Turner, il pittore della luce

Il regista Mike Leigh affronta, in questo film, gli ultimi 25 anni di vita del famoso pittore paesaggista inglese J. M. W. Turner, nato nel 1775 e morto nel 1851. L’artista è, quindi, ritratto quando è già noto e affermato e ha già girovagato per l’Europa con i suoi taccuini pieni di disegni, schizzi, materiale cui ispirarsi per dipingere. Ciò non emerge nel film di Leigh che, per motivi di budget, non ha potuto girare le scene dei suoi viaggi in Francia, Svizzera e a Venezia


Turner, il pittore della luce

Un buon film su un materiale che appare poco propenso ad assumere la forma dell’opera d’arte. Nonostante l’abilità del regista e dell’interprete nel fornire una rappresentazione realistica e contrastante con tutti gli stereotipi dell’artista, il film stenta a decollare in quanto la rappresentazione minuziosa del soggetto toglie spazio alla grandezza immortale dell’opera

di Renato Caputo e Rosalinda Renda

Il regista Mike Leigh affronta, in questo film, gli ultimi 25 anni di vita del famoso pittore paesaggista inglese J. M. W. Turner, nato nel 1775 e morto nel 1851. L’artista è, quindi, ritratto quando è già noto e affermato e ha già girovagato per l’Europa con i suoi taccuini pieni di disegni, schizzi, materiale cui ispirarsi per dipingere. Ciò non emerge nel film di Leigh che, per motivi di budget, non ha potuto girare le scene dei suoi viaggi in Francia, Svizzera e a Venezia. Turner è, invece, ritratto in particolar modo in Inghilterra, nella sua casa accanto al suo amato padre, che gli fa anche da assistente: gli prepara i colori e le tele e da ex-barbiere, lo rade. In tal modo l’attitudine cosmopolita del grande pittore scompare dietro un personaggio che, per quanto realisticamente rappresentato, rischia di apparire decisamente più provinciale di quanto in realtà non fosse.

La morte del padre, per quanto di umili origini, sconvolgerà l’artista e il suo carattere rude ed eccentrico sarà ancora più marcato: lo dimostrano l’atteggiamento ostile nei confronti dell’ex-moglie e delle sue figlie che non ha mai accettato, gli incontri alla Royal Academy of Arts con gli artisti e intellettuali del tempo: la sfida con Constable, gli incontri con il collega in disgrazia Haydon (che egli a suo modo aiuta), il rapporto con il giovane pittore e critico d’arte John Ruskin che ammirava il suo lavoro e che invece trova un Turner infastidito di fronte ai pedanti elogi. La rappresentazione di Ruskin è decisamente unilaterale, se ne pongono in evidenza unicamente i limiti per far meglio risaltare la ruvida schiettezza di Turner. In questo caso si rischia di scadere nella banale contrapposizione fra il popolano Turner e il pedante e viziato intellettuale Ruskin. D’altra parte uno degli aspetti più significativi della rappresentazione di Turner è il suo essere tanto artista quanto artigiano, tanto genialmente innovativo quanto nazional-popolare, un vero e proprio anti-eroe contrapposto allo stereotipo romantico dell’artista tutto genio e sregolatezza.  

Anche il tema della sessualità dell’artista è affrontato dal regista: ne emerge un Turner alquanto maschilista e classista (ma questo tratto è sicuramente realista per il tempo storico) nei ripetuti assalti, quando colto dall’impeto sessuale, nei confronti della devota governante, ma che sa essere invece anche dolce e tenero nei confronti dell’attempata affittacamere di Margate, Sophia Booth, che diventerà sua amante e che lo assisterà fino alla fine. Emerge quindi, dietro l’aspetto burbero di questo maestro, spesso rappresentato nell'atto del grugnire, anche l’altra faccia che sa essere delicata e sensibile, come mostra la scena in cui chiede a Miss Coggins di suonare al pianoforte la sua aria preferita, il Lamento di Didone di Henry Purcell, che l’artista inizia a cantare in modo tanto semplice quanto struggente. In generale, significativa è la scelta di rappresentare in modo anche crudamente realistico gli amori di Turner, sfuggendo anche in questo caso ai correnti stereotipi di attori tutti gonfiati e rifatti e privi di qualsiasi tratto umano.

C’è una scena, forse tra le più interessanti del film, in cui un ricco borghese ammiratore dei quadri di Tuner ne vuole comprare l’intera opera dietro un lauto compenso, Turner rifiuterà perché egli pensa che tutte le sue opere debbano andare alla National Gallery per essere esposte insieme e fruite gratuitamente da tutti. In effetti Turner lasciò tutti i suoi dipinti allo Stato britannico (ma questo nel film non è raccontato), allo scopo di farli esporre tutti insieme. Sfortunatamente “a causa della tirchieria del governo liberale inglese e del mancato accordo sul luogo in cui tale edificio sarebbe dovuto sorgere, neppure questo desiderio si avverò. Ventidue anni dopo la sua morte il parlamento promulgò una legge che permetteva che i dipinti di Turner potessero essere prestati a musei che si trovavano fuori Londra: in questo modo iniziò un processo di dispersione delle opere che Turner voleva invece rimanessero radunate insieme” [1

Il regista sceglie così di privilegiare la biografia del pittore e poco però ne emerge l’opera: è forse un po’ questo il limite del film. Si potrebbe anche aggiungere che sia il limite di questo genere di opere dedicate alle vite degli artisti, che finiscono necessariamente per dover lasciare fuori campo ciò che veramente importa, la cosa stessa: ossia le opere d’arte. Mentre emerge in primo piano ciò che meno interessa, ossia la singola individualità dell’artista. Alla raffigurazione di tale individualità particolare si finisce infatti per sacrificare anche la rappresentazione di un tipo storico-sociale, in grado di simboleggiare in modo realistico un mondo storico o di interpretare come ogni grande artista lo spirito di un popolo.

D’altra parte la vita privata di Turner è rappresentata con estrema grazia e realismo e ciò è ancora più evidente per chi lo paragona con il Leopardi a Napoli sempre fuori dalle righe, rappresentato in modo quasi voyeristico da Mario Martone. Al contrario dal film di Leigh emerge un personaggio complesso e anticonformista che dietro ai suoi grugniti è anche pieno di sense of humor, ed è serio ed eccentrico nello stesso tempo, come si evince nella scena in cui, dopo aver visto il quadro di Constable accanto al suo dominato dal colore rosso, mette una macchia rossa sul suo, prevalentemente grigio e rappresentante un mare burrascoso. Certo, Turner solitario e taciturno non ebbe sicuramente una vita mondana e costellata da eventi straordinari, tanto più che come abbiamo visto per motivi economici viene sacrificato proprio il suo aspetto più caratteristico di instancabile viaggiatore, e per questo motivo, nonostante la bella descrizione biografica, il film risulta a tratti con poco ritmo e un po’ noioso.

Quello che non emerge del tutto è, però, soprattutto la grandezza del pittore perché non ne è indagata sufficientemente l’opera. Solo in qualche scena si comprende quanto sia stato innovativo questo pittore, appartenente al movimento romantico ma precursore dell’impressionismo e come la sua sperimentazione della luce e dei colori a danno della forma che si sviluppa nel corso degli anni lo porterà però al declino negli ultimi anni di vita (decisiva è anche la stroncatura della giovane Regina Vittoria che non avrà belle parole per quello che considera un ammasso di giallo). Particolarmente significativa appare nel film l’assoluta mancanza di gusto della regina, che nonostante tutte le arie che si dà non appare assolutamente in grado di cogliere la grandezza dell’opera di Turner e, anzi, la condanna proprio perché rompe creativamente con la maniera dominante. Da questo punto di vista i pregiudizi della Regina e la totale incapacità di giudizio sono del tutto identici alla greve ironia di un teatrino di periferia che gioca sugli istinti più grevi e plebei delle masse per condannare ogni tentativo di creare una rappresentazione artistica rivoluzionaria.

Questo artista pieno di passione per la luce e dei sui riflessi, nonostante il successo non venne osannato dalla critica (a parte il giovane Ruskin, davvero ingiustamente messo alla berlina nel film): la sua arte fu considerata infatti oltraggiosa e folle. Questa continua ricerca della luce è comunque narrata nel film, fino ad arrivare al punto di morte, quando Turner esclamerà: "Il sole è Dio!"

Quattro nomination agli Oscar e una palma a Cannes 2014 per il protagonista Timothy Spall, sicuramente meritate, ci inducono sicuramente a consigliare questo film, anche se con una sostanziale riserva: la preponderanza della soggettività del singolo individuo nei confronti di ciò che davvero conta e fa storia: ossia la cosa stessa di un’opera d’arte che ha rivoluzionato il gusto e la maniera dominante e che dà ancora oggi molto da pensare. È certo solo l’opera d’arte a poter rappresentare lo spirito di un’epoca e non il singolo individuo che interpretando lo spirito del proprio popolo la ha realizzata.

 

[1] Wikipedia [Online]. Available: http://it.wikipedia.org/wiki/William_Turner

 

07/02/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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