Gli otto personaggi del film richiamati nel titolo sono pieni di odio, ripugnanti, detestabili, odiosi, appunto. Quasi tre ore e mezza in compagnia di tali personaggi pronti unicamente a sbranarsi gli uni con gli altri mettono alla prova anche il più sadico dei cinephile. Per il resto, Tarantino non fa che ripetere, in modo questa volta decisamente più stanco, gli stereotipi postmoderni tipici del suo cinema alla moda in questi tempi oscuri di restaurazione, ma lo spettacolo è assicurato!
di Renato Caputo e Rosalinda Renda
Voto: Renato 5-; Rosalinda 7+
Le tipiche inquadrature degli spazi sterminati del West, alla John Ford per intenderci, occupano solo la parte iniziale e finale di The Hateful Eight, ultimo film di Quentin Tarantino. Abbiamo così giusto il tempo per mettere a fuoco una diligenza che corre in una distesa di neve sotto un cielo che minaccia tempesta. La diligenza, che ospita un cacciatore di taglie e una ricercata, è in viaggio verso Red Rock dove la ricercata dovrà essere giustiziata e il bounty killer avrà la sua ricompensa. Ma durante il viaggio salgono due inaspettati passeggeri a causa della bufera: un altro cacciatore di taglie, un nero che ha combattuto nell’Unione, e un rinnegato del Sud che si dice futuro sceriffo di Red Rock. La bufera li costringerà a fermarsi all’emporio di Minnie dove incontreranno altri ambigui personaggi. Ed è proprio qui, all’interno dell’emporio, che si svolge l’intera vicenda; il film assume così le caratteristiche di una pièce teatrale dove tutti i personaggi sono rinchiusi in un unico spazio e non possono uscire a causa della bufera.
Lo stare tutti rinchiusi in uno stesso luogo scatena diffidenze reciproche, conflitti che hanno sullo sfondo la guerra civile appena conclusa, ma evidentemente non ancora risolta soprattutto riguardo il tema della discriminazione razziale. Purtroppo questo tema sostanziale, l’unico presente in un film per altro di genere postmoderno e di evasione, non è adeguatamente sviluppato dal regista. Il nero, che dovrebbe rappresentare questa epica lotta contro lo schiavismo, uno dei momenti più alti per l’emancipazione dell’umanità nel corso del diciannovesimo secolo secondo lo stesso Marx, ci è presentato come uno spietato cacciatore di taglie.
Un bugiardo, un sadico assetato di sangue e di vendetta e che per altro si è a sua volta macchiato di crimini contro l’umanità prendendo parte al genocidio dei pellerossa. Egli si comporta come gli altri ripugnanti (hateful) personaggi, uccide e tortura, fisicamente e psicologicamente. Ciò lo porta a rovesciare la contrapposizione che si era prima creata, fra razzisti confederati e unionisti che rivendicavano la liberazione dei neri e ad allearsi con il personaggio che rappresenta la più odiosa (hateful) “feccia sudista”, gettando alle ortiche gli ideali!
La riconciliazione avviene in quanto ormai entrambi operano come strumenti della violenza legale, su cui si fonda il potere statunitense, che si esercita nel modo più spietato contro i fuori legge, che vengono del tutto disumanizzati e presentati come rappresentanti del puro male, per giustificare il sadismo dei guardiani dell’ordine costituito. In tal modo, però, tutti i personaggi - chi si batte per l’emancipazione chi per lo schiavismo, chi combatte in nome della legge, chi di un clan criminale - sono accomunati in una notte in cui tutte le vacche sono nere.
La nuova contrapposizione è ora fra americani uniti dai “valori della frontiera” [1], duri ma onesti, e una banda di malviventi essenzialmente stranieri, che richiamano chiaramente la minaccia terrorista, dinanzi alla quale bianchi e neri, rossi o bruni devono superare le differenze per poter combattere una guerra senza esclusione di colpi, la guerra contro un nemico che non può essere in nessun modo riconosciuto, per contrastare il quale tutto diviene lecito, anche ripetuti atti di violenza e umiliazione verso l’unica donna presente fra i “detestabili” otto.
Se, dunque, in Django Unchained avevamo la riabilitazione del tedesco, massacrato senza pietà in Bastardi senza gloria, in nome della lotta allo schiavismo, qui abbiamo la "rovescista" riabilitazione dell’estremista schiavista in nome della lotta ai terroristi stranieri.
Tutti mentono riguardo la propria identità anche se continuano a mostrare documenti, lettere, atti per comprovare le bugie che si raccontano. La macchina da presa li segue, segue le loro interazioni, i loro sguardi reciproci, le loro sfide e in ciò aiuta la scelta del regista di usare il 70mm in alta definizione, obiettivo d’epoca riadattato, al posto del digitale, che permette di osservare al meglio e nei minimi particolari l’azione all’interno della stanza. Azione, però, tutta improntata alla pura legge della giungla, dove ognuno cerca di prevalere a spese degli altri, con una apologia della violenza e del cinismo di stampo nietzschiano.
Purtroppo la versione in 70 mm è riservata solo a tre schermi in tutt’Italia che la proietteranno per tutto il mese di febbraio: quello della Sala Energia al Cinema Arcadia di Melzo (Mi), il Cinema Lumière della Cineteca di Bologna e il famoso Teatro 5, di felliniana memoria, a Roma negli studios di Cinecittà. Le proiezioni in 70 mm (a Roma la domenica mattina sono in lingua originale) sono, più lunghe di 7 minuti, contengono un’overture con le musiche di Ennio Morricone in classico stile western alla Sergio Leone e un (vero) intervallo di 15 minuti.
Per chi può ne vale certamente la pena, nonostante il vergognoso prezzo del biglietto a 15 euro, senza nessuna riduzione, sebbene i servizi offerti lascino assolutamente a desiderare (file chilometriche, toilette assolutamente insufficienti, ecc.). Interessante vedere nel gigante schermo del teatro 5 di Cinecittà (dove noi l’abbiamo visto) come il western diventi un giallo alla Agatha Christie, poi un thriller e poi un horror splatter in puro stile Tarantino con significativi colpi di scena. Il film presenta molte delle trovate classiche del regista statunitense a partire dal tipo di narrazione, dai dialoghi, dai flashback, dal montaggio. Si tratta, dunque, di un film di genere, alla Tarantino, ma in tono decisamente minore rispetto a diversi film precedenti.
The Hateful Eight è una versione western delle Iene, come ha affermato lo stesso Tarantino, tuttavia è più lungo e lento, quindi qualche sforbiciata non gli avrebbe fatto male, viste le tre ore e mezza di durata. Tuttavia il film è godibile e non annoia, considerato che si tratta di un’opera culinaria della più efficiente industria dello spettacolo: gli attori sono molto bravi ed è presente un significativo effetto di straniamento. Almeno per un pubblico dotato di una certa coscienza storica e politica che non può certo riconoscersi in personaggi cinici e assetati di sangue. Non ci sono eroi come nei tipici film hollywoodiani, non si sono personaggi positivi, anche se il regista, si percepisce, tra gli “odiosi otto”, quello che preferisce è il “nero ammazza bianchi”, tanto per rovesciare, e giustamente, il tipico razzismo dei classici western. Detto questo, il film non presenta nessuna significativa prospettiva, se non quella del gusto sadico per la vendetta e nel veder soffrire e umiliare il proprio nemico.
A parte la nota antirazzista il film non ha grandi contenuti e fini da comunicare, restano tre ore e mezza di puro cinema. Non è poco. Ma neanche molto, visto che il film lascia ben poco da pensare allo spettatore, se non una mesta considerazione sulla mancanza di spessore intellettuale e morale di uno dei registi più acclamati. E ciò non può che dispiacere, infatti se la bella forma fosse stata condita con un pizzico di contenuto in più il film ne avrebbe sicuramente beneficiato, ma del resto non sarebbe più stato un film di Tarantino, va bene così.
Note
[1] I valori della frontiera avevano del resto portato sia il bianco confederato sia il nero unionista a compartecipare al genocidio dei nativi e li porteranno a una vera e propria apologia dell’esecuzione extra-giudiziale dei criminali, che non può che ricordare le attuali uccisioni mirate dei terroristi.