Destini capitali è la prima raccolta di poesie della storica del marxismo italiano Cristina Corradi, uscita nel 2020 per le edizioni Ensemble di Roma, pp. 180, 13 euro. La raccolta è arricchita da notevoli disegni dell’autrice.
La prima sezione della raccolta, intitolata Storia narrativa, si apre con una poesia dall’emblematico titolo: Viviamo in tempi confusi non bui [1]. La poesia è dedicata al grande poeta comunista Bertolt Brecht ed è una rappresentazione molto realistica del miserevole periodo storico che siamo condannati a vivere in piena restaurazione neoliberista. Non si tratta più dei tempi bui di brechtiana memoria, a cui segue necessariamente la luce – dal momento che la notte più lunga eterna non è – ma di tempi confusi. I volti di quest’epoca non sono stravolti dalla lotta di classe, ma dalla chirurgia estetica. Non resta quindi che chiedere indulgenza al grande poeta Brecht, la cui voce, fortunatamente ci raggiunge ancora.
Di impianto decisamente hegeliano è la seguente poesia Postuma al Novecento, che si apre con il bel verso:
“operaio, ideologico, tragico”.
Molto significativa anche la chiusa:
“Un’occasione per ricordare
negazione generativa
negazione determinata” (10).
ovvero la negazione caratteristica della dialettica hegeliana, che ci invita a superare il secolo scorso, abbandonando quanto vi è di caduco – a partire dall’ideologia postmoderna – per conservare quanto c’è di ancora prezioso e attuale, come l’affermazione della classe operaia e la necessità di schierarsi, di prendere parte attiva alla lotta per l’emancipazione del genere umano.
Molto bella e significativa la successiva invettiva contro l’ideologia dominante postmoderna, a ragione denunciata per aver:
“conferito in discarica
contraddizioni sapide
moltiplicato l’indifferenziata”.
Molto significativo anche il bilancio conclusivo che denuncia come del moderno il postmoderno abbia conservato solo gli aspetti più deplorevoli e meritevoli di essere definitivamente abbandonati, ovvero il:
“nichilismo estetizzante
nuovismo affabulatore
scarti da inceneritore” (11).
Significativa anche la poesia successiva che denuncia la conclusione tragica del novecento, che ha portato a credere nella bugia
“della fine dell’ideologia,
mitologia della tecnocrazia”, che divenne ”la nuova teologia”, facendo di noi “archeologia” (12).
Non poteva non seguire:
“La storia non è finita
estenuata, s’è messa in pausa”.
Dal sonno della storia sono sorte le narrazioni ideologiche:
“La tecnologia ci avrebbe liberato
tutti e meno avremmo lavorato
nell’impero mondiale pacificato” (13).
Dal sonno della ragione sarebbero sorti: “Pensieri deboli, decostruzioni”, emblemi del postmoderno, insieme a “eterni ritorni di molteplici divari”.
Particolarmente valida è la successiva ripresa della brechtiana Lode della dialettica:
“la dialettica è un’arte
di conflitti intelligibili
vita sociale al ritmo del concetto,”
“assumere posizioni coscienti
di nessi tra cose invisibili
apparentemente distanti,
educazione che allena
l’intera postura” (14), ovvero è ciò che ci sospinge a mantenere la schiena dritta.
Degna di ricordo anche la successiva ode ad Amedeo Bordiga,
“il primo segretario del Partito
Comunista d’Italia,
aveva capito
la dialettica capitale:
anarchia mercantile
dispotismo aziendale
tecno burocrazia al potere
su prodotti del lavoro,
sperpero di ricchezza sociale” (15).
Da citare anche Filosofia metalinguistica con la sua critica della
“semiotica ermeneutica” che
“sembrava promettere
ulteriore dimensione
riflessiva, ci tiene invece
prigionieri nel mezzo
d’una parola tecnica o pregiata
murati nell’incanto
d’un rinvio che s’avvita
alla chiusa di se stesso.”
Si tratta, perciò, come viene a ragione sottolineato di:
“Sfondare la gabbia,
riconquistare referenza
alla parola con oggetti” (19).
Decisamente riuscita è anche:
“Alibi per rinunciare
alla fatica di pensare,
la complessità
mette fuori legge la totalità”.
Altrettanto valida e commovente è:
“Ci hanno provato
a tentare l’assalto al cielo
prima che un cerchio
chiudesse, il morso
della reazione più stretto,
la rivoluzione era
sulla bocca di tutti.
Errori politici
deliri di veggenti
facile dire da posteri” (22).
Sempre a proposito dei tempi oscuri in cui ci tocca vivere e del rapporto con la memoria del secolo scorso molto efficace è la poesia:
“Nel secolo scorso
l’alleanza antifascista
annacquò vino di classe
con acqua popolare.
Nel Duemila
non abbiamo vino rosso
nella botte e neppure
acqua popolare al rubinetto,
rischiamo di imbarcare
etanolo capitale” (24).
Molto significativa è anche la poesia Hai notato, di cui ci limitiamo a ricordare un passaggio particolarmente incisivo:
“Hai notato
tutti gli ismi fuori legge
tranne capitalismo che si tace” (30).
La seconda sezione della raccolta di poesie ha il significativo titolo di: Forza lavoro testuale e si apre con una significativa presa di posizione:
“Lavoranti testuali coscienti
della propria collocazione interna
alla forza lavoro salariata,
questo e non altro il mandato sociale” (35).
Ne consegue il breve, ma efficacissimo componimento:
“E paghi lo stage
per lavorare gratis
e paghi l’editor
per scrivere il racconto” (37).
Decisamente da ricordare è la breve, ma estremamente significativa, poesia:
“Marx amava
la filosofia e la storia
la poesia di Shakespeare
e la letteratura.
Si è sfinito nello studio
della merda economica.
Una ragione strategica c’era” (46).
Da ricordare è il più lungo e complesso componimento seguente, che mette bene in luce la crisi anche culturale dei nostri giorni. Per riassumerne il senso basta ricordare qui la prima e l’ultima efficacissime strofe:
“C’era una volta una cultura
preoccupata delle sue sorti
che denunciava la barbarie
con appelli riunioni
manifesti e convegni”.
“Trascorso quasi un secolo
alla fine della storia
le acque si richiusero,
la cultura tornò
a occuparsi di se stessa” (47).
La terza sezione, che dà anche titolo all’intera raccolta, è Destini capitali. In questa sezione certamente memorabile è il componimento dedicato al capitale:
“Uno e trino
Fondiario, produttivo monetario,
il suo verbo
accumulare depredando
recintare terre da affittare
abolire usi comuni servizi collettivi
sradicare deportare nativi
aspirare saperi arti e mestieri” (69).
Da citare è certamente anche il potente inizio di:
“Economia dello spread
guerra con mezzi monetari
surplus e disavanzi commerciali
deflazione e dumping salariali
concorrenza di paradisi fiscali
liberi scambi imposti da padroni
esportazione di mine e di droni
rivoluzioni arancioni” (70).
Dirompente è la poesia-invettiva sull’euro, in cui si denuncia l’eurocentrismo così à la page, della quale riportiamo un passaggio particolarmente efficace nella critica dell’ideologia dominante:
“Europeo non è titolo di vanto
né bandiera di pace,
europeista anche il progetto
hitleriano di un impero” (80).
Sulla stessa linea di rovesciamento dialettico dell’ideologia dominante il breve, ma essenziale componimento:
“Sburocratizzato abbiamo per vent’anni
liberalizzato, semplificato, delegificato
appaltato, esternalizzato, delocalizzato
lacciuoli un po’ più in alto a destra sono ricresciuti,
norme europee prescrivono l’altezza del rosmarino:
un rapporto tra burocrazia e libera circolazione?” (83).
Molto significativa e ancora volta a smascherare il pensiero unico dominante la lirica:
“Mai è libero il mercato
capitalistico, immanente
la tendenza a concentrazione
competitiva e centralizzazione,
volpe monopolistica
produce il suo pollaio” (85).
Altrettanto dirompente e demistificante è la breve ma acuta composizione:
“Il dispotismo totalitario
del capitale ha un armadio
pieno di vestiti, può cambiare
abiti liberali democratici
autoritari secondo l’occasione” (89).
Altrettanto significativa e potente è la poesia:
“Industria e agricoltura risucchiate
dal nuovo ordine mondiale
Italia in zona euro senza IRI
destinata a turismo di lusso
e lavoro a basso prezzo,
figliolanza d’elite
addestrata in inglese
a eseguire direttive liberali
liquidare infeudare territori.
Provare almeno a immaginare
un’altra collocazione internazionale” (100).
La sezione successiva della raccolta: Miseria personale, è forse la meno significativa, anche se non mancano spunti felici, come questo passaggio di Autobiografia:
“Non posso raccontare
la mia storia
senza il quadro generale
personale miserevole
senza il donde collettivo” (122).
Molto amara e crudamente realistica e, al contempo, profondamente istruttiva la breve lirica che conviene riportare per intero:
“Mi consenti di criticarti
madre tollerante e indifferente
mi conosci adolescente irrilevante.
Irrisoria la mia protesta
variante già calcolata di complessità
rumore nel rumore sottofondo.
Ma se mutasse la congiuntura,
una scossa sociale improvvisa
frugasse i tuoi logori nervi
non esiteresti dittatura” (129).
Davvero illuminante l’ultima strofa de Dei maestri non rimpiangiamo
“Se ami Fortini non scrivere
Mimando lessico metrica e tropi
fatti risvegliare dal suo odio” (130).
Passando alla ricca e stimolante sezione Astri e politica, intendiamo in particolare ricordare la lirica:
“Dimmi da che parte sociale stai
chi sono i tuoi compagni
gli avversari principali,
come leggi gli strati di reale
come unisci analisi e sintesi,
programmi minimi e massimi
quinquennali e secolari.
Dopo parliamo d’interessi generali” (145).
Particolarmente attuale non può che apparire la chiusa del seguente componimento:
“Non possiamo delegare
ai competenti tecnici esperti
la decisione politica
e morire nel cinismo” (146).
Decisamente centrata è la breve poesia successiva di denuncia del rovescismo storico del Parlamento europeo, di cui citiamo la chiusa:
“Il parlamento non decide
quasi nulla, si annoia
e legifera di storia.
Ossesso naziliberista
fa sorgere un sospetto:
il fantasma si aggira ancora” (148).
Purtroppo, di estrema attualità è anche la successiva composizione che occorre citare per intero:
“Ciò che ci accomuna
molto più importante
di ciò che ci distingue,
non riconoscerlo
è il nostro male.
Perduta la passione
di ragioni dell’intero,
perseguiamo unicità
in stoltezza solitaria,
inutilmente diversi” (149).
Azzeccata anche la lode del marxismo, definito acutamente nell’ultima strofa:
“Fascio di luce che erompe
nei tempi cruciali della lotta
sapienza maturata nel confronto
con la migliore tradizione” (155).
La raccolta si conclude con la Canzone della pena capitale (in cerca di rapper), da cui citiamo alcuni dei versi più significativi:
“Più a fondo vecchia talpa aveva già scavato
In una merce speciale,
forza lavoro alienata in denaro
l’arcano svelato. Ma il velo s’è riformato
sebbene sia vietato.
Il capitale s’emancipa, si liberalizza
si fa ribelle, estetico, si femminilizza
viaggia parla lingue si rifà le labbra
acculturato di sinistra adora il meticciato
e vallo a spiegare all’emigrazione
che è avanguardia dell’ibridazione” (170).
Note:
[1] Citeremo direttamente nel testo inserendo tra parentesi tonda il numero della pagina dell’opera recensita.