Villetta con ospiti di Ivano De Matteo, Italia 2020, voto: 8; film davvero impeccabili dal punto di vista della critica realista a tutti i rappresentanti tipici della classe dominante. Molto significativo perché denuncia il profondo classismo e razzismo dello Stato e della “giustizia” italiana. Tanto che una ricca proprietaria può impunemente assassinare nella propria abitazione un diciottenne rumeno, che ha una relazione con la figlia. Non solo è coperta dal marito imprenditore, ma anche dal rappresentante delle forze dell’ordine borghese, dal sacerdote, dal medico e dalla stessa figlia, sebbene abbia perduto il ragazzo. Figlia che poco prima aveva fatto una tragedia perché la madre le aveva impedito di uscire la sera e ora, dinanzi all’assassinio del ragazzo, cede subito all’invito del padre a non fare nulla che potrebbe mettere in discussione i loro irrazionali privilegi di classe. Il tutto mentre il giovanissimo rumeno, colpevole esclusivamente di aver ceduto alle avances della figlia del padrone, viene lasciato morire dissanguato nella villetta di lusso di una cittadella di provincia del nord-est. Sarebbe bastato chiamare un’ambulanza per salvargli la vita, ma in tal modo sarebbero rischiati di emergere tutti i cadaveri negli armadi di ogni rappresentante della classe dominante in questo microcosmo. Tanto più che in una località di provincia ogni esponente della classe dominante conosce le malefatte nascoste dietro il perbenismo dell’altro. Per cui se un solo anello della catena delle classi dominanti cedesse, per salvare la vita a un giovanissimo innocente, gli ingiusti e irrazionali privilegi classisti rischierebbero di essere rimessi in discussione. Così ognuno finisce per giocare la sua parte, nel modo più ipocrita, a partire naturalmente dal prete e dalla proprietaria beghina e assassina. Un film sicuramente godibile esteticamente e che lascia molto da riflettere in senso critico allo spettatore e che è stato naturalmente completamente boicottato dall’(a)critica cinematografica, anche della sedicente sinistra radicale. Una critica pronta sempre a esaltare le più vergognose celebrazioni postmoderne dell’ideologia dominante e altrettanto sempre schierata a ranghi compatti a condannare un film che si pone coraggiosamente fuori dal coro e che disvela come l’imperatore sia in realtà nudo. Dunque, un film realista, di critica sociale, con personaggi tipici e di grande attualità – anche riguardo alle assurde nuove leggi che pretendono di assolvere ogni delitto a difesa di una presunta messa in discussione della propria proprietà privata – o viene semplicemente passato sotto silenzio o stroncato da critici che tendono a esaltare incondizionatamente anche le peggiori aberrazioni del cinema italiano. L’unico rimprovero che può essere rivolto al film, nel suo rigoroso realismo, è la mancanza completa di una reale alternativa dinanzi a una classe dominante così brutalmente attaccata ai propri meschini privilegi classisti. Nel film non vi è nessuna possibilità di una prospettiva in grado di andare al di là di questo intollerabile esistente. Manca il principio di speranza e lo spirito di utopia che portano a lottare per un mondo migliore. Per quanto giustificabile nell’ottica di una raffigurazione “scientificamente” naturalistica dello stato attuale della società italiana, il film, sebbene svetti nel panorama miserrimo del cinema del nostro paese, lascia con l’amaro in bocca, in quanto non sembra in grado di offrire una reale catarsi dinanzi alla rappresentazione di una così nefasta e fosca tragedia.
Picciridda con i piedi nella sabbia di Paolo Licata, drammatico, Italia 2019, voto 6+; film intenso, costruito intorno a una tragedia sostanziale: la violenza sulle donne nella sua forma più insidiosa e diffusa, ovvero quella che ha luogo in ambito familiare. Il tutto all’interno di una comunità tradizionalista in cui la donna che denuncia una violenza rischia di essere fatta passare come una femmina di facili costumi. Significativo anche il dramma dell’immigrazione, visto dal punto di vista degli italiani costretti a emigrare per motivi economici. Il film, pur non facendo concessioni all’ideologia dominante postmoderna, tende a presentare gli eventi come una tragedia al di fuori del contesto storico e sociale. Inoltre, la soluzione catartica che propone appare piuttosto debole e insoddisfacente, limitandosi all’intellettualistico occhio per occhio e all’atavica tendenza a farsi “giustizia” da soli, non riuscendo a superare la mera vendetta.
Palladio di Giacomo Gatti, documentario, Italia 2019, voto: 6; interessante documentario per l’importanza della tematica affrontata e per l’indubbia elevata qualità estetica dell’oggetto d’indagine. Interessante anche lo sguardo internazionale sui profondi effetti dell’arte di Palladio in diversi paesi del mondo. Purtroppo il documentario, non volendo risultare noiosamente didattico, finisce con l’essere poco organico, dando spazio a delle storielle che dovrebbero rendere più attraente il documentario e, invece lo rendono solo ridicolo.
Dentro Caravaggio di Francesco Fei, documentario, Italia 2019, voto: 6; documentario senza infamia e senza lode. L’argomento scelto è naturalmente eccellente, ma il modo di affrontarlo molto discutibile. Innanzitutto manca sostanzialmente un inquadramento storico dell’opera di Caravaggio, non a caso il documentario si richiama alla tradizione di Longhi. Il personaggio principale che fa da guida è quasi intollerabile e non mancano cadute nel postmoderno – in particolare quando si chiede il parere ad artisti contemporanei – e, a tratti, un ostentato papismo davvero fuori luogo.
Gauguin a Tahiti il paradiso perduto di Claudio Poli, documentario, Usa 2019, voto: 5,5; documentario indubbiamente suggestivo per le notevoli immagini paesaggistiche e artistiche, risulta, al contrario, assolutamente intollerabile per la sua posizione vergognosamente acritica sul colonialismo e sull’orientalismo, sul maschilismo, la schiavitù domestica, la tratta dei minori e la pedofilia. Tutte problematiche che vedono pesantemente implicato il grande artista che, come spesso accade, è un pessimo uomo. Il fatto che il documentario, anche contro le più spaventose evidenze, continui a esaltare a spada tratta l’uomo e non solo l’artista, dimostra una posizione sostanzialmente rovescista nei confronti del colonialismo, della schiavitù domestica della donna e dell’orientalismo.
The Deep di Kormákur, Islanda 2012, voto: 5-; tratto da una storia vera, il film è ben confezionato e ha momenti di grande fascino, dovuti ai paesaggi sublimi ed estremamente suggestivi in cui è ambientato. Purtroppo il plot è davvero troppo povero, per cui il film finisce con l’essere decisamente più naturalista che realista, non riuscendo mai ad andare veramente al di là della realtà fenomenica. Così, in particolare nella seconda parte, il film finisce con l’annoiare anche se non scade mai in vuoti formalismo e non fa concessioni al postmoderno.
Tenet di Christopher Nolan, drammatico, Usa 2020, voto: 4-; nuovo episodio fuori tempo massimo di agente 007, privo anche di quell’autoironia che aveva reso meno insopportabili i precedenti episodi di questo rottame della guerra fredda. Ma per gli “autori” del tutto organici all’ideologia dominante, nulla sembra essere cambiato, anche ambientando il loro film in un orizzonte fantascientifico. Il cattivissimo, incarnazione di un inverosimile male assoluto, è naturalmente un russo, che ha come unica pseudogiustificazione l’essere cresciuto in quel vero e proprio impero del male quale sarebbe stata l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche per i corifei del pensiero unico dominante. Mentre l’eroe, altrettanto irrealisticamente senza macchia e senza paura, dall’unico punto di vista che ci è presentato, quello della classe dominante, è un agente naturalmente deviato della Cia, che ha come principale alleato una aristocratica britannica. Per il resto il film è tutto costruito sul solito giochino della macchina del tempo, per cui dal futuro si tornerebbe indietro nel tempo per mutare il corso della storia. Un espediente ormai trito e ritrito, visto ormai in innumerevoli film, da Ritorno al futuro a Non ci resta che piangere, unicamente appesantito in questo ennesimo remake da una pseudospiegazione scientifica. Ancora più del solito abbiamo la piena giustificazione delle azioni più violente e in completo e costante spregio delle norme di base del diritto Internazionale, da parte del solito agente segreto deviato. Particolarmente stupida è poi la concezione su cui si regge l’intero film e il pessimo romanzo da cui è tratto, ovvero che gli uomini del futuro per contrastare i terribili danni ambientali che questo sistema economico e sociale sta provocando – quest’ultima è ovviamente una nostra aggiunta – pensano bene di sfruttare il russo di turno, degno figlio dell’Unione sovietica, per distruggere completamente la società precedente, ovvero la “nostra”, al fine di evitare il futuro disastro ecologico. Anche in questo caso, pure pensando al futuro si è totalmente schiacciati sulle tenebre di un presunto eterno presente, per cui per non mettere in discussione gli attuali rapporti di proprietà, quanto mai ingiusti e irrazionali, sembrano esserci solo due alternative, o un immediato olocausto nucleare – che dovrebbe paradossalmente prevenire il futuro disastro climatico – o impedire il primo, grazie all’agente deviato della Cia, senza naturalmente mettere in discussione quel modo di produzione e quei rapporti di proprietà che, inevitabilmente, secondo la stessa sceneggiatura, non possono che portare a un disastro ecologico di tale portata, da far ritenere preferibile un olocausto naturale. Senza che a nessuno venga nemmeno lontanamente il dubbio che tutto ciò non sia il frutto di un destino cinico e baro, ma della mancata volontà di cambiare radicalmente dei rapporti di produzione che, in un modo o nell’altro, non potranno che portare all’estinzione dello stesso genere umano.
Gretel e Hansel di Oz Perkins, horror, Usa 2020, voto: 4-; il solito letale film horror, programmaticamente irrazionalista e involontariamente rovescista, finisce per giustificare la spaventosa caccia alle streghe sostenendo che vi sono donne che hanno la possibilità di sviluppare dei possenti poteri magici, che possono essere utilizzati, però, per fini buoni e per fini cattivi. Quindi bruciare sul rogo una donna che li usa a fini malvagi appare persino come liberatorio.
Una sirena a Parigi di Mathias Malzieu, commedia, Francia 2020, voto: 4-; commediola francese priva di qualsiasi contenuto sostanziale, meramente gastronomica e di evasione. Prodotto di modesta qualità dell’industria culturale senza cadute nel post-moderno.
Il re di Staten Island di Judd Apatow, commedia, Usa 2020, voto 3; un film piatto e banale che non ha nulla di sostanziale da trasmettere, apatico come il personaggio su cui è incentrato. Del tutto insostenibile anche per la durata di oltre due ore.
Dogtooth di Yorgos Lanthimos, drammatico, Grecia 2009, voto: 0; la cultura italiana è veramente ridotta alla canna del gas per pensare di rilanciare il cinema dopo la pandemia andando a recuperare una serie di film greci che non sono altro che teatro dell’assurdo filmato. Un vero e proprio inno all’irrazionalismo, assolutamente insostenibile nella sua ideologia reazionaria.