Recensioni di classe 10

Brevi recensioni di classe a: The Mauritanian, The Undoing – Le verità non dette, Minari, La volta buona, Assandira, The Flight Attendant, Malmkrog, Mina Settembre, Le sorelle Macaluso.


Recensioni di classe 10

The Mauritanian di Kevin Macdonald, thriller, Gran Bretagna, Usa 2021, voto: 8,5; film molto significativo di denuncia del livello di barbarie della principale potenza mondiale e della sua capacità di coprire i terrificanti crimini contro l’umanità compiuti grazie alla propria indiscussa capacità di egemonia. In particolare nel film si mettono in evidenza i rapimenti, le terrificanti torture compiute nel carcere di Guantanamo dove oltre settecento detenuti sono stati seviziati in violazione di ogni norma del diritto internazionale. Nonostante le forme più brutali di tortura cui sono stati sottoposti per anni i detenuti, gli Stati Uniti sono stati in grado di condannarne appena cinque. D’altra parte il grande coraggio e la forza morale di un avvocato, veterano della lotta contro l’aggressione imperialista al Vietnam, e un detenuto particolarmente acculturato sono riusciti, dopo una lotta durata anni, a far emergere alcuni degli spaventosi delitti contro l’umanità compiuti dagli apparati repressivi dell’imperialismo statunitense. Interessante anche il fatto che la maggiore colpa addebitata al prigioniero, completamente disumanizzato, è di aver combattuto, con il pieno sostegno degli Stati uniti, contro l’Armata Rossa intervenuta su richiesta del governo comunista afghano per proteggerlo dai continui attentati dei terroristi islamici, fatti convergere da tutto il mondo per intrappolare i sovietici. Interessante come nonostante tutte le torture subite il protagonista rivendichi l’importanza a livello globale del sogno americano, come il paese in cui, a differenza di uno Stato del terzo mondo come la Mauritania, vi sarebbe una polizia che difende i cittadini in nome di una legge eguale per tutti. Emerge così come l’imperialismo occidentale e il fondamentalismo islamico sono in grado di trovare costanti intese secondo il principio che un nemico del mio nemico, le forze progressiste, può facilmente divenire un mio alleato. D’altra parte, come di consueto nei film di denuncia statunitensi, il limite maggiore resta quello di presentare queste violazioni estreme dei diritti umani, da parte del paese che pretende di esportarli in tutto il mondo, come una sorta di eccezione che conferma la regola del mito americano.

The Undoing – Le verità non dette di Susanne Bier, miniserie tv in 6 episodi, Usa 2020, distribuita in Italia su Sky, voto: 6,5; decisamente ben confezionata e ricca di suspense, a tratti tocca aspetti sostanziali, come l’ipocrisia e la totale spietatezza della classe dominante e degli avvocati che la difendono e l’estrema difficoltà a condannarne un membro anche quando si è coperto del più spaventoso delitto. Peccato che questi aspetti sostanziali finiscano per venire in buona parte meno con la conclusione della serie, che cerca di far rientrare i sospetti sulla classe dominante, scaricando tutta la colpa su uno psicopatico a essa, di fatto, esterno. Il che sembra dimostrare come anche in una serie sia difficilissimo condannare la classe dominante anche quando appaiono nel modo più evidente le sue imperdonabili colpe.

Minari di Lee Isaac Chung, drammatico, Usa 2020, voto: 6,5; film minimal ma non noioso, affronta con acutezza e delicatezza i rapporti interfamiliari e intergenerazionali, in particolare fra la vecchia nonna vissuta sempre in Corea e il nipote bambino da sempre vissuto negli Stati Uniti d’America. Il film tocca anche le difficili condizioni di vita della classe operaia, che aspira a divenire piccola borghesia. Siamo di nuovo dinanzi al sogni americano raccontato in tanti western, anche se, almeno in questo caso, non ci sono autoctoni da massacrare. La conclusione del film da una parte apre la prospettiva di una riconciliazione, fondata sul reciproco riconoscimento all’interno della famiglia, anche se il consueto lieto fine appare poco verosimile dal punto di vista economico della società civile e finisce con il sembrare un rilancio, fuori tempo massimo, dell’American dream.

La volta buona di Vincenzo Marra, drammatico, Italia e Uruguay 2019, voto: 6,5; discreto film italiano che senza scadere nel postmoderno o nel grottesco narra una storia minimal, ma non qualunquista, in cui presenta in modo fra il realista e il naturalista dei personaggi piuttosto dialettici e complessi, anche nella loro semplicità. Sfiora anche temi abbastanza significativi, come il meccanismo di sfruttamento che domina sul gioco del calcio in una società capitalistica e che rende sempre più difficile persino a un futuro Totti o Maradona di poter emergere.

Assandira di Salvatore Mereu, drammatico, Italia 2020, voto: 6+; discreto film sardo, con qualche caduta di troppo nel postmoderno, ma con alcuni spunti realistici, anche se resta predominante il naturalismo. Il tema affrontato è piuttosto interessante: lo scontro fra diverse generazioni, i valori arcaici travolti dallo spirito del capitalismo che trasforma tutto in merce, compresi i valori. Peccato che, al solito, manchi del tutto di spirito di utopia e di principio speranza, quasi a dar a intendere che, in ultima istanza, quale unica reale alternativa all’utilitarismo e all’edonismo alienante della società capitalista vi sarebbe un meramente distruttivo anelito a un qualcosa di radicalmente altro, in una prospettiva in ultima istanza reazionaria.

The flight attendant, miniserie, commedia-dramma, Usa 2018, in 8 episodi, per HBO max, voto: 5+; candidata come migliore serie del settore commedia, dimostra ancora una volta come tale genere sia decisamente meno significativo rispetto alle serie drammatiche. Anche se gli autori, consapevoli di ciò, hanno inserito diversi aspetti drammatici, che hanno reso decisamente più interessante e tollerabile la serie. Per quanto sia decisamente ben confezionata, si tratta in ogni caso di un tipico prodotto dell’industria culturale, merce essenzialmente culinaria e di evasione. Anche se tocca alcuni aspetti significativi, come l’alcolismo della protagonista, dovuto alla cattiva educazione ricevuta dal padre rozzo, ignorante e omofobo, ovvero il tipico elettore di Trump. La serie è come ormai di consueto improntata al politically correct dal punto di vista dei diritti liberali civili. Il che non toglie, anzi come generalmente accade, implica un acritico appiattimento sulla propaganda imperialista statunitense. Così i perturbatori di un mondo altrimenti sano, sarebbero soltanto elementi stranieri, provenienti naturalmente dai principali obiettivi dell’aggressivo imperialismo statunitense, in questo caso la Russia e la Repubblica Popolare Democratica di Corea. Per la prima varrebbe il solito pregiudizio, ovvero che le imprese più sporche e implicate con traffici di armi e mafia sarebbero controllate da russi, privi di cuore e di anima. Ancora più surreale l’accusa alla Repubblica Popolare Democratica di Corea di portare avanti una pesante attività di spionaggio negli Stati Uniti, sfruttando la presenza di statunitensi di origine coreana. In tal modo, si occulta il fatto che la guerra con la Corea sia in corso a causa dell’aggressività dell’imperialismo statunitense che si rifiuta ancora di firmare il trattato di pace e si mette alla berlina lo statunitense di origine asiatiche, non a caso sempre più bersaglio del terrorismo di estrema destra suprematista, del quale naturalmente nei prodotti mainstream non vi è traccia.

Malmkrog di Cristi Puiu, drammatico, Romania, Serbia, Svizzera, Svezia, Bosnia-Herzegovina e Macedonia 2020, valutazione: 5+; film di taglio filosofico sostanzialmente conservatore, molto raffinato, ma altrettanto noioso, di una durata eccessiva che lo rende insostenibile. Per quanto sia curato nei dettagli nell’insieme riesce alquanto fine a se stesso, come gli aristocratici e i servitori che lo animano, in definitiva gli uni e gli altri tutta forma e niente, o quasi, sostanza, come è un po’ il film di cui sono protagonisti. Un film fin troppo sopravvalutato dalla critica, che lo ha spacciato, per snobismo, per un capolavoro.

Mina Settembre, serie televisiva italiana in 12 episodi, diretta da Tiziana Aristarco e liberamente tratta dai racconti di Maurizio de Giovanni, voto: 5; dai primi episodi emerge una serie ben confezionata abbastanza curata nei particolari, ma molto prevedibile e molto spesso inverosimile. Per quanto sia incentrata su una questione di cuore decisamente poco significativa, vi è quantomeno la buona intenzione di toccare alcune problematiche sociali di Napoli. Valido anche l’impegno della protagonista a volersi spendere su tali tematiche. Il problema resta il modo di affrontarle, che oscilla fra due estremi decisamente pessimi, ovvero lo spirito da crocerossina e Wonder Woman. In tal modo, le buone intenzioni vanno a farsi benedire in quanto si resta a una conoscenza fenomenica delle grandi problematiche appena sfiorate. Nelle seconde tre puntate la serie si conferma una merce dell’industria culturale ben confezionata per essere un prodotto italiano, di pura evasione e buonista. Quest’ultimo aspetto è certamente il lato che la rende almeno un po’ significativa nel panorama deprimente dell’odierno cinema italiano. Peccato che la protagonista, sempre conciata come se fosse appena uscita dal parrucchiere, poco si addice al moralismo crocerossino che dovrebbe caratterizzare il suo personaggio. Inoltre essendo il prodotto di due racconti la serie finisce per essere un eterno ripetersi, con variazioni diverse, di un medesimo tema, decisamente poco sostanziale. Negli episodi dal 6 al 9 la serie diviene sempre più ripetitiva, anche in quanto opera di uno scrittore noto come giallista. Quindi, più che una serie sembra un telefilm stile Happy Days. Il suo ruolo oppiaceo lo svolge bene, lì per lì appare anche commovente, se non fosse che il suo buonismo, riflettendoci sopra, mostra tutta la sua inconsistenza. In tutte le puntate l’eroina fa qualcosa di rischioso e viola le leggi pur di aiutare un bisognoso. Senza mai comprendere che si tratta di una goccia nel mare. Per esempio a fronte di un disoccupato disperato cui riesce a fare avere, grazie alle proprie conoscenze, un posto di lavoro ce ne sono altre decine di migliaia che restano abbandonati alla loro disperazione, anche se la serie non lo mostra mai, né la protagonista crocerossina si interroga mai su tale evidente contraddizione.

Negli ultimi tre episodi la serie diventa sempre più prevedibile e sempre più inverosimile, incentrandosi su questioni di nessunissimo spessore, quale riscoprire l’amante del padre o decidere con quale uomo impegnarsi. Peraltro emergono una serie di pesanti pregiudizi decisamente fuori luogo, innanzitutto omofobi, e in secondo luogo volti a colpevolizzare la donna che ha una relazione con un uomo sposato. La donna, anche se si tratta di una ragazzina, appare come una poco di buono, mentre l’uomo sposato anche se l’ha sedotta e abbandonata non viene messo seriamente in discussione. Peraltro visti i presupposti e le questioni rimaste aperte per lanciare la seconda stagione, del tutto prive di spessore, viene meno qualsiasi interesse a continuare a perderci tempo dietro.

Le sorelle Macaluso di Emma Dante, commedia, Italia 2020, voto: 2-; film assolutamente insostenibile, improntato al più bieco e ideologico postmodernismo all’amatriciana, noiosissimo in quanto tutto è dipinto con il solo colore bigio del grottesco. Per quanto alcuni critici abbiano avuto il coraggio di cercare di salvare il film mettendo in evidenza come la regista ami sempre indagare la vita delle masse popolari, in realtà non vi è nessuna consonanza spirituale con il proprio popolo, di cui si è in grado di cogliere i soli aspetti grotteschi. Anzi film come questo mirano a voler cancellare dalla coscienza della masse popolari anche il barlume del principio speranza e dello spirito dell’utopia, naturalizzando, per eternizzarla, la miseria.

16/04/2021 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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