Nietzsche e la critica della modernità

Una analitica recensione a un’opera capitale di Domenico Losurdo sul filosofo reazionario tedesco


Nietzsche e la critica della modernità Credits: http://www.sciscianonotizie.it/nietzsche-il-nichilista-demolisce-i-valori-vecchi-e-nuovi/

Iniziamo da questo numero una lunga e analitica recensione a un’opera capitale di Domenico Losurdo: Nietzsche e la critica della modernità – Per una biografia politica, che rischia ingiustamente di finire nel dimenticatoio dopo la pubblicazione della monumentale monografia più recente: Nietzsche, il ribelle aristocratico.

Nietzsche e la critica della modernità – Per una biografia politica di D. Losurdo è una decisiva controstoria, che dimostra una eccezionale capacità di sintesi, di quello che viene a ragione definito come il più grande fra i filosofi reazionari e il più reazionario fra i filosofi. In particolare l’agile, ma densissimo volumetto, è essenziale per comprendere come abbiano potuto trasfigurarlo in un pensatore “progressista”, anche significativi intellettuali della “sinistra” borghese e piccolo-borghese.

1. La crisi della civiltà da Socrate alla comune di Parigi

Losurdo sottolinea a ragione come anche la prima grande opera di Friedrich Nietzsche, La nascita della tragedia (del 1872), non possa essere veramente compresa se la si decontestualizza – come quasi sempre è avvenuto – dai fatidici anni in cui fu composta: ovvero il 1870 anno della guerra franco-prussiana che porterà alla unificazione e indipendenza della Germania, contestualmente alla proclamazione del Secondo Reich (impero) da parte di Bismarck, e la comune di Parigi del 1871, il primo tentativo di rivoluzione socialista e di realizzazione di una società socialista nella storia (7) [1].

In effetti, in un paragrafo centrale de La nascita della tragedia Nietzsche formula il suo bilancio storico-teorico della comune di Parigi: la civiltà va incontro alla distruzione a causa dell’ottimismo; l’idea della felicità per tutti non può che seminare un forte scontento nella classe degli “schiavi” che, sedotti da idee considerate distopiche da Nietzsche, sarebbero portati a considerare la loro esistenza come una profonda ingiustizia, tanto da esplodere in rivolte incessanti. Tali rivolte culminano nella comune di Parigi, che ha posto a rischio, secondo Nietzsche la sopravvivenza della stessa civiltà. Dinanzi a un rischio così serio, Nietzsche considera essenziale tracciare una genealogia di queste sempre crescenti rivolte degli schiavi (dei quali, a suo avviso, fanno parte gli stessi lavoratori salariati).

A parere di Nietzsche lo stesso cristianesimo “pelagianizzato” e dimentico del peccato originale non può più costituire una diga dinanzi a queste rivolte, perché già in esso è presente l’idea della felicità per tutti, se pure in una dimensione ultraterrena. Il rimedio non può essere nemmeno rinvenuto nella grecità, interpretata secondo la concezione allora dominante neoclassica, come caratterizzata da un’imperturbata e imperturbabile serenità. Tale interpretazione coglierebbe unicamente l’aspetto apollineo, che svolge una funzione socialmente benefica, in quanto aiuterebbe l’uomo a sopportare il dolore indissolubilmente legato all’esistenza, secondo il pensiero di Schopenhauer, principale riferimento filosofico del giovane Nietzsche. In tal modo l’interpretazione neoclassica occulterebbe l’altro aspetto decisivo della grecità, che proprio Nietzsche avrebbe avuto il merito finalmente di riscoprire, ovvero l’aspetto dionisiaco, che incarnerebbe il pessimismo tragico dei greci, rivelato dal mito di Re Mida e del Sileno, per cui la cosa migliore per l’uomo sarebbe non essere mai nato e, nel caso, si avesse avuto la sventura di nascere, morire quanto prima.

Questa “intensità tragica”, osserva a ragione Losurdo, “trova una sua potente espressione nel Prometeo di Eschilo che, distruggendo la visione del progresso propria di ‘un’umanità ingenua’, mette in evidenza ‘l’intero flusso di dolori e affanni’ che già comporta l’invenzione del fuoco”(9-10). Del resto lo stesso avvoltoio che divora il fegato nella tragedia di Prometeo proclamerebbe, secondo Nietzsche, la seguente essenziale verità: “la schiavitù rientra nell’essenza stessa della civiltà”. Risulterebbe folle, quindi, e foriera di terribili sventure per la civiltà, la pretesa dell’abborrito mondo moderno che tutti gli uomini possano essere felici, nonché la celebrazione acriticamente illuministica e progressistica del mito di Prometeo (di cui si è fatto interprete, fra gli altri, il giovane Marx).

Per Nietzsche, però, l’oblio dell’avvoltoio e di Sileno sono già iniziati in terra greca. In effetti l’uomo dionisiaco sa che non è possibile mutare l’essenza delle cose, quindi non è possibile nessuna palingenesi sociale e politica – qui Nietzsche riprende la concezione reazionaria della storia di Schopenhauer elaborata in contrapposizione a quella potenzialmente rivoluzionaria di Hegel. Al contrario Socrate, l’uomo teoretico, il padre dell’“ottimista teorico”, pretende che sia possibile e auspicabile ‘”correggere l’esistenza”. Allo stesso modo, secondo Nietzsche, la tragedia comincerebbe a decadere già con Euripide il quale, influenzato da Socrate e dai sofisti, ne avrebbe offerto un’interpretazione razionalizzante, che occulterebbe il lato oscuro, dionisiaco. Infine la grecità alessandrina avrebbe gettate le premesse per le successive ondate rivoluzionarie servili, superando, secondo Nietzsche in modo sciagurato, la netta distinzione dell’antica civiltà greca fra gli esseri superiori ellenici e gli altri considerati barbari e, dunque, schiavi per natura.

Al centro dell’opera di Nietzsche vi è, del resto, come sottolinea a ragione Losurdo, la Kulturkritik [critica della cultura], una tradizione di pensiero fortemente radicata in Germania e principalmente volta a un’aspra critica della modernità. D’altra parte in Nietzsche la Kulturkritik “non ha nulla dell’abbandono nostalgico”, del rimpianto per il bel mondo antico, che avrebbe nella maggioranza degli autori precedenti, al contrario, sottolinea Losurdo: “non solo è battagliera, ma (…) guarda fiduciosa alla possibilità di una radicale trasformazione del presente” (11). In effetti Nietzsche ritiene di poter interpretare la sconfitta della Francia da parte della Prussia guglielmina come un primo essenziale momento della liquidazione della modernità – le cui più antiche origini andrebbero ricercate nello stesso Socrate – e dell’imminente rinascita, con l’impero germanico, dell’antico mondo ellenico (fondato sulla schiavitù). La grecità tragica e dionisiaca, per altro, rivivrebbe in quelli che sono gli intellettuali di riferimento del giovane Nietzsche ovvero, oltre il già ricordato Schopenhauer, Wagner, ma anche Kant. All’epoca era diffusa in Germania, fra gli intellettuali tradizionali, la moda filosofica del ritorno a Kant, in contrapposizione all’interesse dei progressisti e rivoluzionari per i successivi Hegel e Marx (che, per altro, Nietzsche non ha mai letto). In particolare Nietzsche reinterpreta Kant – secondo la moda reazionaria del tempo, piuttosto ben presente ancora oggi fra gli intellettuali borghesi – come il pensatore che avrebbe, al contrario di Hegel e degli hegeliani sino a Marx, evidenziato i limiti della ragione umana. In tal modo il pensiero dell’illuminista Kant, il filosofo della Rivoluzione francese, è completamente stravolto, in quanto è intrepretato come una riflessione estranea alla superficialità razionalistica e ottimistica moderna. Infine, Nietzsche crede di poter trovare un punto di riferimento anti-moderno anche in Lutero, autore decisivo per la cultura tedesca, interpretato quale critico di una ragione e di una visione del mondo armonicistica. Quindi, riassume Losurdo, la “lotta contro la civilizzazione [Civilisation]” deteriore rappresentata dalla Francia – patria dei più significativi moti rivoluzionari fra la fine del settecento e la fine dell’ottocento –e la lotta“alla modernità” sarebbero condotte dalla “Germania” bismarckiana. Quest’ultima sarebbe, al contrario della Francia, rivolta verso l’autentica“civiltà”[Kultur]. Perciò l’impero guglielmino sarebbe il legittimo“erede della Grecia Tragica”, al quale spetterebbe una alta “missione”: salvare la civiltà contro la modernità. Lo “spirito tedesco” è interpretato da Nietzsche, in questa prospettiva reazionaria, come il “salvatore”, la “forza redentrice” (14).

2. Critica della ‘civilizzazione’ e delegittimazione del moderno

Bersaglio principale di Nietzsche, nella sua denuncia della barbarie del presente non può essere che Hegel, definito sprezzantemente il “figlio del proprio tempo”. Hegel – che Nietzsche per altro non ha mai avuto il coraggio di leggere – esprime ai suoi occhi la modernità persino nel suo compimento ultimo e più ripugnante. Cancellando o mettendo in crisi la distinzione tra schiavi e signori, favorendo la diffusione della “cultura generale”, costituirebbe il presupposto del comunismo. Hegel non si limiterebbe a esprimere il presente, ma (cosa ancor più grave agli occhi del reazionario Nietzsche) lo legittima sul piano filosofico con la tesi della razionalità del reale. In tal modo avrebbe la colpa di distogliere la Germania dal suo compito di riproposizione della grecità tragica e sviluppa un’influenza sommamente antieducativa e corruttrice fra la gioventù tedesca. Al contrario, Nietzsche considera l’educatore per eccellenza Schopenhauer, acerrimo nemico di Hegel. Interessante notare come Nietzsche colga bene gli aspetti rivoluzionari del pensiero di Hegel, a conferma della tesi che, spesso, si impara più da un grande reazionario che da un piccolo progressista.

Il disagio per la modernità e lo sgomento manifestato da Nietzsche dinnanzi allo spettro dello “Stato alveare”, del “brulichio di formiche” – metafore reazionarie atte a esorcizzare il fantasma del comunismo – erano temi presenti fra gli intellettuali tradizionali del tempo, come Burckhardt, John Stuart Mill o Tocqueville. Tuttavia diversa è la radicalità con cui questi temi controrivoluzionari sono sviluppati da Nietzsche. Mentre, però, gli autori liberali citati sono consapevoli (mestamente nella maggioranza dei casi) che il processo storico è irreversibile, che non si può eliminare la democrazia moderna e restaurare a livello internazionale la schiavitù, Nietzsche intende mettere radicalmente in discussione tutto ciò. Egli non intende inchinarsi alla potenza della storia (cfr. la seconda della Considerazioni Inattuali), alla razionalità del reale. Sebbene le masse facciano già sentire il loro peso sul piano politico, è agli occhi di Nietzsche inaccettabile un riconoscimento, anche sul piano della filosofia della storia, dell’imporsi dello spirito democratico moderno. In tal modo, infatti, si finirebbe per escludere qualsiasi possibilità di recedere al di qua dei risultati conseguiti in termini di emancipazione nel mondo moderno, come invece vorrebbe il reazionario Nietzsche. Così anche nella seconda delle Considerazioni inattuali, come già nella Nascita della tragedia, Nietzsche contrappone alla ragione e alla storia (che paralizzerebbero l’energia creativa) il mito (ancora la Grecia tragica) e contesta la razionalità del processo storico – anche in nome della morale – che esigerebbe che non si nuotasse contro la corrente della modernità. Infine, Nietzsche sostiene che la stessa origine della cultura storica deve essere vagliata storicamente. Temi che Nietzsche riprenderà e svilupperà più tardi nella Genealogia della morale, in cui contrapporrà alla morale degli schiavi a quella dei signori e considererà la visione del progresso storico come il prodotto del ressentiment [risentimento] che “i mal nati” proverebbero nei confronti dei “ben nati”.


Note:

[1] Fra parentesi tonde direttamente nel testo indicheremo il numero della pagina dell’opera qui recensita: Domenico Losurdo, Nietzsche e la critica della modernità. Per una biografia politica, Manifestolibri, Roma 1997.

17/11/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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