L’ultimo esercizio stilistico di Greenaway, un film pretenzioso e intollerabile

Uno stravolgimento conformisticamente post-moderno del grande intellettuale sovietico Sergeij Ėjzenštejn. I presunti dieci giorni che sconvolsero sessualmente Ėjzenštejn contrapposti ai dieci giorni che sconvolsero il mondo, è questo il motivo fondamentale, ripetuto ossessivamente, in questo intollerabile film di Greenaway. Il film presenta un campionario dei più banali luoghi comuni improntati al più radicale orientalismo sull’Urss, la Russia e il Messico.


L’ultimo esercizio stilistico di Greenaway, un film pretenzioso e intollerabile

Uno stravolgimento conformisticamente post-moderno del grande intellettuale sovietico Sergeij Ėjzenštejn. I presunti dieci giorni che sconvolsero sessualmente Ėjzenštejn contrapposti ai dieci giorni che sconvolsero il mondo, è questo il motivo fondamentale, ripetuto ossessivamente, in questo intollerabile film di Greenaway. Il film presenta un campionario dei più banali luoghi comuni improntati al più radicale orientalismo sull’Urss, la Russia e il Messico.

di Renato Caputo e Rosalinda Renda

Voto: 3

Il film è presentato come indipendente, anche se la produzione è internazionale, nel senso che vi hanno investito i principali paesi dell’Unione (imperialista) europea. Viene da chiedersi indipendente da che? Non certo dall’ideologia dominante, postmoderna nella forma e reazionaria nel contenuto. Tantomeno il film appare indipendente rispetto ai pregiudizi, ai cliché, al senso comune più conformistico ed eurocentrico. Anzi forse l’aggettivo indipendente sta solo a significare che tale attitudine conformista è portata alle sue estreme conseguenze tanto da apparire sgradevole e a tratti rivoltante.

Gli aspetti che non ci hanno fatto scendere sotto il 3, è una indubbia perizia tecnica, ultraformalistica, della regia, della fotografia e della colonna sonora[1] . Si tratta di aspetti e immagini decisamente suggestivi, anche se quasi sempre gratuiti, delle trovate a tratti anche geniali, ma generalmente estemporanee e ridondanti. Colpiscono in particolare e sono gli unici aspetti del film a provocare un certo godimento estetico alcune riprese del Messico, dalla natura al barocco al ventre delle città, improntare a un orientalismo onirico a tratti pericolosamente fascinoso. Ciò svela l’intento provocatorio di Greenaway che ha preteso realizzare un’opera su Ėjzenštejn in una prospettiva ultra-formalistica che si pone agli antipodi della poetica del grande regista e teorico sovietico[2].

Siamo nel 1931, Ėjzenštejn è in Messico con il fine di girare Que viva Mexico. Di tutto ciò nel film non resta traccia, come non resta traccia dei motivi che impedirono la realizzazione di quest’opera. Al regista interessa solo costruire un film a tesi volto a demonizzare l’Urss e più in generale la Russia, presentati come barbari, di contro ai grandi “valori” postmoderni occidentali, che si riducono essenzialmente a dare libero sfogo alla propria sessualità[3]. Ciò è reso possibile dall’ideologica inversione fra la contraddizione principale di natura economica e sociale, e la contraddizione secondaria legata alla libertà di esprimere apertamente le proprie preferenze sessuali[4] . Ciò impedisce a Greenaway di sottrarsi al destino di irrilevanza che produce necessariamente il soggettivismo dell’arte romantica. Evidentemente un’opera d’arte tutta incentrata sul compiacimento dell’autore nell’evidenziare le presunte preferenze sessuali di Ėjzenštejn non può che suscitare scarso interesse, al di là di un pubblico di cinefili snob. Il film infatti è del tutto privo di realismo, i personaggi che presenta sono tutt’altro che tipici, le prospettive che apre sono nulle, lascia da pensare davvero poco allo spettatore, al di là di una mesta riflessione sulla decadenza non solo della nostra struttura ma anche delle sovrastrutture. Infine come espressione, per dirla con Hegel, dello spirito assoluto il film è certamente mediocre, in quanto si limita a rappresentare in un’ottica conformista la rappresentazione di sé del mondo occidentale e il suo modo di fraintendere orientalisticamente il proprio altro. La realtà riflessa esteticamente dal film appare del tutto deprivata del suo contenuto etico, ma abbiamo soltanto la rappresentazione della goffaggine e inadeguatezza dal punto di vista sessuale di Ėjzenštejn e della raffinata mancanza di moralità, funzionale alla depravazione occidentale, della guida messicana.

Per dirla kantianamente quale manifestazione sensibile del sovrasensibile il film è altrettanto sostanziale in quanto sostituisce il contenuto sostanziale reale, il confronto fra intellettuali che riflettono sulla rivoluzione russa e messicana, in un rapporto omossessuale essenzialmente fisico. Anche dal punto di vista dell’estetica negativa francofortese il film è certamente carente, in quanto piuttosto che denunciare e far emergere le contraddizioni e il negativo del proprio mondo storico, l’Occidente, il film finisce per essere una sua indiretta apologia con il suo sforzo di dimostrare che qualsiasi alternativa in senso progressivo è impossibile e anzi l’utopia si trasforma necessariamente in una distopia. Dunque, sarebbe preferibile accettare come modello il mondo occidentale così com’è perché il tentarne un radicale miglioramento non può che creare un male peggiore.

Il film è certamente deludente anche dal punto di vista di Aristotele, non solo per l’insignificanza e la non verosimiglianza del plot, ma anche dal punto di vista della catarsi. Il terrore e la compassione infatti sono funzionali a far giungere gli spettatori a una catarsi in senso reazionario, per cui l’esistente diviene il migliore dei mondi possibili, dal momento che l’unica alternativa progressiva, la società socialista (reale) è presentata come un vero e proprio inferno.

Infine anche dal punto di vista brechtiano l’opera è insoddisfacente, in quanto è assolutamente priva di dialetticità, presentandosi al contrario come un film a tesi piatto e scontato, come lo sono del resto i personaggi messi in scena, tutti uomini a una dimensione, non scavati nemmeno dal punto di vista psicologico. Ridotti a vere e proprie maschere stereotipate, secondo i pregiudizi del senso comune occidentale, i personaggi ci sono presentati dagli attori, che condividono in modo passivo l’ottica reazionaria del regista, senza il ben che minimo effetto di straniamento, a testimonianza del fatto che riescano a immedesimarsi senza remore in personaggi davvero miseri.

Anche dal punto di vista dell’estetica di Lukács il film va considerato negativamente in quanto non è affatto in grado di rappresentare la totalità contraddittoria di una mondo storico nella sua complessità, ma si limita a rispecchiarne alcuni aspetti particolari, secondari in modo superficiale. Anzi Greenaway tende a contrapporre e a esaltare un aspetto finito della realtà, come l’avventura sessuale occasionale fra due uomini alla radicale trasformazione di un mondo storico, finendo così per esaltare il finito in contrapposizione all’infinito e al sostanziale.

Lo stesso personaggio principale del film è radicalmente negato, è solo un pretesto per questo saggio di film ideologico a tesi nel contenuto e ultra formalista e postmoderno nella forma. Il grandissimo regista e raffinatissimo intellettuale ci è infatti presentato in quanto russo come goffo e impacciato, un troglodita anarcoide, un bambinone uscito per la prima volta da solo e assolutamente incapace di vivere senza una balia, nel film rappresentato dalla guida messicana[5]. Che gli insegna la civiltà, dalla doccia, alle gioie della sessualità. Anche in questo caso, come in tutto il resto, si tratta di un puro e semplice rovescismo storico visto che Ėjzenštejn veniva dal paese che proprio grazie alla Rivoluzione d’Ottobre aveva conosciuto il massimo per il tempo di liberazione sessuale sul piano teorico[6] e pratico[7] .

Certo, anche in questo caso, verso la fine degli anni trenta nell’epoca termidoriana, della guerra civile contro i montagnardi e herbertisti del tempo, dell’enorme sforzo dei primi piani quinquennali e della preparazione dinanzi alla prossima aggressione del nazi-fascismo vi sarà anche da questo punto di vista una parziale restaurazione. In parte comune a tutti i processi rivoluzionari, da quello inglese nel diciassettesimo secolo, a quella americana e francese nel diciottesimo secolo, a quella russa, cubana o vietnamita nel ventesimo secolo. Ma appunto le leggi che ad esempio restaurano la persecuzione dei rapporti omosessuali sono del 1936, segno che erano state eliminate proprio dalla rivoluzione del 1917. Anche in questo caso non si trattò di una completa restaurazione del livello di repressione della sessualità dell’epoca reazionaria, anche se pure in tal caso molte delle conquiste precedenti furono sacrificate alla necessità di consolidare il socialismo in un solo paese, dopo che la rivoluzione sul piano internazionale aveva subito una pesante battuta d’arresto[8]. Sarebbe inoltre da domandarsi, cosa che ovviamente il conformista Greenaway non si sogna neanche di fare, chi ha imposto all’Urss quello stadio di assedio, che ha favorito l’imposizione di un conseguente stato di eccezione che ha ristretto pesantemente le libertà anche individuali conquistate con la rivoluzione.

Cosa ancora più grave, tutto l’incredibile processo rivoluzionario che dal 1917 aveva cambiato il mondo, viene ridotto a nulla, in quanto i dieci giorni che sconvolsero il film sono spazzati via dai dieci giorni che sconvolsero Ėjzenštejn, che finalmente si emancipa sessualmente facendosi sverginare per dovere di ospitalità da un padre di famiglia messicano[9]. In tal modo una grandiosa tragedia storica viene cancellata, la rivoluzione si riduce ai primi dieci giorni dell’insurrezione, e la fine dello spaventoso dispotismo zarista, che segna al contempo l’epilogo della terrificante Grande guerra, sono ridotti alla perdita della verginità. Per cui il tragico portato dell’arcaico e feudale sistema zarista viene considerato qualcosa di ingenuo, candido e puro a cui i rivoluzionari, con la violenza, avrebbero tolto la verginità. Detta iniziazione sessuale sodomitica cancella del tutto il passato dello Ėjzenštejn grande intellettuale e artista, il suo presente di professionista impegnato nella realizzazione di un film e il suo futuro che ne avrebbe fatto uno dei più importanti, se non il più importante regista della storia del cinema. No, nel film di Greenaway, l’intervento della moglie, che per difendere l’integrità del nucleo famigliare si vede costretta a interrompere l’iniziazione sodomitica eisensteiniana, diviene per Ėjzenštejn una sorta di condanna a morte, con il ritorno nell’universo concentrazionario sovietico, al punto che cerca di farsi arrestare rubando le posate degli hotel messicani. Una ridicola arpia appare la moglie di Sinclair, produttrice del film, perché osa richiamare il regista, tutto preso come un adolescente dalla scoperta del sesso, ai suoi doveri professionali. Anche qui siamo dinanzi a un palese e assolutamente inverosimile falso storico e stravolgimento ideologico della personalità del grande regista che, lo si riconosce anche nel film, girò ben 400 km di pellicola cercando disperatamente fino all’ultimo di realizzare il suo obiettivo, ossia un film sul Messico della rivoluzione.

Siamo agli antipodi dell’ottimo film Pride in cui la lotta per la liberazione sessuale, e in particolare contro l’omofobia, si lega alla lotta per l’emancipazione dell’umanità, subspecie della lotta per la liberazione dei lavoratori salariati delle miniere britanniche[10]. Qui la liberazione sessuale e la lotta all’omofobia diviene uno strumento per la damnatio memoriae della più grande esperienza di emancipazione del mondo contemporaneo.

Così siamo costretti ad assistere inermi al rovescismo storico, con alcune parziali via di fuga fra le braccia di morfeo, per cui ad esempio la Rivoluzione di Ottobre viene presentata come un’esplosione di violenza[11] , dimenticando che furono proprio quegli eventi a porre fine al più spaventoso massacro che l’umanità aveva fino allora conosciuto, la prima guerra (imperialista) mondiale.

La rivoluzione avrebbe condannato i russi, anche gli intellettuali di punta come Ėjzenštejn, ancora nel 1931!, alla fame più nera, a doversi ricavare i bottoni da residui bellici, alla repressione di qualsiasi libertà di espressione, alla mancanza dei minimi servizi igienici, a dover dormire con le scarpe sotto il cuscino ecc. Per cui, anche da questo punto di vista, il Messico (!?) non può che apparire allo sguardo rovescista di Greenaway un paradiso perduto per il povero Ėjzenštejn condannato a vivere nel paese dei soviet[12]. Incredibilmente dal Messico scompare qualsiasi contraddizione sociale e qualsiasi traccia di miseria, anzi le scene si svolgono sempre in irrealistici hotel extra lusso, in cui il buzzurro Ėjzenštejn è iniziato dal suo anfitrione ai piaceri della civiltà occidentale di cui non si ha notizia non solo nell’universo concentrazionario sovietico, ma più in generale nella Russia che appare barbara allo sguardo pregiudizievolmente russofobo ai limiti del razzismo di Greenaway. Tale accanimento russofobo nasconde il terrore dell’occidente imperialista nei confronti di una realtà come quella russa che a differenza di molti altri paesi, a partire dall’attuale Messico, non si accontenta di stabilire un rapporto servile con il proprio padrone, caratterizzato da un riconoscimento unilaterale, ma ambisce a sviluppare autonomamente un proprio carattere, per quanto discutibile possa poi essere.

Che un fedele suddito della monarchia più violenta della storia, possa permettersi di tacciare di violenza la rivoluzione che consentì prima di terminare la prima guerra mondiale e poi di sconfiggere la belva nazi-fascista ponendo fine anche alla seconda guerra mondiale, equivale più o meno a un nano della regia come Greenaway che si permette di ridicolizzare per tutto il corso di un ridicolo film un gigante del cinema come Ėjzenštejn. Ancora più vergognosa è la rappresentazione di Ėjzenštejn come un povero bacchettone, di cui l’emancipato Greenaway non può che sorridere. Al contrario basterebbe mettere a confronto la rappresentazione del tutto acritica della religiosità anche più primitiva da parte del regista inglese, con la critica profonda e illuminista e marxista di Ėjzenštejn per dimostrare che è vero esattamente il contrario. Particolarmente imbarazzante è in confronto fra gli spezzoni di scene sostanziali di Ėjzenštejn messe a raffronto con l’assoluta accidentalità delle scene di Greenaway. Anche dal punto di vista formale il regista inglese, sempre impegnato a guardarsi la lingua, fa la figura di un misero epigono manierista del geniale regista sovietico[13] . Da questo punto di vista Greenaway rientra a pieno titolo nel paradigma dell’ironia romantica, non a caso sempre fustigata da Hegel, perché contrappone l’accidentalità della propria soggettività individuale a ogni valore etico sostanziale di cui la prima si fa gioco.

Particolarmente disgustante è la russofobia del film, funzionale all’attuale politica imperialista occidentale, che fa il paio con il razzismo orientalista della rappresentazione del Messico, di cui si trova traccia della rivoluzione solo in una battuta al solito utile a ridicolizzare il grande regista russo.

Particolarmente fastidioso è il vezzo postmoderno del regista di citare tutta una serie di grandissimi intellettuali dell’epoca, in modo del tutto gratuito, come del tutto gratuita è la figura di Ėjzenštejn per rappresentare una iniziazione sessuale sodomitica[14]. Gli unici a cui viene concesso un minimo di spazio sono i coniugi Sinclair, che rappresentano il prototipo degli intellettuali impegnati, che si adoperano in ogni modo per consentire a Ėjzenštejn di superare le difficoltà ideologiche ed economiche e realizzare un nuovo grande film. Anche questo grande intento è al solito ridicolizzato da Greenaway, che come lo scrittore romantico non sa che ironizzare su tutto ciò che è grande e sostanziale, cercando così di far emergere la propria misera soggettività. Quest’ultima appare in tutta la sua meschineria quando sfoga sui coniugi Sinclair tutto il livore che ha l’intellettuale tradizionale ultra-conformista verso l’artista impegnato e disponibile a guardare al di là del proprio naso, che non si limita a rimirare il proprio ombelico.

Il disprezzo tipico dell’orientalismo eurocentrico colpisce in primo luogo i russi, in secondo luogo i messicani, ma si espande nel classismo snobistico nel disprezzo verso i subalterni, dalle cameriere ai lustrascarpe. Anzi la barbarica pratica di farsi lustrare le scarpe da un minorenne, senza nemmeno retribuirlo adeguatamente, viene presentato come un momento di liberazione del godimento estetico dinanzi al moralismo sovietico che ha vietato questa barbara pratica. Per cui all’iniziazione alla libertà di Ėjzenštejn oltre alla libertà di espressione, di vivere nel lusso, di fare la doccia e la siesta, si aggiunge quella di farsi lustrare le scarpe da un minorenne.

Anzi il film, per contrastare il presunto moralismo sovietico, non fa che sbattere in faccia dal primo all’ultimo minuto allo spettatore una serie di nudi e atti sessuali assolutamente gratuiti, con dialoghi e inquadrature noiosamente insistenti sugli attributi sessuali, tanto che a tratti ci si annoia e ammorba come davanti a un film porno, al cui genere inteso in senso lato anche questo film appartiene.

Non avendo nulla di sostanziale da dire, il regista cerca di tenere sveglio lo spettatore con immagini forti, dalle ambientazioni iper-barocche, al sesso anche spinto, all’orrido, al disgustoso. Non riuscendo a colpire alla testa cerca di colpire lo stomaco o si riduce a tirate colpi bassi. Ma anche così, alla lunga, finisce per far sbadigliare lo spettatore. Il costante ritornare sulle immagini di morte, mescolati con le immagini del carnevale a sottolineare la vanità della vita e la fragilità della gioia umana, dinanzi all’incombenza della morte, sono indizio della paura della morte che non può che prendere l’uomo che nella vita non si dà degli scopi sostanziali, universali. Chi non ragiona nella prospettiva del genere e non considera la propria esistenza come contributo allo sviluppo dell’umanità, finisce inevitabilmente per ridursi all’essere per il cadavere su cui non a caso insisteva tanto Heidegger, dal momento che nulla resta al di là della radicale finitezza e “gettatezza” dell’esserci umano.



[1] Molto significativo il contrasto fra l’alta e sontuosa musica classica di Prokofiev e la musica etnica e popolare messicana. A livello musicale si raggiunge un ottimo equilibrio contrappuntistico fra questi due opposti, mentre nel plot l’elemento messicano ha del tutto il sopravvento sull’elemento russo-sovietico. Il primo infatti viene irrealisticamente pompato, diviene quasi un gigante, per meglio umiliare e svilire il secondo momento.

[2] L’impostazione di Greenaway può esser forse definita, riadattando una celebre definizione di Lukács, da gran Hotel sull’Abisso, in quanto si impegna nella costruzione di un ingegnoso edifico formale proprio sull’orlo dell’abisso di barbarie in cui rischia di sprofondare la civiltà occidentale. In altri termini l’etica di Greenaway è analoga a quella di Schopenhauer, secondo la quale «il nulla come prospettiva, il pessimismo come orizzonte di vita, […] non può affatto impedire, e nemmeno rendere difficile all’individuo una condotta di vita piacevole e contemplativa. Anzi l’abisso del nulla, il tetro sfondo dell’assurdità dell’esistenza, non fanno che aggiungere un fascino piccante a questo godimento della vita. Questo fascino viene ulteriormente accresciuto dal fatto che lo spiccato aristocraticismo» di questa posizione che Greenaway condivide con Schopenhauer «innalza i suoi seguaci, nella loro immaginazione, di gran lunga al di sopra di quella plebe miserabile che è così ottusa da lottare e soffrire per un miglioramento delle condizioni sociali». Così il film di Greenaway, come il sistema di Schopenhauer appare «costruito, dal punto di vista architettonico formale, con molto impegno e senso della composizione, si erge come un elegante e moderno hôtel fornito di ogni comodità, sull’orlo dell’abisso». György Lukács, La distruzione della ragione, Einaudi, Torino 1974, pp. 289-90.

[3] A ragione S. Žižek ha individuato in questo concentrarsi unicamente sui questioni come la liberazione degli istinti sessuali e non su questioni sociali e sui bisogni economici delle masse popolari una delle principali ragioni delle ripetute sconfitte delle “sinistre” occidentali. Questo concentrarsi unicamente sui diritti civili degli individui a discapito dei grandi temi universali economico-sociali consente di capire come queste formazioni radical-chic abbiano ancora un parziale successo fra settori della classe media istruita, mentre il proletariato delle periferie è generalmente abbandonato alle sirene reazionarie del fondamentalismo religioso, delle gang, del razzismo e più in generale della guerra fra poveri.

[4] Anche perché la soluzione della seconda dipende essenzialmente dalla prima, dal momento che risulta storicamente parzialmente risolta o in paesi che trasformano in modo rivoluzionario i rapporti sociali ed economici come l’Urss, o paesi economicamente sviluppati che si possono permettere, avendo il pieno controllo del potere, alcune concessioni sui diritti civili individuali.

[5] A controllarlo vi sono agenti dei servizi messicani, gli immancabili agenti del Kgb russi e dei macchiettistici sgherri della mafia locale. Tutto questo dispiegamento di forze, al seguito di quello che appare un turista alla ricerca di forti emozioni sessuali appare al solito gratuito e fuori luogo.

[6] Si pensi alle riflessione radicalissime sulla liberazione sessuale da parte della Kollontaj.

[7] Si pensi che il processo rivoluzionario si apre, subito dopo la presa del palazzo di Inverno, con una orgia di dimensione di massa inimmaginabili in cui la popolazione diede finalmente libero sfogo alle proprie pulsioni sessuali da secoli represse. La nuova autorità rivoluzionaria impiegherà tre giorni per ristabilire un minimo d’ordine. Anche se il problema rimarrà ancora a lungo, se più di una volta lo stesso Lenin sarà costretto a intervenire sulla “Pravda” per invitare i propri concittadini a un maggiore equilibrio affinché la liberazione sessuale non diventi l’arbitrario sfogo delle proprie pulsioni sessuali.

[8] In Italia, Austria, Ungheria e Germania si era passati da una situazione rivoluzionaria o pre rivoluzionaria al dominio aperto della reazione fascista e nazista.

[9] Fra l’altro il rapporto è presentato come non fondato sul reciproco riconoscimento. Ėjzenštejn appare invaghito della guida messicana che lo sovrastra non solo per esperienza e dal punto di vista fisico, ma in modo del tutto irrealistico anche dal punto di vista intellettuale. Al contrario la guida messicana accetta il rapporto essenzialmente per dovere, corrispondendo così ancora una volta allo stereotipo orientalista per cui il lavoratore al servizio del viaggiatore occidentale deve dimostrarsi disponibile anche a svolgere prestazioni sessuali, senza nemmeno immaginare a una retribuzione per gli straordinari. La natura dionisiaca che gli occidentali proiettano sul loro oriente rende i subalterni del terzo mondo naturalmente soggetti anche dal punto di vista sessuale all’immaginario occidentale. Anche da questo punto di vista il film è decisamente intollerabile.

[10] Di quanto siano cambiate, e non in meglio le cose, lo deduciamo paragonando gli attivisti rappresentati nel film Pride che manifestavano nel giorno del Gay pride la necessità di universalizzare la lotta per i diritti, cercando momenti di solidarietà con altri settori oppressi dal sistema dominante, con gli attivisti scesi recentemente in piazza in Italia per il gay pride. Non solo in quest’ultimo caso manca qualsiasi sforzo di connessione con altri settori, ma al contrario il sindaco, per quanto manifestatamente incapace di contrastare il sistema mafia capitale, viene applaudito, per essere gay friendly nonostante si professi fervente cattolico. Persino il circolo Arci Mario Mieli, uno dei pochi a mantenere una posizione di sinistra in questi ultimi anni, ha pensato bene di contrapporre nel suo spezzone i paesi con leggi avanzate sull’omofobia, sebbene siano guerrafondai e spesso sostenitori dell’austerità, ai paesi intolleranti che sarebbero poi essenzialmente Iran, Cina e Russia ossia i principali paesi che si oppongono a livello internazionale allo strapotere dell’imperialismo occidentale. Non una parola invece sul fatto che i paesi che hanno applicato leggi favorevoli ai matrimoni omosessuali sono gli stessi che mantengono in vita regimi dispotici ultra reazionari, come quelli dei paesi del golfo dove non solo vi è una assoluta intolleranza per gli omosessuali, ma l’intolleranza si estende a qualsiasi modo di essere non conforme alla barbara e primitiva ideologia dominante.

[11] Fra l’altro lo stesso Greenaway, senza nemmeno accorgersi di essere caduto in contraddizione, sostiene dati alla mano nel seguito del film che la ricostruzione dei dieci giorni che sconvolsero il mondo operata da Ėjzenštejn per la realizzazione del film Ottobre fu più violenta e distruttiva della rivoluzione reale.

[12] Anche in questo caso la becera ideologia sottesa a questo vergognoso film finisce per autocontraddirsi. Di Ėjzenštejn, presentato come il genio artistico martirizzato dal comunismo, si ricorda che la sua fama internazionale al tempo era dovuta a soli tre film: Sciopero, La corazzata Potemkin e Ottobre, ossia tre pellicole assolutamente impensabili astraendo dall’ideologia comunista.

[13] Il manierismo roccocò, proprio del secentismo programmatico del regista britannico è particolarmente fastidioso nella rappresentazione, compiaciuta, dei bassifondi, che ricorda la seconda pessima parte dell’ultimo film di Martone, e la nota di fondo dell’ultima vergognosa prova di Garrone. Questo gusto nello sguazzare fra gli escrementi e il vomito può esser considerato un vero e proprio manifesto del cinema di Greenaway.

[14] Anche quest’ultima è rappresentata proprio nel modo più schematico di un film a tesi, senza nemmeno un minimo di suspence o qualche colpo di scena.

20/06/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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