Il pianeta degli umani è un documentario visibile gratuitamente su internet, diretto da Jeff Gibbs, ambientalista e co-produttore di Fahrenheit 9/11 e Bowling for Columbine, e prodotto da Michael Moore, attivista, regista e produttore.
Senza troppi giri di parole, Planet of the humans dimostra che stiamo perdendo la battaglia per fermare i cambiamenti climatici perché ci siamo innamorati di soluzioni pseudo-ecologiche, vere e proprie “illusioni verdi”, e perché seguiamo leader - come Al Gore - che hanno svenduto il movimento ambientalista agli interessi delle grandi multinazionali.
Il documentario ha il merito di sfatare alcuni luoghi comuni riguardanti le energie rinnovabili, in particolare l’eolico, il fotovoltaico, le biomasse, le auto-elettriche o a idrogeno. Le rinnovabili sono talmente insufficienti ed intermittenti da renderle inservibili per sostenere, da sole, le attuali esigenze disviluppo. Prendendo in considerazione tutta la filiera, poi, queste tecnologie si rivelano tutt’altro che ecologiche in quanto senza il petrolio, il carbone e le innumerevoli materie prime estratte selvaggiamente da cave, miniere e boschi, non potrebbero neanche esistere.
Il film, inoltre, sottolinea come “l’imbroglio ecologico” non è semplicemente una questione tecnica. Dei guasti ambientali non siamo tutti ugualmente responsabili, sfruttatori e sfruttati, e senza liberarci dal dominio del profitto ogni tentativo tecnico o culturale di migliorare il nostro ricambio organico con la natura è vano. Il capitalismo verde è parte del problema, non della soluzione.
Che fare, dunque? Se la prospettiva è quella socialista che troviamo già nel capolavoro Capitalism: A Love Story , sul piano ecologico la soluzione si incentra principalmente sulla diminuzione dei consumi. Una decrescita che ha fatto storcere più di un naso tanto che qualcuno, ascoltando le preoccupazioni sull’aumento della popolazione, ha accusato il film di malthusianesimo.
Personalmente trovo questa accusa ingenerosa. Primo perché il documentario è incentrato principalmente sulla denuncia del rapimento del movimento ambientalista da parte dei grandi industriali e finanzieri, secondo perché a ben vedere la decrescita proposta da Gibbs e Moore non è quella di un Latouche o di un Pallante, bensì di ecosocialisti che non hanno sufficientemente approfondito lo studio del capitalismo e quindi vedono nella circolazione e nel consumo e non nella produzione e nel lavoro i momenti in cui si generano le contraddizioni e quindi i problemi.
Il sistema capitalista, basandosi su una produzione tendente all’accumulazione senza limiti, comporta il continuo aumento della produzione e del consumo a fini produttivi di materie prime ed energia. L’attuale quantità di combustibili fossili ed il depauperamento del suolo dovuto alla cementificazione e alla deforestazione non sono compatibili con un corretto ricambio organico con la natura e non basta cambiare i rapporti sociali per risolvere il problema.
Una centrale a carbone è tale sia sotto il capitalismo che sotto il socialismo, ma a differenza del primo, nel secondo sistema ci sono tutte le pre-condizioni necessarie alla soluzione del problema. Con la socializzazione dei mezzi di produzione, vale a dire l’eliminazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, è possibile introdurre maggiori e migliori soluzioni tecniche. Anche dal punto di vista meramente produttivo, considerata cioè la macchina esclusivamente come mezzo per ridurre più a buon mercato il prodotto, “il limite dell’uso delle macchine è dato dal fatto che la loro produzione costi meno lavoro di quanto il loro uso ne sostituisca. Ma per il capitale questo limite trova un’espressione ancora più ristretta. Poiché il capitale non paga il lavoro adoperato ma il valore della forza-lavoro usata, per esso l’uso delle macchine è limitato dalla differenza fra il valore (prezzo) della macchina e il valore (prezzo) della forza-lavoro che essa sostituisce. Quindi in una società comunista le macchine avrebbero ben più largo campo di azione che non nella società borghese” [1].
Ma come il documentario dimostra, e come Tiziano Bagarolo ha messo in luce per quanto riguarda l’ex Urss, non possiamo fare affidamento soltanto sul progresso tecnico. Per arrivare ad un uso sostenibile delle risorse naturali è necessario che la socializzazione dei mezzi di produzione - la loro proprietà comune, statale, cooperativa, ecc - sia accompagnata dalla pianificazione. La produzione, in altre parole, deve essere finalizzata a produrre oggetti utili nella quantità e qualità necessari ad assicurare il benessere di tutta l’umanità ed il corretto ricambio organico con la natura, e non l’accumulazione fine a se stessa.
Ciò che va prodotto, in quale quantità, dove, quando e come, non può essere deciso su basi concorrenziali, vale a dire in modo che ciascuno vota sulla base della propria capacità di spesa e quei pochi che hanno privato la grande massa dalla proprietà dei mezzi di produzione e di sussistenza accumulando ingenti ricchezze la fanno da padroni. Queste decisioni vanno prese in maniera democratica da tutti i diretti interessati. Questo significa che la produzione di molte cose dovrà essere aumentata, di altre diminuita o cessata, le fabbriche riprogettate, rilocalizzate, ecc.
Ma per organizzare la produzione di oggetti utili affinché l’uso delle risorse sia sostenibile è necessario pianificare non soltanto la produzione dei beni ma anche quella dell’essere umano, sia dal punto di vista sociale che da quello naturale, vale a dire sia come addetti in ogni determinato settore produttivo, sia come specie.
Note
[1] Karl Marx, Il Capitale, libro I, cap. 13 par. 2.