“L’economia non è quella signora che esce di casa solo nel primo pomeriggio e un po’ prima di sera ne fa ritorno e dopo aver fatto le sue compere quando i supermercati sono semivuoti e le strade quasi deserte. È, invece, una bella donna, giovane alquanto, e veste sempre alla moda con capi firmati, e sta per strada sempre negli orari di passeggio per farsi guardare anche se sa bene che quasi nessuno la desidera.”
Scusate. Così Ascanio Bernardeschi mi ha ispirato a presentare in modo personificato l’economia, il suo libro di cui si presenta una recensione ha per titolo, Malascienza [1], termine che è stato presentato in un’opera di Gianfranco Pala, un economista marxista recentemente scomparso.
Il sottotitolo, Il percorso tortuoso dell’economia, ci fa immergere immediatamente nella realtà delle varie fasi delle politiche economiche delle quali, soprattutto negli anni Novanta, tutti noi siamo stati, e lo siamo ancora, vittime; penso che ciò sia accaduto un po’, forse, per pigrizia intellettuale ma soprattutto perché siamo stati raggirati dai contesti socio politici, gestiti da certi politici ed economisti, dentro i quali eravamo inseriti nonostante avessimo operato continue lotte politiche e sindacali (sindacali ma non con Cgil-Cisl-Uil, sia chiaro). Nonostante fossero state lotte molto dure, alla fine hanno lasciato la scena ai noti imperativi denominati “equilibri socioeconomici” che hanno favorito - e favoriscono tuttora - accumulazioni a volte non trasparenti dei capitali, attraverso soprattutto la Rete dei mercati finanziari che, com’è noto, dagli anni Novanta è stata rilanciata dal livello che era - alle grida - a online.
In questo libro alcuni modelli economici vengono esplicitamente sottoposti a verifica corrente e con interpretazione marxista, ma in modo innovativo, seguendo i lineamenti dell’ordinaria didattica e dei programmi dei corsi di economia delle università, facendo però in modo da coinvolgere anche il lettore che non abbia frequentato corsi di economia universitari ma abbia desiderio di conoscere questa scienza che è classificata come sociale, per quanto favorisca sempre i poteri forti della finanza come sanno bene gli attivisti marxisti. Il libro pone anche un altro tema che, per quanto non sia esplicitato, si pone però con forza dalla lettura analitica e di verifica, ossia che per avere il rilancio di una cultura dell’economia marxista si devono costituire sedi di studio autonome dalle università ordinarie in quanto queste sono completamente al servizio della borghesia e della difesa dell’economia capitalistica.
Ascanio Bernardeschi ha pubblicato questo libro (Copyright 2023 La Città Futura, pp. 244) descrivendo nell’insieme anche i lineamenti dei principali processi storici dell’economia a partire da Adam Smith e da Ricardo, e cioè prima di Marx, passando per i modelli del dopo Marx fino a quelli vigenti oggi con varie osservazioni lungo i vari percorsi, ben articolati, che delineano la ricerca dell’Autore. Il libro nell’insieme costituisce anche un’innovazione editoriale perché, pur presentando il cuore dell’economia, che sono i modelli (l’economia è una scienza sociale nata con il capitalismo), vengono spiegate bene nell’Introduzione le ragioni di focalizzare il lettore sull’economia di Marx. L’economia, quindi, così come viene descritta, si presenta non chiusa ma aperta e sollecita ulteriori studi avendo come riferimento Marx e le sue opere, soprattutto il Capitale ma, ovviamente, non soltanto.
È a metà tra un manuale e una guida ma, attenzione, ha tratti decisamente non nozionistici, perché l’Autore, senza discostarsi dai temi che tratta, presenta per le fasi che stiamo vivendo, in alcune pagine, le criticità economiche-finanziarie che richiedono per essere superate un’economia nuova, non capitalistica, che ha per base l’economia di Marx. Certo, è un primo contributo che descrive l’inizio dell’economia capitalistica e come io ho interpretato pone il tema di lasciarsi alle spalle l’insieme dei modelli capitalistici. Il lettore si chiederà se l’economia nella sua storia è stata sempre legata nelle varie fasi, giusto, ma se vogliamo che la ricchezza prodotta, ad esempio, non sia più in prevalenza soltanto per i privati, ma soprattutto sia sociale a favore di tutti, bisogna che i modelli capitalistici restino pure nella storia ma nella realtà debbono azzerarsi e quindi starne fuori soprattutto a livello della formazione di nuovi economisti marxisti. Secondo me, il problema principale è che la formazione degli economisti avviene soltanto nelle università che, come ho già detto, sono strumenti del capitalismo e soprattutto sedi di rappresentanza istituzionale della borghesia, quella della finanza in prevalenza. Quindi è necessario che, per una economia anticapitalistica e marxista, si formino sedi di formazione extra-universitarie. Questo libro presenta i materiali, allo stato teorico s’intende, per nuovi processi di studi marxisti che sono possibili, anche se è necessario che si affermi un diverso profilo del militante marxista, maggiormente attento ai processi dell’economia.
Piace davvero come il libro è articolato: appena si apre, ecco che tre slide attirano subito l’attenzione, due di Marx ed Engels che conosciamo bene e sono note e sono state continuamente rilanciate, ed una, la terza, di Joan Robinson e proprio quest’ultima secondo me (1978, Contributions to modern economics) merita di essere segnalata: “Qualsiasi teoria seguita ciecamente ci porterà fuori strada. Per fare un buon uso di una teoria economica dobbiamo prima distinguere i contenuti propagandistici da quelli scientifici, poi, verificando con l’esperienza, vedere fino a che punto la parte scientifica appare convincente, e infine riconnetterla con le nostre vedute politiche. Lo scopo dello studio dell’economia non è acquisire una serie di risposte già pronte a domande economiche, ma apprendere come evitare di essere ingannati dagli economisti”.
Mi ha colpito molto che un economista inglese di orientamento post-keynesiano, morto il 5 agosto del 1983, abbia formulato in una sua opera verso la fine degli anni Settanta in poche righe una delineazione globale di un possibile superamento del ruolo imperativo dei modelli dell’economia capitalistica e proprio in quella fase degli anni Settanta-Ottanta che progressivamente andava evolvendosi, per l’affermarsi del neoliberismo di Milton Friedman e della nota Scuola di Chicago, che viene presentata alle pagine 195-198. È così, come dice Joan Robinson, i modelli economici non debbono essere seguiti ciecamente ma debbono essere messi sempre sotto verifica corrente, ma ciò purtroppo non ha interessato mai gli economisti, i quali non hanno mai approfondito a livello didattico gli effetti dei propri modelli. Tanto per dire, oggi sappiamo bene come il neoliberismo è stato devastante soprattutto sotto l’aspetto delle privatizzazioni e ha favorito Stati leggeri quasi senza economia pubblica e welfare, generando nel mondo aumenti notevoli delle povertà. Di questo modello gli economisti ne hanno sempre parlato e scritto con favore e le critiche sono state rare e poco diffuse. Il libro segue questa economista inglese però si coglie anche che, lungo le pieghe del libro, costanti sono i riferimenti verso un contributo importante (Antikeynes - La rivoluzione della filosofia sociale compiuta da lord John Maynard Keynes, 2022) recentemente pubblicato, proprio contro il modello di Keynes, da parte di Gianfranco Pala, economista già citato, che analizza le interpretazioni correnti del sistema economico di Keynes. E’ noto che queste interpretazioni sono state prese a modello teorico dalla sinistra come alternativa al liberismo mentre poi, di fatto, si tratta di un modello che combacia con l’impianto marginalistico-neoclassico di cui dirò dopo e che nel libro è ampiamente trattato (pp. 115-137) quale modello nato ed affermatosi per contrastare Marx.
Il keynesismo, pp. 146-163, nella realtà dell’economia mondiale, è uno strumento utile ad alimentare quella dicotomia centrata sul modo di produzione del capitale, ossia tra stato e mercato. Se però i neoliberisti hanno individuato nel primato del mercato e nelle scelte individuali la possibilità di un miglioramento del benessere generale, Keynes si è limitato a sottolineare come un intervento dello Stato possa determinare effetti simili: insomma per Keynes finché il sistema è in equilibrio e produce profitti tutto va bene ma non appena entra in crisi ecco che deve intervenire lo Stato con capitali pubblici e appena si è risolta la crisi deve uscire di scena e di corsa.
Attenzione. La dicotomia tra stato e mercato come viene presentata da Keynes nasconde esplicitamente una delle duplicità basilari del modo di produzione capitalistico che è il capitale e il lavoro salariato che determinano insieme nel suo svolgimento contraddittorio la lotta tra le classi che, come sappiamo, non si ferma mai. L’opera di Pala citata mostra come la visione di Keynes sia stato del tutto incompatibile con il marxismo e viceversa - e in questo Marx e Keynes sono, come dire, il motore dei contrasti che Ascanio Bernardeschi in questo libro ci presenta. Il libro, quindi, è anche uno strumento di analisi dei contrasti tra Marx e gli economisti, non solo di quelli che l’hanno preceduto ma soprattutto di quelli successivi, ma come ho però già detto si mettono in evidenza anche le differenze verso economisti e modelli vigenti. Si tenga conto che quest’opera invoca confronti su questi temi perché come abbiamo detto è un libro aperto per promuovere altri studi, che naturalmente verranno se si rilanciano incontri tematici e convegni mirati, nonché dei veri e propri corsi di economia marxista per coloro che non hanno conoscenze di base, ma conoscono a livello dialettico il pensiero di Marx. In pratica se i comunisti vogliono non solo contare di più ma anche interpretare meglio e governare i processi economici in corso è necessario che almeno a livello di studi dell’economia capitalistica in parallelo venga resa fruibile quella marxista di cui necessita, in modo che si formino economisti comunisti che oggi, scusate, sono come le mosche bianche.
Tra i modelli che si presentano quello del marginalismo è certamente quello che deve essere, secondo me, rianalizzato perché presenta nelle sue articolazioni dei passaggi che vanno capiti da tutti per essere superati. Il modello riguarda la produzione e le scelte di utilità e di consumo che può fare un consumatore, ma come sappiamo è ampiamente al centro dei corsi universitari e con il monetarismo esercita un’influenza maggiore rispetto ai modelli dell’economia classica, tanto che viene quasi identificato con l’economia stessa. Si occupa della quantità di lavoro necessario per una determinata produzione e definisce il valore di un prodotto che, ricordiamolo sempre, per Marx è il lavoro. In base all'impostazione marginalista il valore del prodotto riflette il grado di soddisfazione soggettiva (e non il lavoro) che i consumatori attribuiscono ai diversi prodotti e la soddisfazione insieme all’utilità tenderà a diminuire con il consumo progressivo di ogni unità aggiuntiva dello stesso bene. Com’è noto le teorie classiche riconoscono progressivamente una distinzione tra valore e prezzo, mentre quella marginalista, proprio per contrastare Marx, di fatto li accomunano. La teoria del valore sostenuta dai marginalisti è fondata su fattori esclusivamente soggettivi basati su calcoli di convenienza dei singoli individui. Pertanto il valore di un prodotto è definito sulla base dell’importanza che il consumatore attribuisce al prodotto stesso e cioè più il prodotto è desiderato, più è capace di soddisfare un bisogno e più vale (ma è falso). L’economia dei consumi, secondo i marginalisti, al di là che si tratti di consumi primari o meno, non distingue, secondo me, ad esempio tra consumi alimentari e servizi sanitari, ambedue indubbiamente indispensabili. Altra questione sono i consumi sociali di massa.
Sia chiaro non è facile distruggere questo modello ma bisogna provarci e naturalmente va analizzato il più possibile per avere alternative praticabili che non siano impossibili da realizzare. Ecco perché al di là di questo modello vanno rilanciati gli studi marxisti di economia con studenti motivati, docenti e ricercatori su specifici aspetti. Certo non è facile, ma sappiamo bene che il lavoro per l’edificazione di una società comunista non cammina su un tappeto di rose con a lato tanti applausi e lanci di baci, ma avanza distruggendo primariamente interessi e privilegi delle classi borghesi, che hanno scelto l’economia come il loro strumento primario. Nel libro questo modello viene descritto da pagina 115 a 137 con schemi che sono stati alquanto semplificati e comunque sono ben leggibili, naturalmente vanno approfonditi. Il modello come sappiamo si sviluppò tra il 1870 e il 1890 e fu quello della prima scuola che si oppose a Marx, e non solo in modo dialettico ma proprio per distruggere l’opera di Marx. Per i suoi esponenti, i diversi tipi di reddito, ovvero salari, profitti e rendite, sono intesi come una ricompensa per il contributo di ciascun fattore produttivo quali il lavoro e il capitale.
Sia chiaro, la sua metodologia ancora oggi, insieme al monetarismo, esercita un’influenza notevole rispetto all’economia classica, ombreggiando sistemicamente quella marxista che viene presentata da pagina 20 a 109. In queste pagine è presente una guida all’opera di Marx, in quanto i vari sotto capitoli vengono continuamente richiamati nelle descrizioni dei modelli. In conclusione presento il finale dedicato a Marx, Il metodo dell’economia politica, p. 39, che sintetizza ottimamente le differenze tra lui e gli economisti classici:
“Marx è associato da molti agli economisti classici in quanto ha elaborato le teorie di Smith e Ricardo, tra cui la teoria del valore. Tuttavia questa associazione fa perdere di vista la rottura di Marx con questi economisti. Come abbiamo già sottolineato, per gli economisti classici le leggi della produzione erano leggi della natura. Per Marx, invece, le leggi della produzione sono caratterizzate dai rapporti sociali di produzione e il capitalismo è solo una fase specifica della storia”.
[1] E’ possibile reperire qui il libro nella versione cartacea o digitale.