La Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja accusa la leadership israeliana

La storica decisione della Corte dell’Aja di accusare la leadership israeliana è un risultato importante delle mobilitazioni popolari a favore dei palestinesi, ma evidenzia anche una certa insoddisfazione dell’amministrazione Biden verso le operazioni militari israeliane.


La Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja accusa la leadership israeliana

Dopo l’azione di Hamas del 7 ottobre è iniziato un pesantissimo attacco israeliano contro la Striscia di Gaza. Attacco che ha provacato un numero molto elevato di morti civili tra i palestinesi, spingendo un paese quale il Sud Africa ad accusare Israele di genocidio del popolo palestinese. I capi di accusa presentati dal paese africano alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja prevedono l’attacco deliberato contro i civili, mirato a provocare la morte per fame e malattie della popolazione palestinese. Lo scopo dell’azione militare decisa dal governo Netanyahu, piuttosto che essere mirato a liberare gli ostaggi, in alcuni casi uccisi durante le stesse operazioni militari israeliane, sembra quello di stradicare la popolazione palestinese dai propri territori e annettere la Striscia di Gaza allo Stato di Israele.

Ricordiamo che il Sud Africa riconosce tale corte e per tale ragione, essendo stato emesso dalla medesima corte un mandato di arresto per il presidente russo, Putin non ha potuto partecipare di persona al 15° vertice dei BRICS a Johannesburg nell’agosto dello scorso anno, limitandosi a una partecipazione in videoconferenza. Le accuse del paese africano contro Israele hanno il loro peso, anche perché a farle è la nazione nata dalla liberazione dall’infamia del regime di aparthaid, che lo stato ebraico di fatto applica da decenni contro la popolazione palestinese rinchiusa nella “prigione a cielo aperto” di Gaza.

L’accanimento contro i civili dell’operazione militare israeliana ha costretto un imperialista conclamato come Joseph Borrell - il cui pensiero è esemplificato dalla celebre espressione di “giungla”  utilizzata per riferirsi al sud del mondo, da cui “il giardino europeo” dovrebbe difendersi - a dichiarare che Gaza da ”una prigione a cielo aperto” è diventata “un cimitero a cielo aperto per decine di migliaia di persone”. 

Nel frattempo nel “giardino” occidentale è cresciuta una notevole protesta contro il massacro dei civili a Gaza. Queste mobilitazioni sono state particolarmente importanti nel cuore di questo “giardino”, gli Stati Uniti, dove hanno visto la mobilitazione di migliaia di studenti americani nelle università americane, supportati in queste anche da coraggiosi docenti, tanto che alcuni media hanno equiparato queste proteste a quelle contro l’operazione militare in Vietnam avvenute nel 1968. Protesta che non si è spenta nonostante la dura repressione, con arresti e licenziamenti degli accademici pro-Palestina. Tale protesta non poteva che influenzare il clima generale e costringere anche una corte come quella dell’Aja, che si è distinta nella sua storia per non aver mai condannato nessun leader dei paesi imperialisti, a portare sul banco degli imputati il primo ministro israeliano Netanyahu e il ministro della difesa d’Israele Gallant. Certo le accuse di crimini contro i civili sono state fatte anche contro la leadership di Hamas, dal leader dell’organizzazione Sinwar, al comandante del braccio armato Deif e al capo dell’ufficio politico Haniyeh. Questa decisione ha provocato la reazione di Hamas che ha sostenuto che la Corte Penale Internazionale (CPI) dell’Aja  “mette sullo stesso piano la vittima con il carnefice"; tuttavia queste accuse mosse dalla CPI, nonostante il cerchiobottismo, sono senz’altro un’importante risultato ottenuto delle mobilitazioni internazionali per il popolo palestinese. 

Sebbene gli Stati Uniti abbiano preso da subito le difese di Israele, minacciando di sanzionare i procuratori dell’Aja – la cui corte tra l’altro non riconoscono, anche per evitare ogni possibile condanna dei propri militari per i crimini commessi nei Paesi aggrediti – per aver osato mettere sul banco degli imputati la leadership israeliana, sottotraccia emerge una certa insoddisfazione della amministrazione Biden verso Netanhayu e le sue scelte. L’attacco a Rafah, a cui l’amministrazione Usa era fortemente contraria, ha infatti rafforzato le proteste negli Stati Uniti, che vedono in prima linea gli elettori democratici con una ormai quasi certa sconfitta elettorale per Biden alle presidenziali di novembre; infatti, stando ai sondaggi, Trump è in vantaggio in tutti gli stati decisivi, ovvero quelli in cui non è certa la vittoria democratica o repubblicana. La situazione è ulteriormente complicata dall’esporsi in prima fila dei candidati indipendenti, come quello dei Verdi, Jill Ellen Stein, arrestata a fine aprile per aver partecipato a una di queste proteste, i quali assai probabilmente prenderanno il voto di protesta degli elettori democratici delusi dall’amministrazione Biden. Inoltre la politica dell’amministrazione, che non è riuscita a contenere Israele armandolo fino ad oggi, sta alienando il sostegno delle comunità islamiche americane verso il partito democratico, comunità che possono essere decisive negli stati contesi, come il Michigan, per la rielezione di Biden. Si consideri che nelle recenti elezioni municipali in Gran Bretagna c’è stato un importante affermazione dei partiti musulmani, che hanno sottratto voti al Partito Laburista, non permettendogli di stravincere nei confronti dei Conservatori, che sono, invece, in tracollo. Non a caso recentemente gli Stati Uniti hanno bloccato alcune consegne militari a Israele e sanzionato una formazione militare ultra-ortodossa dell’IDF, il battaglione Netzah Yehuda.

L’accusa della Corte dell’Aja nei confronti della leadership israeliana e la reazione americana evidenziano ancor di più a livello internazionale il doppio standard degli Stati Uniti, che pur non riconoscendo questa Corte, si sono spesi per la condanna di Putin da parte della corte stessa. Questo modo di operare degli Stati Uniti contribuisce a ridurre la loro egemonia internazionale, avvicinando politicamente gli stati non allineati ai nemici strategici Cina e Russia. In questo pesa come un macigno il progressivo disallineamento della Turchia dalla politica americana, che ha tagliato i legami commerciali con Israele,. 

Per cui, indipendentemente da come andrà finire, sebbene sia assai improbabile che Netanhayu e Gallant sconteranno un solo giorno di prigione, questo fatto è sicuramente politicamente importante, perché costringe un tribunale che ha sempre operato a copertura dell’imperialismo a prendere posizione contro il proprio bastione in Medio Oriente; tuttavia si è potuto ottenere questo storico risultato solo per via della mobilitazione popolare.

24/05/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Marco Beccari

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“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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