“E noi je famo…” per Scup. Ascanio Celestini: presente

L’intervista ad Ascanio Celestini intervenuto a Roma alla festa promossa dal Centro di Cultura Popolare e UniGramsci a sostegno di Scup


“E noi je famo…” per Scup. Ascanio Celestini: presente

Il Centro di Cultura Popolare e UniGramsci promuovono una festa a sottoscrizione a favore di Scup. La rinascita del Csa in Via Tuscolana. Attivata la solidarietà. L’intervento generoso di Ascanio Celestini. Giufà, personaggio ingenuo, ma vincente, ricordato anche nell’opera letteraria di Basile “Lo cunto de li cunti”. L’intervista all’artista  

di Alba Vastano

Ci vado alla festa del Tufello del nove luglio, perché il mitico Ivano Di Cerbo ci tiene che si partecipi all’iniziativa organizzata dal “suo” Ccp e da UniGramsci, ma anche perchè l’evento è a sostegno del nuovo Csa “Scup”, rinato in via Tuscolana dalle ceneri di Via Nola, dopo lo sgombero forzato del maggio scorso. Un terzo motivo che mi entusiasma nel partecipare all’incontro è che finalmente vedrò un attore versatile che mi ha sempre affascinato per come tiene la scena con lunghe narrazioni, spesso in prima persona, che non annoiano mai. Un ritmo velocissimo nel racconto, che avvince sempre, tanto da non riuscire a perderne una parola, anche distraendosi per accendere una sigaretta, o commentare con un amico. Immobile, o quasi, sul palco, scenografia zero, non ce n’è bisogno. Basta lui, solo lui, a convalidarsi fenomeno della seconda generazione del teatro di narrazione.  

È Ascanio, il “grande” Ascanio Celestini. Arriva attesissimo al parchetto del Tufello, nel terzo municipio della capitale, dove si sta svolgendo la festa. Zainetto in spalla, abbigliamento casual e tanti capelli brizzolati e spettinati, occhi luminosi e ridenti. Un ragazzo ancora, di quelli che creano subito empatia per lo sguardo vivace e la conversazione pronta e allegra. Sale sul palco e non parla del debito greco, né dell’austerity, né di mafia romana, né delle perfomance dei politici nostrani. Parla di Giufà, ininterrottamente per un’ora abbondante.  

Tre storie correlate sull’ingenuità, ma anche sulla scaltrezza di questo personaggio della tradizione orale popolare della Sicilia e giudaico-spagnola. Figura dello “scemo del villaggio”, ma non troppo, ricordata anche nell’opera di Basile “Lo cunto de li cunti”. Giufà è allergico alle convenzioni sociali, burla tutto e tutti, schernisce la paura, la morte, l'autorità. Giufà è il coraggio di vivere e di sfidare le avversità. Un personaggio vincente che offre un messaggio positivo nella sua forza di aggirare gli ostacoli. Applausi scroscianti per Ascanio e per Giufà. Non posso non avvicinarlo e chiedergli un’intervista. Non mi dice di chiamare il suo addetto stampa, né che è molto impegnato e non ha tempo. Accetta subito con grande cortesia e alla mail che gli invio, segue subito, nel giro di una notte, la sua risposta generosa. Un compagno disponibile e generoso che “non se la tira” per la fama raggiunta.

L'intervista 

Anzitutto, Ascanio, il tuo pensiero su ciò che è accaduto e accade nella capitale in riferimento al “mondo di mezzo”. La prendiamo alla lontana, ma non troppo. Il problema è nell’amministrazione Marino o nella precedente? O Roma è mafiosa da sempre?  

Intervisto un uomo di partito che ha lavorato per il ministero della giustizia. Mi dice: “entravo in questi uffici dove i vecchi funzionari stavano da vent’anni e mi guardavano con certe facce… sono loro che comandano, capito? Tu gli chiedi un documento e loro possono non dartelo dicendo che non esiste o che non si trova, possono rassicurati che si troverà, ma non te lo forniranno mai o anche farti sapere che sei uno scomodo e che faranno il possibile per aiutarti, ma tu non sai se sarà davvero così”.
La Mafia è gente che specula e spara, ma si appoggia su un materasso comodo di persone vere che stanno zitte, sono accomodanti, non si impicciano, timbrano il cartellino e poi vanno a fare la spesa per far trovare il pranzo pronto ai figli che tornano da scuola…”
Insomma non so quanto Marino e i suoi siano stati artefici o complici o osservatori di un sistema malato. Ma sono certo che la malattia è presente da molto tempo.  

Nonostante la bufera sulla mafia romana, gli avvisi di garanzia, i fermi, le intercettazioni e le indagini sulla giunta comunale, continuano prepotentemente gli sgomberi di case, centri sociali, centri d’accoglienza. Non è spiegabile tutto ciò. Chi c’è allora “dietro” a tenere le fila della corruzione romana?

Non lo so chi c’è dietro. Non so nemmeno se c’è davvero qualcuno dietro. Ma sono convinto che il dissenso sia un problema da risolvere per molte persone (partiti che governano o dissentono, sindacati che difendono e si contrappongono, ecc), mentre l’assenso si risolve veloce veloce con una X su un quadratino, magari on-line, dove i semplificatori della democrazia pensano di contare qualcosa e invece tirano la rincorsa al criceto che li sostituirà nella ruota, quando loro saranno criceti spompati. Certe politiche repressive sono buone per tutti. Gli sgomberi fanno bene alla destra e alla sinistra. Sono una maniera per comunicare in modo semplice che si sta ristabilendo una legalità. Una qualunque.  

Roma è diventata la capitale delle ruspe, ruspe che arrivano “a tambur battente” con ordinanze comunali improvvise. E colpiscono ovunque ci siano emergenze abitative e ovunque si faccia accoglienza, cultura e sport per le fasce più deboli. Come si debellano questa vergogna e questi soprusi. Come si tolgono le mele marce?  

Magari fossero mele marce!
Mi capita quando torno dalla tournée. Trovo un limone ammuffito nel cesto della frutta, lo tolgo, lavo il cestino e mangio una mela prima venga attaccata dal marcio del limone. Questo è ciò che accade nel cesto della frutta della mia cucina. Invece nelle nostre città ci si comporta diversamente. Quelle che ci sembrano “mele marce” sono elementi funzionali di un sistema che funziona benissimo.  

E’ capitato all’Angelo Mai, come, nel maggio scorso, al Csa Scup. Luogo dove si svolgevano varie attività di mutualismo e di cultura. Ospitava alcuni corsi dell’Università Popolare “Antonio Gramsci”. Perché questa mannaia sui centri sociali che offrono ai cittadini servizi culturali e sportivi gratuiti?

Roma è una città nella quale accadono molte cose. La maggior parte delle volte i cittadini sono trattati come clienti che pagano per mangiare, vedere spettacoli, fare sport… Quando qualcuno ricorda a quei cittadini che sono cittadini, mette in crisi il sistema.  

Scup sta rinascendo, grazie alla solidarietà e all’intervento di tanti volontari giovani e meno. E’ di pochi giorni fa l’iniziativa al Tufello “E noi je famo…per Scup”, a cui hai prestato volontariamente la tua presenza. Qual è stato il tuo spirito nell’ aderire all’iniziativa?  

Ho partecipato perché mi sembrava indispensabile farlo. Stavo a Roma, ho preso la metro e sono arrivato al Tufello.  

La tua performance si è incentrata su tre storie il cui protagonista è Giufà. Perché hai scelto questo personaggio e in questa occasione. A chi ti sei riferito in particolare? Ovvero dove volevi “colpire”. Giufà è la metafora di…?  

No, Giufà non è metafora sociale o politica di qualcos’altro. Penso che sia un personaggio fuori del tempo, una marionetta che ci ricorda (come Pinocchio) l’effimero corpo che cerchiamo di gestire, ma anche il tempo storpio col quale fare i conti.
Un racconto medievale ci ricorda di un Pulcinella di legno mostrato in fondo ad una piazza e di un Cristo, anche lui di legno come il burattino, che stava dall’altra parte. Cristo non se lo filava nessuno, mentre Pulcinella era seguito da molti. Il prete disse, col crocefisso in mano: questo è il vero Pulcinella! Insomma quando racconto di Giufà penso ad una tipologia di racconti che ci presentano uno sguardo ancestrale sulla nostra vita. Il racconto può essere uno strumento per guardarci attorno, ma anche per guardarci dentro.  

Altre iniziative in programma per l’estate a favore dei centri sociali e contro la corruzione che dilaga a Roma e non solo?  

Sto pochissimo a Roma. E quando ci sto cerco di rendermi utile. Due giorni prima dell’iniziativa del CCP partecipavo alla serata di raccolta fondi per la cassa di resistenza No Tav. Ma per tutta l’estate sarò in giro per l’Italia. Cerco di seguire delle storie per poterle raccontare. Ho imparato a fare questa cosa e cerco di rendermi utile facendola. Il 17 vado a Napoli con Alessio Lega per raccontare al rione Traiano la morte di Davide Bifolco. Pochi giorni dopo si chiuderà il processo contro il carabiniere che lo ha ammazzato. Una storia che vale la pena raccontare e non solo per denunciare ciò che è successo, ma anche per incominciare a comprendere il perché.  

Ascanio, per partecipare alla festa a sottoscrizione per la ricostruzione del centro sociale Scup, sgomberato selvaggiamente in una brutta giornata di maggio, non ha avuto bisogno di contratti, tantomeno di compensi. Ha semplicemente “..preso la metro e sono arrivato al Tufello”. Anche in anticipo, per parlare un po’ “co la ggente de Roma che lo stava a aspettà”. Un vero artista, un generoso e umile compagno che a Roma “je vole bene davero”.  

16/07/2015 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Alba Vastano

"La maggior parte dei sudditi crede di essere tale perché il re è il Re. Non si rende conto che in realtà è il re che è il Re, perché essi sono sudditi" (Karl Marx)


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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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