marxisti contro cui polemizzerà aspramente anche Antonio Gramsci, in difesa di Lenin e dell’Ottobre, parlando polemicamente di “Rivoluzione contro il Capitale”. Costoro hanno stravolto del tutto il marxismo in senso scolastico e dottrinario, per nascondere il loro opportunismo di destra dal punto di vista pratico, perdendo di vista che il marxismo non è una astratta dottrina, un nuovo Verbo che si rivelerebbe esclusivamente ai suoi ultraortodossi cultori, ma una filosofia della prassi, una guida per l’azione, che non mira semplicemente a interpretare in un nuovo modo il mondo, ma a trasformarlo in maniera rivoluzionaria. La posizione dei dottrinari è particolarmente ipocrita perché tende a occultare la sua condanna della Rivoluzione d’ottobre dietro l’argomentazione che non poteva che fallire, in quanto sarebbe stata realizzata senza seguire i dettami del socialismo scientifico, in quanto non ce ne sarebbero state le condizioni oggettive. In tal modo la concezione eterodossa elaborata da Lenin e la sua attuazione pratica sarebbero da considerare come controproducenti, in quanto tali forzature soggettive non potevano che rallentare lo sviluppo di quelle contraddizioni oggettive della società capitalista, che solo ne avrebbero permesso un reale rovesciamento. Inoltre, tali posizioni occultavano il loro opportunismo di destra, il loro non aver fatto nulla in occidente affinché la rivoluzione in oriente potesse avanzare verso la costruzione di una società socialista – per il loro astratto dottrinarismo, che li aveva portati a perdere il decisivo appuntamento con la storia, che si era venuto a creare a seguito del disastro della Prima guerra mondiale – in quanto non avevano ancora finito di elaborare quelle che Marx definiva sarcasticamente “ricette per l’osteria dell’avvenire”.
Brecht non può che concludere con Lenin che: “per fortuna” i rivoluzionari russi, tutti presi dai tragici eventi prodotti dal loro non limitarsi a parlare astrattamente di rivoluzione, ma intenti a realizzarla praticamente, non hanno avuto il tempo né la voglia di “sentire la voce di questi ‘veri amici’ dell’idea dell’ascensione [si tratta, appunto di un’idea astratta di rivoluzione, dottrinaria, che non si sperimenta nella sua realizzazione, come quello scolastico – su cui ironizzavano Marx ed Engels – che pretendeva di imparare a nuotare senza gettarsi nell’acqua], altrimenti gli verrebbe la nausea. E si sa che la nausea non è propizia alla lucidità della testa e alla saldezza dei piedi, in ispecie a grandi altezze” (12). Dunque, sono proprio le grandi altezze raggiunte dai rivoluzionari russi che gli impediscono di ascoltare, di dare importanza e di rispondere ai malevoli commenti provenienti da un dottrinarismo scolastico, che si pone fuori dal necessariamente tragico dispiegarsi della storia. Anche perché chi ha a che fare con la realtà del processo rivoluzionario non ha certo tempo da perdere e testa da impegnare in discussione tutte astratte e teoriche con i dottrinari. Del resto come insegna proprio Marx, sin dalla giovanile critica a Feuerbach, le questioni teoriche possono essere risolte e sciolte solo sul piano della prassi. È quest’ultima il banco di prova necessario e indispensabile per dimostrare se un’ipotesi teorica non è destinata a rimanere un mero dover essere soggettivo, ma è qualcosa di veramente razionale proprio perché si realizza praticamente divenendo al contempo reale.
Note:
[1] I brani che commenteremo e parafraseremo in questo articolo sono tratti da B. Brecht, Me-ti. Libro delle svolte [1934-37], tr. it. di C. Cases, Einaudi, Torino 1970. Tra parentesi tonde metteremo a fianco di ogni citazione il numero delle pagine del libro in questa sua traduzione italiana.