Link alla lezione su temi analoghi tenuta per l’Università popolare A. Gramsci in collaborazione con Groucho Teatro
Segue da Brecht e la posizione dei rivoluzionari nei riguardi dell’etica e della morale
Brecht coglie acutamente e fa emergere la contraddizione fra sfruttatori e predicatori che esortano i lavoratori dipendenti a rispettare le norme etiche costituite, i costumi al tempo vigenti nel paese, mentre al contrario è la situazione storica e sociale in primis, che i salariati vivono tragicamente sulla loro stessa pelle, sono i rapporti di produzione e di proprietà, al contrario, a incoraggiarli ad agire in contrasto con l’eticità vigente. Quest’ultima, come tutte le sovrastrutture spirituali, ha le proprie fondamenta nelle strutture reali, ovvero in quei rapporti di produzione e proprietà che spingono i privilegiati, che detengono il potere, a difendere in ogni modo la pace sociale per meglio preservare dagli sfruttati e dagli oppressi, che continuano a riprodurli con il loro duro lavoro, i loro privilegi sempre più ingiusti e irrazionali. Ecco che, dunque, l’eticità costituita predicherà la pace, in primo luogo sociale, agli sfruttati, il bene comune dell’intera società che, però, è dominata dagli sfruttatori. Al contrario lo sfruttamento sempre più disumano, i rapporti di proprietà sempre più ingiusti e antieconomici, la società sempre più totalitaria, non possono che spingere gli oppressi alla ribellione, se non alla rivoluzione, comunque a spezzare le proprie catene, a battersi con ogni mezzo necessario contro lo sfruttamento. Proprio perciò alla pace sociale predicata dagli ideologi al servizio della classe dominante, oppressi e sfruttati sono spinti dalle stesse condizioni sociali che subiscono alla lotta, alla guerra agli oppressori.
D’altra parte Brecht coglie in modo altrettanto acuto la negazione della negazione. Gli oppressi nella loro lotta contro l’oppressione debbono sì violare l’etica costituita, funzionale a mantenere quei rapporti di proprietà ingiusti su cui si fonda la loro dominazione, ma così facendo, ossia nel conflitto sociale, politico e culturale, sprizzano da tutti i pori una forma nuova e superiore di eticità. La lotta contro l’ingiustizia, lo sfruttamento e l’oppressione costituisce, in effetti, una forma ben superiore di eticità, rispetto alla vecchia concezione – non a caso fatta predicare dagli oppressori – che esalta la pace sociale, per mantenere un ingiusto status quo, funzionale a sviluppare forme sempre più disumane di oppressione, pur di massimizzare i profitti.
Perciò Brecht non può che, come di consueto, richiamarsi a Lenin che a ragione sottolineava come i comunisti, i rivoluzionari derivano le loro nuove e superiori norme etiche “dagli interessi che riguardano la loro lotta contro gli oppressori e gli sfruttatori” (68) [1]. Ecco, dunque, Brecht mettere in evidenza, mediante il richiamo a Lenin, un’altra delle contraddizioni della realtà e dell’eticità promossa dall’ideologia dominante. Quest’ultima predica sempre che un’azione veramente etica deve essere disinteressata, al contrario gli oppressi e gli sfruttati per agire eticamente devono seguire gli interessi specifici della loro lotta in tutti i campi contro sfruttamento e oppressione. Tali interessi, per altro, non sono degli interessi esterni, ma sono i loro stessi interessi consistenti nel liberarsi dalla propria subordinazione, liberando al contempo l’intera società da sfruttamento e oppressione. Si tratta, ovviamente, di un obiettivo etico ben più elevato e sostanziale, di chi si limita, per la propria salvezza personale, a seguire le norme etiche tradizionali e, necessariamente, conservatrici, lasciando così immutato un irrazionale assetto sociale che si fonda proprio su sfruttamento e oppressione.
Del resto, come osserva subito dopo Brecht, mostrando un’altra contraddizione reale e al contempo etica, sono proprio gli oppressi e sfruttati a comportarsi in modo veramente etico. Pur essendo costretti a vivere del minimo necessario alla riproduzione della classe degli oppressi, sono i primi, al contrario dei ricchi oppressori sempre interessati unicamente al loro profitto personale, a essere generosi, altruisti solidali. Mentre al contrario i ricchi sfruttatori sono generalmente tirchi, egoisti e ulta-individualisti. Così, sono proprio gli oppressi a tenere viva la norma etica dell’ospitalità, che gli sfruttatori hanno in generale da tempo perduta. Quindi, ecco di nuovo la contraddizione: proprio oppressi e sfruttati – su cui la classe dominante e di conseguenza il suo Stato tende sempre a risparmiare, per accrescere il profitto degli sfruttatori – sono coloro che più si spendono per gli altri. Essi lo fanno anche solo battendosi coraggiosamente per una società e un’eticità superiori, non più fondati sullo sfruttamento, ma sulla sua radicale eliminazione. Al contrario lo Stato imperialista, degli sfruttatori, tende costantemente a tagliare i servizi sociali, pubblici e culturali che potrebbero rendere la vita meno pesante agli sfruttati, per accrescere ancora di più gli anti-etici ed esorbitanti privilegi degli sfruttatori.
Lo stesso istinto naturale alla sopravvivenza, su cui si base il principio dell’etica tradizionale per cui ci si deve mantenere in vita, è sottoposto al dubbio da Brecht, considerato che “si deve temere più una vita cattiva che la morte” (68). Una vita cattiva, che produce sofferenze a sé e agli altri, non merita infatti di essere vissuta. Ciò vale tanto per criticare coloro che cercavano di giustificarsi per i crimini commessi, durante il regime totalitario nazional-socialista, sostenendo che disobbedire agli ordini, in particolare militari, poteva significare la morte. Allo stesso modo questo principio etico, che rovescia l’etica tradizionale, è utile, al contrario, per prendere come buon esempio coloro che hanno cercato di resistere al nazi-fascismo, mettendo a repentaglio la propria sopravvivenza.
Del resto se nella storia, a cominciare dagli schiavi, non si fosse seguito questo più moderno e razionale principio etico sostenuto da Brecht, nessuno avrebbe mai dato avvio a quelle ribellioni di schiavi che dovevano iniziare il lungo cammino della lotta degli uomini progressisti per la progressiva emancipazione del genere umano. Perciò Brecht sostiene che “talvolta, forse, dovreste mettere a rischio la vostra vita cattiva, per conquistarne una migliore” (68). Ancora una volta Brecht mostra come l’etica tradizionale sia fondamentalmente conservatrice e questo spiega perché le classi dominanti sono così interessare, tanto da finanziare i predicatori, affinché sia seguita dai subalterni. Questi ultimi sarebbero rimasti sempre tali, se in determinate condizioni non avessero capito che era necessario mettere in discussione le proprie condizioni di vita disumane, per potersi emancipare. Ciò, evidentemente, non significa sostenere l’eticità del suicidio, come fanno i fanatici religiosi o politici. Anzi per Brecht l’unico limite al mettere a repentaglio le proprie vite, in determinate situazioni storiche – per potersi conquistare per sé e i propri figli o in generale per ogni oppresso una vita degna di essere vissuta – è non ricercare “mai una morte certa” (68).
Brecht, ancora nelle vesti del filosofo e saggio marxista Me-ti aggiungeva, per meglio far comprendere il proprio pensiero sulle diverse questioni etiche affrontate, in modo lapidario, ma estremamente efficace, che “la fame è una cattiva cuoca” (68). L’affamato, in effetti, è schiavo di un bisogno assoluto da soddisfare, quello di nutrirsi e, quindi, non ha certo il tempo, la forza, l’energia e la volontà che può portare un cuoco a preparare delle prelibatezze. In tal modo Brecht tocca il tema della cattiveria dei poveri, degli umiliati e offesi che sono condannati a sopravvivere in un contesto economico, sociale e politico, in cui si è facilmente portati ad agire in modo anti-etico. Quindi i primi responsabili di tali azioni cattive debbono essere considerati coloro che, per i propri privilegi, costringono gli umiliati e offesi a vivere in delle condizioni disumane. In secondo luogo lo sono coloro che giustificano tale situazione, con ipocrite massime sedicenti etiche, come “beati i poveri” – non a caso quasi sempre ripetute dai benestanti, per evitare che i poveri possano ribellarsi alla condizione di asservimento e mettere in discussione i privilegi e il loro dominio. In terzo luogo è da considerare maggiormente responsabile delle “cattive” azioni di chi vive in una condizione di bisogno assoluto, chi – pur essendo benestante – non fa nulla per migliorare le condizioni di vita degli umiliati e offesi. Per cui, ad esempio, andrebbe considerato maggiormente colpevole il benestante che si volta dall’altra parte, dinanzi a una madre disperata che può essere costretta persino a rubare per poter sfamate i proprio bambini. Tanto più questo principio deve valere, per gli sfruttatori i ricchi e gli stessi benestanti che – per non avere problemi – non prendono posizione a favore dell’emancipazione dell’umanità, ma si permettono poi di stare a sindacare su gli umiliati e gli offesi che, per poter sfuggire alla schiavitù dal bisogno, si vedono costretti a ribellarsi e, quindi, sono egualmente costretti per emanciparsi o semplicemente per sopravvivere a mettere in discussione e, spesso, a dover contravvenire ad alcuni principi etici tradizionali, come ad esempio quelli religiosi, che si presentano sempre in forma assoluta.
Così richiamandosi alla lezione di Marx, Brecht critica la concezione tradizionale dell’etica per cui possono essere considerate virtuose unicamente quelle azioni che si compiono per il bene in sé, un bene quindi disinteressato. Dunque la virtù non può, secondo questa concezione tradizionale, che essere realizzata per se stessa. Deve essere un fine in sé e non può mai essere considerata uno strumento per qualche altra cosa. Al contrario “Marx metteva in guardia i lavoratori salariati dinanzi a tali virtù e consigliava loro di praticare unicamente quelle virtù che portassero loro dei vantaggi” (68).
Come abbiamo visto, le tradizionali concezioni dell’etica tendono a preservare, come le leggi tradizionali, l’ordine costituito, senza curarsi del fatto che tale ordine sia funzionale a mantenere un sistema dove i dominatori sono tali soltanto opprimendo e sfruttando i subordinati. Proprio per questo, secondo la concezione marxiana cui si richiama Brecht, gli umiliati e offesi non debbono più seguire i vecchi predicatori preteschi o moralisti che li vorrebbero ligi alle norme etiche tradizionali in quanto tali, in quanto sacre, etc. Al contrario la norma etica degli sfruttati e degli oppressi è di liberarsi da tale condizione, contribuendo in tal modo alla liberazione dell’intero genere umano. In effetti, secondo la concezione di Marx, il proletariato è la nuova classe universale, in quanto è l’unica che liberando se stessa, consentirà la liberazione dell’intera umanità. In quanto abolendo lo sfruttamento e l’oppressione creerà una società dove non ci saranno più classi dominanti e subalterne. Per altro Brecht non sopportava quei benestanti benpensanti che intendevano imporre dei doveri etici e morali ai lavoratori sfruttati, per quanto tali valori potessero essere in sé buoni, validi e auspicabili. Al contrario secondo Brecht l’unico reale sostegno alla lotta del proletariato consiste nella solidarietà con il suo sforzo di liberarsi dalle proprie catene, anche perché solo in tal modo sarà possibile, secondo l’insegnamento di Marx, costruire una società in cui lo sfruttamento e l’oppressione saranno per sempre banditi.
Continua nel numero 256, on-line tra quattro settimane
Note:
[1] I brani che commenteremo e parafraseremo in questo articolo sono tratti da B. Brecht, Me-ti. Libro delle svolte [1934-37], tr. it. di C. Cases, Einaudi, Torino 1970. Tra parentesi tonde metteremo a fianco di ogni citazione il numero delle pagine del libro in questa sua traduzione italiana. Non segnaliamo i casi in cui giudichiamo necessario modificare la traduzione.