Quando la poesia parla dello "spossessamento" dopo una violenza di genere

Presentato presso l'Ambasciata di Cuba la silloge di Yulesy Cruz Lezcano


Quando la poesia parla dello "spossessamento" dopo una violenza di genere

La silloge “Di un’altra voce sarà la paura” recentemente presentata a Roma presso l’Ambasciata della Repubblica di Cuba, già dal titolo tradisce una buona parte del contenuto e del messaggio che intende mandare: “Lo spossessamento di sé attraverso un’esperienza di violenza è qualcosa di molto vicino alla morte, anzi, la imita talmente bene da imporre una resurrezione”. Lo spossessamneto, la Yulesy Cruz Lezcano, l’autrice, lo ha percorso, è proprio il caso di dire, attraverso una vera e propria violenza fisica. “Ho una ferita/ sul petto segnato/ come una corte deserta/ di terra bruciata/ dal pianto arido, calpestato/ divenuto pietra, solo per esistere.
Da questo punto di vista la raccolta di poesie è in realtà non solo una denuncia forte e chiara, tanto che durante la presentazione Yulesisy ha argomentato con enfasi e appropriatezza tutte le sue ragioni provocando una forte partecipazione da parte del pubblico, ma è anche altro, un prezioso racconto del suo percorso, un diario di bordo, di ciò che bisogna fare per trasformare lo spossessamento in una rinascita, per “ricostruire la propria forma”. “Voglio vedere il mondo/ attraverso l’amore/ tra la rugiada della sera/ e la rugiada del mattino”, scrive Lezcano nelle ultime pagine della sua raccolta. Ma, appunto, come abbiamo sottolineato, su questa volontà di risalita fa fede il titolo, così denso di implicazioni e conseguenze: “La paura non mi appartiene”, quindi, “la voce della paura è rimasta nel corpo spossessato”.
La presentazione presso l’ambasciata di Cuba è stata l’occasione, grazie anche al contributo di Cinzia Baldazzi, relatrice, e di Anna Maria Ferramosca, intervenuta dal pubblico, per approfondire un confronto generale su ciò che si intende per poesia. Due le suggestioni uscite. Innanzitutto, lo stretto legame tra parola e vita del poeta. Legame che oggi si fa sempre più raro. E poi, la necessità di rendere questa parola un canto.
Non sono elementi da sottovalutare. Anche perché l’esperienza di Lezcano ci parla di poesia migrante e di poesia che provenendo dalla cultura del Sudamerica vanta una forte contiguità sia con il canto che con la parola-vita.
Infine, non si può non focalizzare l’attenzione proprio sull’uso del verso da parte dell’autrice. Un verso piano e semplice, con echi pascoliani, certamente, a volte anche ermetici, pur senza pretese intellettualistiche, ma con una forza interna e una efficacia che non si possono ignorare. Tutto poggia sulla costruzione delle immagini, anche crude, pescate non solo da una fervida fantasia ma anche da quel necessario stare a cavallo tra un pensiero astratto legato alla cultura di origine e una soluzione linguistica cercata nella cultura di adozione: un arco dinamico nuovo e importante per la poesia che è uno dei tanti tesori che solo la poesia migrante ci può regalare e che varrebbe la pena di non sottovalutare.
Brevi versi inaugurano tutti i capitoli e a volte, come con “poco prima di soffrire, l’innocenza chiederà caramelle”, il risultato ottenuto è quello forte della commozione interiore. Oppure, “tanto calice per una bocca di polvere”, che sfodera l’imperio di una sentenza.
Metafore molto penetranti come “dalle palpebre del vento si aprono labbra” conducono per mano il lettore verso mondi realmente sconosciuti.
L’Ambasciata di Cuba ha fatto bene, e le va riconsciuto totalmente, ad ospitare questo evento di poesia. E’ un piccolo ma importante segnale del ruolo che questi sedi così prestigiose possono svolgere per favorire il confronto culturale tra i popoli superando etichette e burocrazie e andando a pescare proprio dove l’espressione artistica viene vissuta come regola quotidiana.

10/09/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Fabio Sebastiani

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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