Segue da “Soluzioni hegeliane” dedicato all’analisi dell’opera di Francesco Valentini “Soluzioni hegeliane”, Guerini e associati, Napoli 2001. E’ inserito direttamente nel testo, in parentesi tonda, il rinvio alla pagina di questo testo da cui la citazione è desunta.
Il Gewissen di Jacobi, ossia l’assoluta certezza dell’autocoscienza di essere legislatrice, in quanto ha la certezza immediata di essere fondata sul bene, è in grado di fatto di mettere in discussione le leggi, ben più della troppo astratta coscienza kantiana. La coscienza di Jacobi è quindi in grado, formalmente, di determinare da sé ciò che è bene e di rimettere in discussione da questo punto di vista una realtà che non vi si confaccia; oppure può semplicemente ritirarsi al proprio interno rifiutando la realtà esteriore come inadeguata. Inoltre, una volta rimessi in discussione tutti i valori costituiti l’azione non può che risiedere sulla particolarità del Gewissen, che allo stesso tempo, per la sua autoriflessività sa l’universale e, quindi, è altrettanto consapevole della colpevolezza della propria azione, in quanto tale particolare. Tuttavia il Gewissen, che ha rimesso in discussione tutti i valori costituiti, può dotarsene di nuovi e solo così può sfuggire al male insito nell’agire particolare. Ciò significa “creare nuova storia, dare nuovo senso al corso delle cose” (92). Questo compito sarebbe assegnato da Hegel, nell’interpretazione su questo punto un po’ discutibile di Valentini, ai grandi uomini, ai geni storici. Per gli altri, per i normali bourgeois resterebbe la necessità di attenersi all’ordine costituito, il seguire il dovere assoluto nel rispetto delle regole perseguendo il proprio tornaconto particolare. Anche qui si resta nella contraddittorietà di volersi attenere alla vuota forma del principio morale, che finisce così per riempirsi dei contenuti determinati più disparati, desunti acriticamente dall’esperienza.
L’unica soluzione possibile per uscire da questo impasse è costituita dal determinarsi dell’universale astratto e formale nel senso dell’eticità. Anche nel mondo etico all’uomo non resta che seguire le regole etiche costituite. Non si tratta, dunque, di tornare alla eticità eroica dei geni storici, che resta per Hegel un che di pregiuridico e di prestatale. Tuttavia questa soluzione hegeliana non deve essere considerata, come spesso è stato fatto, una morale da filistei, un semplice accordarsi con la realtà dei fatti, dato che l’eticità è a sua volta fondata sulla ragione esaminatrice delle leggi del Gewissen, dunque nulla esclude che essa possa rimettere in discussione l’ordine costituito nel momento in cui questo non si accordi più con il principio di ragione.
Nel terzo capitolo è raccolto uno studio dedicato da Valentini a Spaventa e la logica di Hegel. A parere di Valentini Bertrando Spaventa può essere considerato un riformatore di Hegel e non un suo semplice interprete quasi esclusivamente per aver tentato di rifondare le prime categorie della Scienza della logica. Del resto tale sforzo era per Spaventa imprescindibile altrimenti, a suo avviso, lo stesso sistema hegeliano sarebbe caduto sotto i colpi di critici come Friedrich Adolf Trendelenburg.
Valentini richiama, quindi, per sommi capi l’interpretazione data da Spaventa alle prime categorie della Logica. L’essere è il pensabile astratto nel processo del pensiero. Come tale è la determinazione dell’immediatezza e costituisce il presupposto del pensiero. Il nulla non è altro che il tentativo malriuscito di estinguere il pensare nell’essere, da cui il pensiero prende consapevolezza di sé. Così la negazione dell’essere si invera nel pensare, o meglio nel pensante. L’astrazione dell’essere trapassa nel vivente. Le due categorie così sono parte di un unico movimento, in cui il pensare si viene distinguendo dal pensato. Il pensato trapassa nel pensare e il pensare nel pensato, dato che non posso che pensarlo come tale: ecco il divenire. Tuttavia non si può permanere in questo continuo movimento, il passaggio all’essere determinato avviene ancora in modo soggettivistico – come nel caso dell’astraente, in quanto è l’essere che si pone risolvendosi a pensare il determinato. L’esserci è dunque “il primo Sé, la prima presa di coscienza dell’atto del pensare, di cui i momenti precedenti sono astrazioni” (102). Solo grazie a questa lettura soggettivistica, in cui il nulla è sostituito dal pensare, sarebbe possibile per Spaventa superare la difficoltà del passaggio dall’identità di essere e nulla al divenire.
Valentini passa, quindi, a esporre la propria interpretazione delle prime categorie hegeliane, volta a confutare la lettura di Spaventa. Nella prima triade si tratterebbe, a parere di Valentini, della rappresentazione da parte di Hegel dell’alba del pensiero, di “un’opinione che cerca di pensare l’impensabile, ciò che sta prima del pensare, ciò che non è determinato” (105). Perciò il passaggio tra le prime tre categorie non è dialettico, ma immediato. Da ciò, ne deduce Valentini, in contrasto con la tesi di Spaventa, che “nell’ambito della Logica hegeliana queste categorie non sono quelle che reggono l’edificio, ma sono le categorie più povere, si potrebbe dire che sono il risultato dell’astrazione dalle altre categorie” (106).
Per Valentini Spaventa comprende a ragione che la Fenomenologia è premessa alla Logica, ma perde di vista il fatto che in entrambe le opere, benché a diversi livelli di astrazione, vi sia un medesimo contenuto. Inoltre sottovalutando tutta la seconda parte della Fenomenologia Spaventa perde di vista l’essenziale posizione storicistica della filosofia hegeliana. Per Spaventa, dunque, la Logica è un conoscere facendo, mentre per l’interpretazione storicistica di Valentini è una pura riflessione che ha il suo presupposto nel decorso storico. Così Spaventa recupera sostanzialmente il punto di vista della filosofia trascendentale inserendo l’Io puro all’inizio della Logica quale suo fondamento. In ciò Spaventa si inserisce in un più generale ritorno a Kant che sarebbe stato capace di egemonizzare la stessa scuola hegeliana.
Il quarto capitolo del libro di Valentini è dedicato a Hegel e il mondo della ricchezza. Anche qui gioca un ruolo decisivo l’interpretazione di Valentini dello spirito hegeliano e dell’intera sua filosofia, nel senso di un radicale storicismo. “Nulla è più storico dello spirito hegeliano: esso è greco, romano, cristiano, francese, tedesco! (115). In questa interpretazione lo spirito fa la sua comparsa nell’intatta eticità greca per poi subire quel processo di lacerazione, per cui l’ulteriore storia dello spirito è tutta in questo processo di riconquista della libertà perduta, in questo tentativo di ritrovarsi a casa nel mondo, benché ora in senso riflessivo e non più immediato, che si compie con la conquista del sapere assoluto.
In questo processo di ritorno a sé dello spirito una tappa decisiva è costituita dal mondo della ricchezza, un mondo dominato da una prospettiva essenzialmente intellettuale. Ora, benché il sapere assoluto si ponga al di là di questa dimensione intellettuale, non altrettanto è in grado di fare la sua più elevata manifestazione nello spirito oggettivo: lo Stato moderno. Il mondo della ricchezza è severamente criticato da Hegel, soprattutto negli anni di Jena, per la sua cecità, per essere legato immediatamente alla sfera dei bisogni, per il suo porsi così al di là del bene e del male. Si tratta, dunque, di un mondo astratto dominato dal diritto formale e dalla proprietà privata, in cui anche il lavoro tende a divenire sempre più astratto, persino meccanico. Lo stesso valore è ridotto a misura quantitativa della ricchezza posseduta. Tuttavia ciò non impedisce a Hegel di cogliere gli elementi progressivi di questo mondo. Il diritto di proprietà è irreversibile, in quanto momento essenziale della libertà del singolo. Ora per Hegel questo mondo della ricchezza, come regno della differenza tende a contrapporsi immediatamente alla sfera dell’universale, all’unità compatta dello Stato. In questo rapporto, in questo giudizio dell’essere determinato nota acutamente Valentini con riferimento alla Logica, l’uno, lo Stato rappresenta il buono, mentre la differenza, la sfera della ricchezza il cattivo. Si tratta di un giudizio unicamente asseverativo, fattuale, che tende a fissare per sé come opposte le essenze. Esse in realtà si compenetrano, passano l’una nell’altra come momenti di un processo. Si passa così a un giudizio di valore, in cui è la coscienza che di volta in volta dà la sua preferenza a uno dei due poli. In questo modo, però, la coscienza stessa si polarizza: in coscienza nobile, che si accorda con lo Stato e con la ricchezza, e coscienza spregevole che non si accorda con entrambe. Questo dualismo, tipico del giudizio, si risolve in un sillogismo.
Hegel, attento lettore di A. Smith, coglie i due aspetti essenziali quanto contraddittori della sua analisi: da una parte vi è la mano invisibile che permette, a partire dai privati egoismi, di sviluppare la ricchezza universale, dall’altra, come conseguenza necessaria, c’è la ricchezza che produce povertà. Benché il mondo della ricchezza sia in espansione mantiene in sé un momento di casualità. Tale opposizione si riproduce al livello della coscienza generando uno stadio di lacerazione, in cui la coscienza è dipendente dall’altro da sé, dal movimento incontrollabile della ricchezza. A questa lacerazione della coscienza corrisponde la lacerazione del suo linguaggio, che si presenta come disgregato, e quella del suo mondo, il mondo della cultura, dell’intelletto. Da ciò deriva un profondo non appagamento della coscienza che cerca di superare questo lacerato mondo dell’intelletto nel mondo della fede. “Insoddisfatta della sola estrinseca razionalizzazione del mondo effettuale, la coscienza proietta le strutture di questo mondo nel mondo del pensare (…) o della fede, che è una fuga dal mondo effettuale” (133). A essa si oppone, in modo astratto, l’intelletto illuminista che, limitandosi a una negazione astratta della religione, finisce per recuperarne il contenuto sotto forma di essere supremo o di dover essere.
L’intelletto si realizza pienamente, benché solo in forma reificata, nel mondo dell’utilità. Tuttavia in questa oggettività non ritrova il proprio Sé. Il Sé di questo mondo si pone per sé solo nella libertà assoluta, storicamente nella Rivoluzione francese, in cui si esprime tanto la sua universalità, quanto la sua furia negatrice. Nonostante la tragica esperienza del terrore questa negatività assoluta si muta nella positività della conciliazione di coscienza assoluta e coscienza singola, che apre la via all’affermazione del sapere assoluto. Sapere assoluto che, per Valentini, va assolutamente “demitizzato”, storicizzato. Esso, non è altro che “datata interpretazione di quei fatti che hanno costituito lo ‘spirito’, ossia il Senso” (136). L’uomo è di nuovo a casa sua nel mondo e in più padroneggia ora il percorso storico che lo ha condotto a questo risultato.
Da questo conquistato punto di vista è possibile ripensare e finalmente comprendere il mondo della ricchezza. Esso perde il suo aspetto di destino in quanto è colto come momento necessario dello sviluppo storico e, tuttavia, per essere compreso, per essere domato deve essere considerato da questo superiore punto di vista. Questo è anche il punto di vista propriamente politico che ha il compito di regolamentare e razionalizzare, per quanto è possibile, il mondo della ricchezza. Si diceva per quanto è possibile, dato che in esso permangono dei momenti di naturalità, come il problema della creazione della plebe moderna e quello delle guerre, che non sembra possibile risolvere nemmeno dal punto di vista raggiunto del sapere assoluto. Del resto, poi, “il sapere assoluto non prevede, non prescrive, tanto meno predetermina, semplicemente comprende; garantisce soltanto – e non è poco – che si operi in un ‘grado più alto’” (142).