Domenica 13 dicembre ho portato i miei due figli di 6 e 5 anni al cinema a vedere Ralph spacca internet. Una scelta abbastanza obbligata visto il chiacchiericcio che ne fanno i coetanei e la desolazione del panorama cinematografico dedicato alle giovani generazioni, preda come nessun altro di quanto di peggio l’industria culturale sappia proporre. Non mi aspettavo nulla di buono, dunque, ma quel che ho visto è stato davvero raccapricciante, tanto da far sembrare Il ritorno di Mary Poppins un capolavoro del surrealismo.
La trama
La storia ha per protagonisti due personaggi dei videogiochi degli anni ‘80, “Ralph spaccatutto”, un omone dedito a frantumare edifici a mani nude e “Vanellope von Schweetz” una pilota dei circuiti rally di Sugar Race. Due amici che conducono una vita tranquilla tra la vecchia ciabatta elettrica ed i videogiochi di un “centro ricreativo per famiglie” della periferia americana. Una vita prevedibile e monotona, la loro, con orari di lavoro e appuntamenti ben definiti e regolari. Troppo, per Vanellope, la cui insofferenza spinge il “socio” Ralph (come lo chiama lei) a costruirle, durante una gara, una nuova pista aperta nella campagna a furia di cazzotti. La “ragazzina”, come viene chiamata dall’amico, la imbocca senza indugio e con gioia, fino a quando il diverso obiettivo tra lei e la fanciulla in carne ed ossa che sta davanti lo schermo del videogioco - andare avanti esplorando la nuova pista o tornare indietro - non produce la rottura del volante che sta nel mondo reale. Il Sr. Litwak, padrone della sala giochi, non è disposto a spendere 200 dollari per ricomprarlo e così Vanellope e tutti gli altri protagonisti di Sugar Race perdono il lavoro. Una situazione che a Ralph andrebbe perfettamente a genio ma non a Vanellope. Così i due decidono di attraversare il confine proibito che separa la ciabatta elettrica dal nuovo e sconosciuto Internet per andare a cercare l’agognato volante su Ebay.
Una volta arrivati iniziano ad esplorare questa sterminata e avvenieristica città, ordinata, sempre illuminata, coi grattacieli delle varie Microsoft, Facebook, Google così maestosi e risplendenti che se ne vede la cima ma non la base, ed i treni e le auto volanti che a diverse velocità e altezze portano gli internauti da un sito all’altro. Tutto sembra andare a meraviglia, Ralph e Vanellope grazie all’aiuto del Sr. Sotutto trovano il volante e capiscono per per impossessarsene devono partecipare ad una specie di gioco in cui vince chi dice il numero più grande. Così l’iniziale confronto con uno di passaggio si trasforma in una piccola sfida tra il “socio” e la sua “ragazzina” che fa lievitare il prezzo dell’articolo fino a 27 mila dollari. Dell’enormità della cifra i due non sembrano rendersi conto, neanche alla cassa, ma l’impossibilità di pagare non li spaventa. In fondo, hanno appreso da simpatici pop-up pubblicitari che su internet si possono guadagnare facilmente un sacco soldi! Ma hanno solo 24 ore di tempo prima che l’acquisto scada. Così si imbarcano con un omino verde nei quartieri bassi e male illuminati ma non per questo meno affascinanti, dove, in una specie di magazzino sporco e disordinato, l’omino gli propone di partecipare ad un gioco il cui obiettivo consiste nel rubare l’automobile di una tale Shank che, una volta rivenduta, può fruttare decine di migliaia di dollari.
I due, quindi, tentano l’impresa, schivando ogni sorta di pericolo mortale - treni che falciano automobili, conducenti che si speronano a vicenda, squali che sbucano dai tombini per mangiarsi chiunque gli capiti a tiro, cisterne che esplodono, ecc, ecc (non a caso il gioco è chiamato “Slaughter Race”, che richiama la “Slaughterhouse”, il mattatoio dove si macellano gli animali) - ma quando sono a pochi metri dal traguardo Shank e la sua banda li fermano. Inteneriti dalla loro storia, invece di bruciarli vivi come normalmente fanno con gli altri concorrenti, decidono di aiutarli facendo fare a Ralph un video demenziale e dandogli l’indirizzo di Yesss, la manager di un sito dove poterlo condividere. Ralph diventa così, in poco tempo, una star del web capace di fregarsene dei commenti degli utenti - il vero lato negativo di internet - e raccogliere milioni di likes (cuoricini) da convertire nei dollari necessari ad acquistare il volante.
Tutto sembra andare per il verso giusto ma il tempo scorre inesorabile così Vanellope decide di fare la sua parte e di andare da sola in cerca di cuoricini con il suo bel pop-up che pubblicizza l’ultimo video del “socio”. Finisce così nel castello della Disney dove conosce tutte le principesse che hanno fatto la storia della casa produttrice e che la occultano, salvandola, dalle guardie imperiali di Star Wars che la vogliono cacciare per esercizio abusivo della professione commerciale. L’incontro con le altre principesse (anche Vanellope, tecnicamente, lo è), però, rappresenta anche il vero punto di svolta della narrazione: è con loro che Vanellope scopre che se una principessa canta il suo vero desiderio, viene circondata da musica e luci, proprio come nelle fiabe della Disney.
E quando Ralph la chiama per annunciargli che finalmente ha racimolato il denaro necessario (anzi, più del necessario!) e sta andando ad acquistare il volante ecco che scopre che il suo desiderio, in realtà, non è tornare alla normalità della vecchia ciabatta elettrica nella periferia americana e lavorare dentro Sugar Race con altre 15 concorrenti le cui monellerie le appaiono ora puerili, ma di vivere e lavorare in Internet, nel Mattatorio, insieme ad una vera banda di criminali e a Shank, il loro capo. Va dunque a farle visita per confidarle il suo desiderio e chiederle consiglio. Ma Ralph è preoccupato per il ritardo e la chiama. Il video-cellulare di Vanellope, però, è muto e la vibrazione lo fa cadere accendendolo senza che lei se ne accorga. Ralph ascolta così le confidenze che la sua “ragazzina” fa abbracciata alla giovane e bella capobanda e si convince che questa l’abbia plagiata e parte in direzione di Slaughter Race per salvarla.
Ma per farlo chiede aiuto all’omino verde che tra i peggiori bassifondi di internet lo porta da un essere che produce virus - una specie di Jabba the hutt (Star wars) col nano di Kuato incastonato nel petto (Atto di forza, 1990) - che gliene fornisce uno da immettere nel Mattatoio. Una volta dentro il gioco, il virus va alla ricerca di una vulnerabilità nel codice con l’obiettivo di replicarla per crasharlo e la individua proprio in Vanellope, in quel momento preda dei sensi di colpa per non aver ancora comunicato all’amico la sua decisione di rimanere a vivere lì. Il videogioco, quindi, deve essere riavviato col rischio di uccidere Vanellope che non ne fa parte ma Ralph interviene e riesce a condurla fuori appena in tempo. Lui, allora, le dice del virus ma la “ragazzina” non la prende bene e decide di cacciare il “socio” dalla propria vita. Nel frattempo, però, dal pertugio dal quale sono scappati esce anche il virus che trova nella disperazione di Ralph una vulnerabilità ancora più potente da copiare e diffondere.
L’effetto è un virus gigante formato da tante copie di Ralph che, cercando Vanellope, rischia di far crashare nientepopodimeno che la stessa Internet. A salvare il tutto è la piccola principessina che promette al virus arrampicato sulla torre di Google come King-Kong di andare con lui e tornare ad essere la sua amica del cuore per sempre. A quel punto, però, Ralph capisce che questo non è giusto, che non si impedisce ad un’amica di realizzare i propri sogni e chiede al proprio mostro di lasciarla andare. Con Ralph che si sente meglio il virus sparisce e internet è salvo; Sugar Race viene riparato; Ralph torna al suo vecchio videogioco e alla sua vecchia ciabatta elettrica (la sua comunità, che con la momentanea crisi di Sugar Race si è rafforzata, rieducando le piloti-monelle); e Vanellope, il cui codice viene inserito in quello del Mattatoio per poter far parte definitivamente della banda di Shank e di Slaughter Race, che promette al suo vecchio “socio” di andarlo a trovare al prossimo upgrade previsto dopo qualche mese. Dopo i titoli di coda un ultimo siparietto con Ralph che, in compagnia di Vanellope, entra in un giochetto per tablet maneggiato da una bambina poco più che neonata sul seggiolino in macchina mentre la mamma guida e fa letteralmente scoppiare un coniglietto come si fa con le oche per il foie gras, con grande spavento della piccola che lancia un grido di terrore.
La critica
Che dire, dunque, che non emerge già dalla trama? Ancora una volta, l’essere umano è privo di dimensioni che non siano quelle dell’animale edonistico mosso unicamente dalla soddisfazione dei suoi desideri individuali. Con tanti saluti ad Aristotele el al nostro essere animali politici. Non siamo fatti per stare insieme ma per cercare ciascuno la propria realizzazione personale e gli altri, se sono amici, non devono permettersi di giudicare ma devono solo “fidarsi”. Questo dev’essere insegnato ai giovani in modo che quando aprano un qualunque manuale di economia politica in uso nelle università siano pronti ad accoglierne gli assurdi postulati (inconfrontabilità delle preferenze, la non-sazietà, l’individualismo etico e metodologico) senza batter ciglio e a non preoccuparsi quando qualche amico inizia a frequentare cattive compagnie. D’altronde se anche da noi Lapo Elkann è un fico, di che cosa ci dobbiamo stupire?
Insomma, niente di nuovo sul grande schermo? Non proprio. La novità dell’ultimo lungometraggio della Disney, infatti, non sta nei contenuti ma nelle forme. La morigeratezza che ha sempre caratterizzato i classici prodotti dall’azienda californiana viene abbandonata per lasciare il posto al nuovo che avanza. Il vecchio, in questa ricostruzione, è rappresentato da un gioco che permette un lucro così basso da non meritarsi la riparazione (ma i cui pezzi possono essere sempre rivenduti) e dalla monotonia della vita di periferia dell’operaio-Ralph, non a caso caratterizzato da mano grosse e cervello fino, dove il tempo di vita e di lavoro sono ben distinti, ci si vede per la solita birra alla solita ora, si organizzano tranquille domeniche al parco. Un mondo nel quale i disoccupati (generati dalla rottura di Sugar Race) sono un problema per la società che deve farsene carico, ospitandoli a casa dei suoi componenti (che non rinunciano ad approfittare dell’oggettivo senso di inferiorità nel quale si trovano, come è per la “mentina”, destinata da quel giorno a fare “l’oliva verde”, o le 15 ragazze pilota concorrenti di Vanellope, che finiscono a fare le figlie (ri)educande nella casa di un piccolo maschio dai modi gentili e delicati sposato con un’alta e bella pistolera).
Il nuovo, invece, è rappresentato da Internet, “dove le luci non si spengono mai”, una fabbrica (ma guai a chiamarla così!) ipertecnologica a ciclo continuo, senza neanche un’aiuola, dove quel che si rompe si aggiusta riavviandolo, dove non ci si ferma perché non vi tramonta mai il sole e dove al centro non c’è il lavoratore, come prima, (e dunque il disoccupato) ma il consumatore (e quindi l’indigente, che però, guarda caso, non si vede mai). E da dove scompare anche quel minimo senso del pudore che in passato avrebbe impedito l’uso così ripetitivo della parola “socio” per indicare un amico o il ricorso ai veri nomi delle aziende che fanno l’Internet.
La pubblicità, quindi, non è più un’appendice di Fulmine (il programma televisivo preferito dalla famiglia di Pongo e Peggy ne La carica dei 101) che viene tralasciata e può essere addirittura interrotta per mettere a letto i cuccioli, ma una indispensabile risorsa che attraverso i pop-up ci fornisce l’aiuto che cercavamo (l’omino verde) senza dover andare a scomodare il motore di ricerca rappresentato dal Sr. Sotutto con tutti i suoi pericolosi libri. Ma anche la concorrenza, lungi dall’essere cancellata, è portata alle sue estreme conseguenze - nel Mattatoio si uccide per vincere - e normalizzata, rendendola bella, affascinante, avventurosa, spettacolare. Così come la violenza.
I personaggi, quindi, comprese le classiche principesse, sono tutti al loro posto, il posto relativamente nuovo assegnato loro dall’ordine sociale dominante oggigiorno. Si tratta, pertanto, di una favola altamente conformista. L’eroe-maschio che salva la fragile-principessa-inerme è un cliché che deve essere sfumato, come oramai impone il politicamente corretto, ma che rimane come sottofondo (Vanessa è pur sempre una “ragazzina” e Ralph il “socio” che la tira fuori dai guai e gli risolve i problemi). Le femmine, dunque, non rinunciano alla loro classica peculiarità - la capacità di ascolto e accoglienza - e acquistano pari dignità solo se per questa si intende annoiarsi per il prossimo concorso di bellezza, saper guidare auto sportive ed essere capi coraggiosi e autoritari quanto i maschi. O salvare la vita all’eroe vincente che, non essendo greco-antico, non può mica morire. E per evitare imbarazzi, nell’Internet non v’è traccia delle donne comuni, operaie o contadine brutte, “chiattone” e ignoranti, come se il mondo non fosse formato che di giovani donne, belle e intelligenti e nelle condizioni di diventare Angela Merkel o Indra Nooyi.
La variabilità nelle preferenze sessuali, nel colore della pelle, nel taglio dei capelli, nei tatuaggi, orecchini, piercing ecc che si trova comunemente in giro per il mondo altamente industrializzato non è più qualcosa da nascondere o dissimulare (come nella vecchia ciabatta) e non costituisce più una spia di ciò che è bene e ciò che è male. La discriminazione derivante da queste differenze non è più funzionale al dominio della borghesia e quindi può essere tranquillamente abbandonata (ma se continua ad esserlo deve essere tranquillamente accettata, vedi la finale di Supercoppa giocata in Arabia Saudita). E neanche il comportamento è importante più di tanto, purché la contestazione si indirizzi verso il fenomeno e non la sua essenza. Il male, in effetti, è dentro ognuno di noi. Ma non c’è nessuna dialettica: il male non è niente di sistemico bensì di individuale, è Ralph stesso che è mosso da un sentimento sbagliato verso Vanellope ed è lui, quindi, il problema. In fondo che cosa c’è di sbagliato nel dover soddisfare un proprio desiderio comprando all’asta un oggetto su Ebay, o nel voler racimolare tanti soldi attraverso un furto o la produzione di video-demenziali? O nel fatto che un oggetto da 200 dollari possa arrivare a costarne 27 mila? La compravendita (la mercificazione) è naturalizzata. E il male che è dentro ciascuno di noi può sempre trovare un aiuto, in questo caso in un produttore di virus, una comparsa che per incutere davvero timore in questo contesto iper-perbenista, non può che rievocare le vecchie paure generate dalla deformità fisica (dal Cottolegno di Torino ringraziano commossi).
Internet, ovviamente, ne esce alla grande, come pure gli smartphone o i tablet, presenti dappertutto, anche in mano alla neonata mentre mamma guida (ma non eri un pilota provetto capace di mirabolanti testacoda? Ah, no, quello era prima dei titoli di coda, nella realtà sei sempre la solita donna-al-volante e quindi meglio indossare la cintura di sicurezza, mettere la bimba nel seggiolino e darle un bel tablet che cattura l’attenzione molto più di un libro da mordere che nel traffico, si sà, non ci si può distrarre neanche un secondo. Tanto che male vuoi che le faccia un tablet?). Nel film, infatti, queste sono solo tecnologie neutre per definizione, e tutto dipende dall’utilizzo che se ne fa. Internet può “far uscire il peggio in alcune persone” come dice Yesss a Rulph, ma permette anche “di trovare un volante e racimolare i soldi necessari ad acquistarlo”. Anzi, più di quelli necessari! Chissà perché, allora, i grandi ingegneri della Silicon Valley non permettono ai loro figli di utilizzare queste tecnologie prima dei 9 anni…
Una tecnologia, insomma, bella, buona e aperta a tutti… quelli che hanno una connessione (ma questo dettaglio è tralasciato perché gli esclusi, ovviamente, non esistono); in cui si trova di tutto e tutto è lecito e possibile (il poliziotto sta nella vecchia ciabatta della periferia americana ad impedire l’accesso ad Internet mentre sulla rete ci sono le guardie private), e il più veloce possibile: i veicoli lenti, dice espressamente una voce, vengono multati (con tanti saluti alle belle tartarughe di Bruno Lauzi ed Esopo). Nel film, infatti, non ci si ferma mai. È tutto così veloce che non solo lo straniamento è impossibile ma neanche un minimo di riflessione.
L’unico lato negativo, insomma, sono i commenti degli utenti (gli haters) a cui però basta non far caso, basta non leggerli. Tanto ognuno è il miglior giudice di se stesso (altro importante postulato borghese presente in tutti i manuali di economia). Insomma, come nel paese dei balocchi, su Internet tutto è permesso - violenza fisica e verbale, virus (con armi, sesso e droga riconducibili ai simpatici e normalizzati galeotti che ruotano attorno a Shank, non a caso lesbica molto più di Elsa) - e non c’è neanche il pericolo che ti crescano le orecchie d’asino! Ma che ti attacchino l’anello al naso è molto probabile. A tua insaputa, ovviamente.