Perché perdere tempo sui film palesemente trash e commerciali? Più utile, invece, per una critica dell’ideologia dominante, far emergere i limiti dei 20 film più sopravvalutati dalla critica, anche di “sinistra”, usciti in prima visione in Italia nel 2015. Partendo dai meno deludenti, per arrivare ai più sopravvalutati.
di Renato Caputo e Rosalinda Renda
20) Io sono Mateusz di Maciej Pieprzyca, polacco 2013, ha vinto tutti i principali riconoscimenti ai Polish Film Awards e diversi premi al Festival di Montreal e Chicago, voto: 5
Film penoso e a tratti fastidioso che cerca di spettacolarizzare una tragedia reale, anche se lascia alquanto da pensare allo spettatore. Interessante il tentativo di riconoscimento dell’altro, di vedere la vita dal punto di vista di un disabile. Suscita interesse anche la lotta di quest’ultimo per comunicare, alla fine parzialmente vinta, e di riscattarsi dallo stato di vegetale cui il mancato riconoscimento lo aveva condannato. Tuttavia questo tema essenziale è toccato solo alla fine, mentre per il resto del film assistiamo ad un’inessenziale serie di esperienze vitali più o meno legate all’esistenza reale del protagonista e che ammiccano troppo al senso comune. Pesante il pregiudizio anticomunista del regista, che non appare in grado di contestualizzare in modo credibile il film dal punto di vista storico e sociale.
19) Mad Max: Fury Road di George Miller, australiano, 2 nomination ai Golden globe, voto: 5
Tipico prodotto dell’industria di intrattenimento ed evasione, peraltro ultraviolento e machista. Come prodotto culinario è ben confezionato ma appena prova a uscire dal tono predominante del violentissimo e velocissimo film di azione non resta che un po’ di noiosa elegia. Peccato, perché qualche spunto significativo poteva esserci, in questa distopia di un futuro in cui la crisi del capitalismo non ha trovato soluzione precipitando la società nella barbarie. Tuttavia, l’imbarbarimento è talmente avanzato nella società attuale, che i cattivi del film finiscono per apparire degli epigoni rispetto ai miliziani dell’Isis o dei gruppi nazi-fascisti.
18) Timbuktu di A. Sissako 2014 mauritano, 2014, premiato a Cannes, 1 nomination all’Oscar, 7 premi César, voto: 4,5
Occasione sprecata riguardo a un tema sostanziale: il rigurgito fondamentalista. Il regista non è in grado di far capire come sia possibile l’espansione di una visione del mondo così barbara. Non solo non è in grado di metterla in relazione con le politiche neocolonialiste e imperialiste che hanno devastato la Libia, causa dell’espansione fondamentalista in Mali, ma tende ad esaltare la cultura, il modo di vivere tradizionale e arcaico, che favorisce l’affermarsi dell’Islam. Così le colpe dell’Occidente sono cancellate, i limiti della cultura tradizionale, anch’essa legata a una fede primitiva e allo sfruttamento persino dei bambini viene esaltata, mentre i fondamentalisti appaiono dei marziani, un po’ come gli Hyksos richiamati da Croce per spiegare il fascismo, occultandone i legami con la società capitalista.
17) Suburra di Stefano Sollima, voto: 4,5
Occasione mancata di realizzare un necessario film di denuncia su una questione di grande attualità: Mafia Capitale. Il regista non fa altro che strizzare l’occhio allo spettatore, cercando di compiacerlo nelle sue pulsioni più infime. Il film, inoltre, è di una volgarità gratuita, manca completamente di realismo essendo inutilmente caricato. Manca di qualsiasi prospettiva. Finisce per non prendere le dovute distanze critiche dai due personaggi che, nella totale e irrealistica demonizzazione di tutti gli altri, ne escono paradossalmente bene: il nazista criminale della banda della Magliana e la donna tossica e complice del violentissimo criminale di Ostia, che pare riscattarsi solo in quanto capace di rispondere ancora e solo con la violenza alla violenza subita.
16) Blackhat di Michael Mann, Usa, voto: 4,5
Film di genere abbastanza avvincente, piuttosto commerciale e di evasione. Mira allo stomaco più che alla testa. La storia è troppo sconnessa, ma risulta interessante la rappresentazione di una collaborazione fra esponenti del governo Usa e cinese, costretti a superare la reciproca diffidenza e il clima da guerra fredda per combattere il comune nemico. Quest’ultimo è solo apparentemente assimilabile al prototipo del terrorista internazionale, perché si batte non in modo fanatico per un’eticità reazionaria, come un fondamentalista, ma come uno spregiudicato affarista che utilizza mezzi estremamente illeciti per vincere le scommesse di borsa sui futures. Non convincono affatto gli strumenti adottati per contrastarlo. Protagonisti sono due informatici: la cinese e lo statunitense, un inverosimile super eroe, genio dell’informatica, bello ai limiti del cafone, intelligentissimo, più forte di Rambo ecc. I due entrano in rotta di collisione con i propri governi, che fanno prevalere sullo scopo comune le dinamiche della guerra fredda. Abbiamo così il solito eroe piccolo borghese della società civile costretto a violare la legge per contrastare uno Stato in quanto tale totalitario. Ancora più discutibile è il disinvolto uso della violenza per raggiungere i propri fini non solo contro i cattivi, uccisi con gusto, ma anche contro terzi che hanno la sola colpa di trovarsi in mezzo e di ostacolare il vendicatore solitario. Tanto più che, trattandosi di uomini del terzo mondo, sono mere controfigure che possono essere spazzate via senza remore.
15) The Tribe di Myroslav Slaboshpytskkiy, 2014 ucraino, premiato all’European Film Awards, voto: 4,5
Film pesante, spiacevole, crudo e violentissimo. Un’efficace istantanea dell’Ucraina, alla vigilia del colpo di Stato della destra sponsorizzato dalla Nato e della conseguente guerra civile. È un Paese nel quale, dopo l’affermazione delle forze controrivoluzionarie alla fine degli anni Ottanta, non esistono valori se non quelli dettati dalla volontà di potenza, per cui solo la violenza sembra giovare. Proprio per questo il dialogo è impossibile e, quindi, la scelta stilistica, formalistica, di usare senza sottotitoli il linguaggio dei gesti dei sordo muti, acquista un valore, in un orizzonte prigioniero dell’eterno presente, della tenebra del quotidiano, in cui le masse popolari sono ridotte a plebe unicamente intenta alla lotta per la sopravvivenza. Così non appena il protagonista si permette un sentimento umano di amore, viene considerato un traditore dal resto della tribù che cerca di toglierlo di mezzo. Il film soffre dell’assoluta incapacità da parte di chi lo ha realizzato di immaginare una prospettiva diversa, finendo così per “naturalizzare” il precipitare nella barbarie del proprio paese.
14) Birdman di Alejandro González Iñárritu, messicano, 4 oscar fra cui miglior film e migliore regia, 10 nomination, miglior film straniero ai David di Donatello, voto: 4,5
Già recensito su questo giornale in «La verità è che nun c’avete niente da dì»
13) American Sniper di Clint Eastwood, Usa, 6 Nomination e un premio Oscar, David di Donatello al miglior film straniero, voto: 4
Recensito in American Sniper, un film da perdere o da non perdere?
12) L'altra Heimat - Cronaca di un sogno di Edgar Reitz, 2013 tedesco, voto: 4
Recensito in L’altra Heimat: una fuga dalla storia nell’esotismo
11) Leviathan di Andrei Zvyagintsev, 2014 russo, nomination all’Oscar come migliore film straniero, migliore sceneggiatura a Cannes, miglior film straniero ai Golden Globe, voto: 3,5
Film che dimostra la spaventosa crisi anche morale e culturale che attraversa la Russia dopo il trionfo della controrivoluzione. Cosa ancora più grave e preoccupante è che ormai da decenni sono proprio gli intellettuali ad aver abbracciato una mortifera ideologia di destra che non può che portare a un ulteriore peggioramento della situazione. Indicativo, a tal proposito, questo pessimo film che banalizza nel modo più gretto la teoria hobbesiana del potere, anche se ciò corrisponde all’esistente del suo Paese considerato in modo immediato, superficiale, cronachistico. La cosa più spaventosa è che si tratta di un mondo privo di qualsiasi prospettiva, dove domina soltanto la tenebra dell’immediato.
10) Whiplash di Damien Chazelle, Usa 2014, premi Oscar e 5 nomination, voto: 3,5
Recensito in Whiplash: Un caso esemplare di rovescismo storico
9) Taxi Teheran, di Jafar Panahi, iraniano, Orso d'oro al miglior film e Premio Fipresci, voto 3
Si tratta di un film mortalmente noioso, brutto, pretenzioso, privo di qualsiasi qualità e mirante unicamente a favorire la campagna dell’imperialismo e della vecchia classe dominante iraniana contro l’attuale Iran, prodotto di una rivoluzione che, per quanto tradita, mantiene ancora un’importante funzione di opposizione all’imperialismo. Il film, per altro, non ha nulla di originale, visto che si tratta di una pessima copia del bel film Dieci di Kiarostami. Inoltre Taxi Teheran è fintamente realista, in realtà pessimamente interpretato da attori di second’ordine costretti a recitare un copione del tutto artefatto.
8) Il racconto dei racconti di Matteo Garrone, tre nastri d’argento e un globo d’oro, voto: 3
Esemplare saggio di secentismo programmatico del più sopravvalutato dei “giovani” registi italiani. È un ottimo esempio della totale assenza di spirito critico in uno dei registi più esaltati in Italia da una critica che ha abiurato alla sua stessa ragione di essere. Il film è anche la migliore dimostrazione che l’ideologia dominante è sempre l’ideologia della classe dominante e che il pensiero unico dominante, in ambito “culturale”, ha le fattezze decadenti del postmodernismo, quale ideologia della società borghese nell’epoca della sua putrefazione. Garrone è in grado di dipingere la realtà, sia quella della nostra epoca, sia quella per molti versi analoga del Seicento, con un solo colore, quello del grottesco, unico aspetto del reale in cui si riconosce, senza alcun distacco critico. Garrone si distingue ancora una volta per la sua capacità di rimestare nel torbido, per il suo sguazzare nelle viscere di una società in crisi e non riesce ad andare al di là di una naturalistica fotografia dello stato sempre più avanzato di putrefazione della sua classe sociale.
7) Eisenstein in Messico di Peter Greenaway, 2014, voto 3
Recensito in L’ultimo esercizio stilistico di Greenaway, un film pretenzioso e intollerabile
6) Non essere cattivo di Claudio Caligari, candidato agli Oscar, voto: 3
Film davvero squallido e incredibilmente sopravvalutato. Può avere senso vederlo solo per comprendere a quale basso livello sia caduta certa critica cinematografica pseudo di sinistra e come sia ridotto male, anche dal punto di vista culturale, il nostro Paese. Il film riesce a fondere insieme la forma davvero pessima di Suburra e il contenuto superficialissimo di Gomorra. Ha un sussulto solo nel finale, in cui si mostra come le condizioni di sfruttamento del lavoro salariato favoriscano la criminalità, che gli fa perdere il premio di più sopravvalutato film dell’anno.
5) The Imitation Game di Morten Tyldum, inglese, 1 Oscar alla migliore sceneggiatura non originale e 9 nomination, voto: 3
Film decisamente mediocre e apertamente rovesciata, è altamente diseducativo e, anzi, pericoloso perché fatto vedere acriticamente agli studenti delle scuole. La pellicola lascia intendere che la sconfitta della belva nazi-fascista non sia stata il prodotto della lotta di massa, innanzitutto del popolo sovietico, ma il prodotto di un singolo genio isolato, che si gloria del suo totale disinteresse per le questioni politiche e sociali, tanto da non essere in grado, sebbene gay ed ebreo, di vedere in Hitler un pericolo e un nemico. Dunque, l’individuo geniale sarebbe colui che decide da solo del destino di milioni di persone, rendendo superfluo il sacrificio di milioni di lavoratori e del tutto ininfluenti le ideologie e la ricerca storiografica. Unico aspetto positivo del film, la denuncia delle pratiche criminali che, ancora nel secondo dopoguerra, gli inglesi utilizzavano contro i gay: dalla prigione alla castrazione chimica.
4) Sangue del mio sangue di Marco Bellocchio, voto: 2,5
Recensito in La banalità del cinema e della critica della post-nuova sinistra
3) Maraviglioso Boccaccio di Paolo e Vittorio Taviani, 3 nomination ai David di Donatello, voto: 2
Recensito in Il maraviglioso nulla
2) Perfidia di Bonifacio Angius, in concorso al Festival di Locarno, voto: 1,5
Film utile solo quale termometro della crisi anche sovrastrutturale del nostro Paese e della crisi dei nostri intellettuali. Il film vede il mondo da un punto di vista del tutto formalistico, tipico dell’intellettuale tradizionale, che segue le mode culturali cercando quelle più ben accette al potere costituito. Dunque, tutto il film conosce e sa esprimere del mondo solo il lato grottesco, peraltro in modo del tutto privo di originalità, presentandoci l’ennesima cattiva copia di Cinico TV. Il film è noiosissimo, privo di qualsiasi cura formale, non lascia nulla di significativo da pensare, è del tutto irrealistico e si limita a una pessima fotografia del più gretto esistente, secondo il consolidato prototipo post-moderno del minimal-qualunquismo.
1) Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza di Roy Andersson, svedese 2014, Leone d’oro a Venezia, miglior commedia europea agli European Film Awards, voto: 1
Questo vergognoso film, assolutamente intollerabile, ha vinto la palma d’oro a Venezia. Al solito il festival, voluto da Mussolini, non si smentisce e premia un film tanto elitario quanto di scarsissima qualità. Film pensato e premiato proprio perché a suo modo esemplare di ciò che apprezzano gli intellettuali tradizionali piccolo borghesi, ossia un astruso e noiosissimo formalismo indigeribile e non fruibile dai lavoratori manuali, che dà ai primi quel senso di superiorità che dal punto di vista economico vanno perdendo. Il film senza capo né coda, senza senso, non dà nulla da pensare è del tutto anti-realistico e conosce solo il tono espressivo del grottesco. Da questo punto di vista non è che una copia del film analogo premiato l’anno precedente, Sacro GRA, che a sua volta è un film alla maniera di Cinico TV, interessante come sketch ma intollerabile come film. Abbiamo una serie di sketch montati, assortiti, girati e recitati male. Il trailer del film è più che sufficiente per cogliere l’intero (non)senso del film. Dà da pensare unicamente la mancanza di gusto e la cattiva fede della giuria e della critica - che hanno premiato e non stroncato un pessimo film come questo - e dello stesso pubblico del festival che non lo ha fischiato come avrebbe meritato.