Anche il pubblico è chiamato, nella concezione dell’arte di Bertolt Brecht, a svolgere un ruolo attivo. In questo modo viene colmato l’abisso che separava l’azione scenica dal suo pubblico, quell’abisso costituito dall’orchestra che, come osserva Walter Benjamin, “separava spettatore e figure sceniche come i morti dai vivi” [1]. Peraltro, Brecht non poteva più limitarsi a criticare l’atteggiamento che assumeva normalmente lo spettatore nei confronti dell’arte, ma doveva ricercarne uno maggiormente adeguato alla ricezione delle nuove opere. Ora, nella nostra epoca caratterizzata da Brecht come scientifica, l’atteggiamento dello spettatore doveva essere il più possibile adeguato all’atteggiamento sperimentale dello scienziato. Era, infatti, necessario espandere, per mezzo della rappresentazione teatrale, l’atteggiamento critico e scientifico dell’uomo nei confronti della natura all’analisi dei problemi sociali. Il pubblico ideale per la nuova arte era, allora, costituito da chi, sulla base della nuova epistemologia, lavorava attivamente alla trasformazione del mondo.
L’oggettività, come atteggiamento maggiormente adeguato alla conoscenza scientifica, esige, però, la distanza. L’opera, allora, deve consentire al pubblico di poter mantenere dall’evento rappresentato quel distacco indispensabile alla comprensione. Così, lo sforzo di riconnettere all’interno dello specifico artistico il momento conoscitivo e la necessità di prendere le distanze da ogni forma di naturalismo spinsero Brecht a porre sempre più al centro della sua riflessione l’elemento della “sospensione” nell’ambito denotativo dell’opera d’arte.
Brecht era consapevole che il tentativo dei naturalisti aveva messo in crisi la peculiarità stessa della denotazione artistica. La possibilità che aveva la struttura dell’opera di illustrare un mondo era, infatti, imprescindibilmente legata ad una sospensione distanziante, che impedisse la referenza immediata del discorso descrittivo. Solo attraverso l’artificiosità di questa ricostruzione lo stato abituale delle cose poteva esser recepito dal pubblico come qualcosa di problematico e di migliorabile; solo attraverso uno sguardo esterno lo spettatore sarebbe stato in grado di ricomprendere il milieu in cui vive e da cui è inevitabilmente condizionato.
Allo stesso modo Brecht sentiva il bisogno di opporre a quella concezione pseudo-realista, che mirava essenzialmente a una resa più fedele possibile degli avvenimenti, una rinnovata arte drammatica che, palesando la natura illusionista del gioco scenico, aprisse lo spazio a quella ricomposizione degli elementi del reale che sola avrebbe reso possibile il disvelamento dello stato delle cose. Per restituire all’arte drammatica il compito di riprodurre la realtà e di rendere l’atteggiamento critico dello spettatore consono all’arte, era dunque necessario reimpostare radicalmente il rapporto palcoscenico-platea. A questo scopo Brecht ha cercato di sostituire alla tradizionale immedesimazione l’effetto di straniamento.
Il termine “effetto di straniamento” compare per la prima volta negli scritti brechtiani in un articolo dedicato all’analisi della tecnica recitativa del teatro orientale, composto dopo aver assistito ad una performance dell’attore cinese Mei Lan-fang.
Ciò che colpisce l’attenzione di Brecht è che l’attore orientale mostra sempre di essere ben cosciente di venire osservato: “l’artista porta ad espressione che egli sa che lo si sta a guardare. Egli stesso si sta a guardare” [2]. Lo stile stesso della rappresentazione scenica è strutturato sulla base della recitazione straniata dell’attore, poiché questi si fa latore del compito di mostrare qualcosa mostrando al contempo se stesso. Il contatto con una tradizione teatrale radicalmente “altra” non fece che rafforzare Brecht nella sua idea che fosse possibile reimpostare l’intera rappresentazione scenica trasformando la relazione tra attore e pubblico.
A questo scopo doveva essere a tutti i costi spezzato quel circolo vizioso di immedesimazioni che finiva per deresponsabilizzare del tutto il pubblico rispetto a quanto veniva rappresentato sulla scena. Come osserva Brecht nel suo diario: “è la tecnica dell’illusione e delle suggestioni a rendere impossibile l’atteggiamento critico del pubblico. I grandi avvenimenti sono portati in scena solo se contengono qualche vicenda privata che inchiodi lo spettatore mentre si tratterebbe di liberarlo” [4]. Come ha osservato a ragione, a tal proposito, J. Willet: “il pubblico è trascinato entro «l’intreccio» è indotto a identificarsi con i personaggi; i mezzi con cui questa identificazione viene raggiunta sono falsificazioni della realtà; e lo spettatore è troppo contento di essere ipnotizzato per rendersene conto. Per quanto brillante sia uno spettacolo, il suo effetto (se non il suo obbiettivo) è di suscitare un atteggiamento acritico” [5].
Affinché lo spettatore fosse messo nella condizione di comprendere quello che veniva rappresentato, e non dovesse limitarsi a rivivere ciecamente un qualche destino a lui estraneo, l’attore non doveva recitare in maniera introspettiva. L’evento scenico ed i suoi personaggi dovevano esser mostrati come un che di storico, di avvenuto, rispetto al quale lo spettatore potesse assumere un atteggiamento distaccato, riflessivo. In questo modo l’interprete può affrancarsi dai vincoli della causalità del gioco scenico.
Brecht ritiene, infatti, che alla base della fede nel principio di causalità vi sia unicamente l’abitudine. Lo straniamento, quindi, permettendo di rompere la visione abitudinaria del pubblico, ha come conseguenza di porre in dubbio l’assoluta legalità della causalità. Una visione non straniata presuppone che si considerino gli enti e gli avvenimenti come noti; non stimola, dunque, alla loro ricomprensione, ma al loro riconoscimento all’interno di coordinate prestabilite.
Alla base dello straniamento si trova, invece, un radicale scetticismo verso tutto ciò che è dato. In questo senso, l’effetto di straniamento, rimettendo in questione la cattiva effettività alla quale si è abituati, ha un carattere eminentemente critico. L’effetto di straniamento ha, infatti, una doppia funzione: da una parte rappresenta un momento di rottura rispetto alla diretta immedesimazione dello spettatore con l’azione scenica, dall’altro ristabilisce la continuità nella definizione dello spazio, rispetto alla netta cesura del teatro precedente, tra scena e pubblico.
Tuttavia, benché sia eliminata quella netta cesura spaziale rappresentata dall’orchestra, il teatro non-aristotelico di Brecht non aspira in nessun modo a ritornare a un qualche mitico spazio originario, alla visione immediata, assoluta della metafisica. Per Brecht, infatti, non è pensabile alcun guardare che non sia stato già coniato e formato da visioni e da idee precedenti, per lui è indispensabile che il pubblico tenga sempre ben presente il suo patrimonio di visioni e di idee, per poterle confrontare criticamente con quelle che gli sono proposte sulla scena. Si tratta, allora, di ricostruire un nuovo spazio che non rigetti il momento della negazione da cui è sorto, ma che lo riassorba in sé, che ne faccia un momento costitutivo della sua essenza. Uno spazio che possiamo definire “della percezione”.
La rappresentazione scenica può allora, grazie all’effetto di straniamento, riorganizzare la percezione dello spettatore, non solo dal punto di vista estetico, ma anche dal punto di vista della percezione della realtà. A questo scopo non è più sufficiente limitarsi a una semplice riproposizione della “realtà” sulla scena, ma questa deve esser straniata, per permettere al pubblico di comprenderla e di poter intervenire su di essa. In altri termini, all’effetto di straniamento Brecht affida la funzione di trasfigurare l’oggetto, distanziandolo dalla rete di rapporti empirici in cui è abitualmente inserito, nella dimensione universalizzante dell’opera. Qui a venire meno è proprio quella percezione abituale che non consente un’osservazione adeguata dell’oggetto. Solo nella dimensione dell’opera è, invece, possibile una comprensione in grado di rompere la percezione superficiale dell’oggetto. Esso si ripresenta, così, in una dimensione straniata che consente di metterne in luce i diversi e contraddittori aspetti, potenziandone in tal modo la significanza. La stessa valutazione assiologica dell’oggetto non può più essere presupposta come data, ma va riconsiderata all’interno della catena causale che costituisce la struttura dell’opera.
L’atteggiamento critico che l’attore deve comunicare allo spettatore ha, al di là del suo indubbio valore pedagogico, una notevole importanza anche per l’intera struttura dell’opera, che è ora riadattata da Brecht per poter assolvere a questa nuova funzione. In primo luogo è il processo stesso di strutturazione interna dell’opera che non deve più attuarsi all’insaputa dello spettatore.
Brecht esige che le strutture portanti dell’opera siano messe a nudo, di modo che sia stimolato il distanziamento critico del pubblico, affinché lo spettatore sia portato non solo a riconsiderare criticamente l’atteggiamento di passività recettiva che assume nei confronti degli eventi rappresentati, ma a rimettere in questione la stessa percezione ingenua che ha di fronte alla realtà. L’artista non ha più unicamente la funzione di trasfigurare il reale nella nuova dimensione di senso istituita dall’opera, ma deve stimolare lo spettatore stesso a farsi parte attiva di quell’operazione preventiva di presa di distanza dal livello dell’immediatezza che ne ha consentito la piena comprensione. Non si tratta, tuttavia, di un gioco intellettualistico, quanto di richiedere allo spettatore una cooperazione cosciente allo sforzo di ricomposizione del materiale nella totalità architettonica dell’opera. Questa non deve più comunicare al proprio pubblico delle soluzioni, ma proporgli degli interrogativi, che esigono una soluzione. Tutto ciò che appare ovvio, gli enti e gli avvenimenti che sono presupposti generalmente come noti, devono essere resi in un certo senso incomprensibili, estranei, devono essere isolati da quelle coordinate abituali di senso che ne assicurano la comprensione, affinché divengano intelligibili, in tutta la loro complessità, allo spettatore. È unicamente questa operazione preventiva di presa di distanza a consentire la comprensione. Brecht ritiene, infatti, come Hegel, che il noto, proprio perché considerato tale, non sia in realtà conosciuto.
Note:
[1] W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, tr.it. di E. Filippini, Einaudi, Torino 1966, p. 134.
[2] B. Brecht, Grosse kommentierte Berliner und Frankfurter Ausgabe, a cura di W. Hecht, J. Knopf, W. Mittenzwei, K. Delef-Müller, Aufbau Verlag, Berlin und Weimar, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1989-2000, vol. 22.1, p. 152.
[3] Brecht, oltre che nel teatro cinese, aveva individuato importanti anticipazioni dell’effetto di straniamento nel teatro classico spagnolo, nel teatro popolare dell’epoca di Bruegel e nel teatro elisabettiano (cfr. ivi, p. 557). Mancano, curiosamente, nell’opera brechtiana riferimenti al teatro romantico ed alla produzione drammaturgica di Tieck, certamente estremamente ricca di “effetti straniati”.
[4] Id., Diario di Lavoro, tr. it. di B. Zagari, Einaudi, Torino 1976, 17/10/1940.
[5] J. Willet, Bertolt Brecht e il suo teatro [1959], tr.it. di E. Capriolo, Lerici, Milano 1961, p. 238.