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Materialismo ed empiriocriticismo
I limiti politici degli estremisti, come Lenin cerca di mostrare in Materialismo ed empiriocriticismo (1908-9), dipendono in primo luogo da carenze ideologiche. Così, ad esempio, il principale esponente teorico degli «ultra-sinistri» fra i bolscevichi, Aleksandr Bogdanov (1873-1928), aveva a parere di Lenin stravolto il marxismo abbandonando il materialismo storico, mirando a rifondarlo filosoficamente sul soggettivismo neokantiano e sull’epistemologia empiriocriticista di Mach [1].
La critica al costruttivismo e la teoria del «riflesso»
Per tale motivo Lenin polemizza a fondo con le tesi soggettiviste e massimaliste presenti nel suo stesso partito, fondate su una concezione costruttivista della gnoseologia. Quest’ultima è rigettata da Lenin in quanto pone in discussione l’oggettività della conoscenza scientifica, che consente di comprendere il reale e di trasformarlo. Alle concezioni soggettiviste, Lenin contrappone una concezione materialista del reale, che la facoltà conoscitiva dell’uomo dovrebbe rispecchiare e organizzare mediante la capacità di astrazione concettuale. Lenin, in particolare, giudicava solipsista la gnoseologia costruttivista sviluppata da Bogdanov, secondo la quale la realtà non è che la forma attraverso cui organizziamo la nostra esperienza del mondo. In tal modo, però, astraendo dalla concretezza dell’essere sociale, sulla base di tale gnoseologia si fondava una concezione politica tanto priva di compromessi in teoria, quanto inefficace o avventurista nei fatti. Perciò, di contro a essa, dal punto di vista della teoria della conoscenza il marxismo di Lenin rivendica il realismo gnoseologico del materialismo storico, secondo il quale la realtà esiste indipendentemente dalla coscienza: a partire dalle impressioni che la materia imprime sui nostri sensi, la realtà si rispecchia nella nostra coscienza. La conoscenza è, dunque, il “riflesso” della realtà, ma ciò non significa che Lenin pensi ad un rispecchiamento passivo di una realtà data e immutabile. L’attività conoscitiva è, infatti, un processo dinamico infinito, storicamente determinato dalla necessità di dar conto degli assetti contraddittori del reale e del suo sviluppo dialettico. Dunque, un marxista non può rinunciare al materialismo storico, fondamento di una prassi che miri a trasformare il reale a partire dalle sue contraddizioni oggettive, che consente di adeguare costantemente la teoria agli sviluppi della realtà e al contesto storico e sociale. Tanto più che, di contro a ogni dogmatismo dottrinario, Lenin considera l’attività conoscitiva un processo infinito, sempre storicamente determinato dalla necessità di dar conto degli assetti contraddittori del reale e del suo sviluppo dialettico.
I Quaderni filosofici
D’altra parte, Lenin polemizza altrettanto aspramente con le interpretazioni del marxismo che, al contrario, lo riducevano a un determinismo storico-economico, pretendendo che vi sarebbero leggi economiche oggettive in grado di determinare necessariamente il corso del mondo. Tanto più che, tali interpretazioni erano funzionali, in modo più o meno consapevole, a giustificare la “pratica attendista” dominante nella maggioranza dei partiti della Seconda Internazionale al punto che, sulla base di tale concezione deterministica, lo stesso Plechanov aveva finito con l’abbandonare le posizioni rivoluzionarie. Per contrastare in modo scientifico tali concezioni, Lenin avverte l’esigenza di risalire alle fonti filosofiche del pensiero di Marx, per depurarlo da ogni incrostazione positivistica. A tale scopo, tra il 1914 e il 1915, si confronta con la Scienza della logica di Hegel, come testimoniano le annotazioni raccolte nei suoi Quaderni filosofici, pubblicati postumi nel 1929-30. In essi Lenin cerca di mostrare come la comprensione della logica dialettica hegeliana sia una chiave di accesso imprescindibile per una corretta interpretazione de Il capitale di Marx.
Le radici filosofiche del marxismo: la contraddizione dialettica
Il concetto decisivo della filosofia hegeliana ereditato dal marxismo è, a suo avviso, la contraddizione dialettica, che consente di comprendere come il corso storico non si sviluppi secondo un’evoluzione lineare, ma in modo contraddittorio, sulla base del conflitto tra gli opposti. Tale concezione è, a parere di Lenin, il fondamento filosofico del materialismo storico, secondo il quale il motore della storia è la lotta tra classi sociali con interessi necessariamente contrapposti. La dialettica consente di cogliere la realtà nella sua complessità e di rilevarne le tendenze di fondo, permettendo alla soggettività rivoluzionaria di sfruttare la dinamica contraddittoria del corso storico per il suo obiettivo decisivo: superare l’attuale dinamica del conflitto degli opposti in una società in cui non vi siano più classi sociali. Dunque, per rimanere – secondo la lezione di Marx ed Engels – un’efficace guida per l’azione politica, il marxismo non può ridursi a un sistema di leggi universalmente valide, ma deve costantemente aggiornare la sua comprensione della realtà, tenendo conto dei mutamenti intervenuti nello sviluppo contraddittorio del corso del mondo in cui la prassi deve operare. Le analisi del marxismo devono, dunque, essere considerate come ipotesi teoriche da rimodulare attraverso la verifica della loro attualità, quale fondamento di una prassi volta a trasformare in modo rivoluzionario l’esistente.
L’imperialismo fase suprema del capitalismo
Richiamandosi alla gnoseologia marxiana, volta a individuare la logica specifica dell’oggetto specifico preso in esame, Lenin riteneva che le leggi del movimento della società moderna indagate da Marx richiedessero un significativo aggiornamento che le rendesse in grado di indagare gli sviluppi del modo di produzione capitalistico e dei corrispondenti rapporti sociali, politici, giuridici e culturali. In altri termini Lenin intende, dunque, per ristabilire il nesso organico e dialettico fra teoria e prassi rivoluzionaria, ripensare la prima sulla base dei mutamenti intercorsi nella società moderna, a partire dallo sviluppo in senso monopolistico del capitalismo. Nonostante fosse leader della corrente rivoluzionaria (bolscevica) del Partito socialdemocratico russo, la sua prospettiva pratica e dunque anche teorica è stata sempre improntata ad un’analisi internazionale degli sviluppi del capitalismo, in quanto riteneva che la prassi per non essere astratta dovesse tener conto delle dinamiche internazionali. Per la portata storica che ebbero, ancora più importanti delle sue critiche all’empiriocriticismo o delle sue riflessioni di gnoseologia dialettica, furono i suoi studi sull’imperialismo. Quest’ultimo è considerato da Lenin la fase superiore o, secondo una traduzione più accreditata, suprema del capitalismo.
Le precedenti teorie dell’imperialismo
Come avevano mostrato dapprima l’economista fabiano John A. Hobson (1878-1940), nel libro L’imperialismo (1902), poi i marxisti Rudolf Hilferding [2], nel libro Il capitale finanziario (1910) e Nikolaj Ivanovic Bukharin, nel libro Imperialismo ed economia mondiale (1915), all’inizio del Novecento il modo di produzione capitalistico era sensibilmente mutato, rispetto a quello analizzato da Marx, innanzitutto dal punto di vista strutturale. Sulla base di tali analisi Lenin scrive il celebre saggio L’imperialismo, fase suprema del capitalismo (1917). Lenin definisce il suo studio un saggio popolare, ovvero l’esposizione in un linguaggio accessibile alle masse dei principali risultati delle ricerche scientifiche sulla natura del capitalismo nella sua fase monopolistica [3]. Tuttavia, Lenin non si limita a compendiare i risultati delle principali ricerche sul tema, ma finisce per elaborare la sua interpretazione dell’imperialismo quale superamento dialettico delle concezioni precedenti.
Le cinque caratteristiche fondamentali dell’imperialismo
Lenin – senza “dimenticare il valore convenzionale e relativo di tutte le definizioni, che non possono mai abbracciare i molteplici rapporti, in ogni senso, del fenomeno in pieno sviluppo” – offre una summa estremamente limpida e concisa delle cinque caratteristiche essenziali dell’imperialismo quale fase monopolistica del capitalismo [4]. 1. Secondo una dinamica contraddittoria, già intuita da Marx nel III libro de Il capitale, che ora si stava però imponendo in tutte le società sviluppate, la libera concorrenza tra capitali tende necessariamente a rovesciarsi nel proprio opposto, il monopolio, a causa del processo di concentrazione e centralizzazione della produzione in grandi cartelli o trust che pongono sotto il proprio controllo i piccoli produttori indipendenti. L'imperialismo, chiarisce Lenin, “sorse dall'evoluzione e in diretta continuazione delle qualità fondamentali del capitalismo in generale. Ma il capitalismo divenne imperialismo capitalistico soltanto a un determinato e assai alto grado del suo sviluppo, allorché alcune qualità fondamentali del capitalismo cominciarono a mutarsi nel loro opposto, quando pienamente si affermarono e si rivelarono i sintomi del trapasso a un più elevato ordinamento economico e sociale. In questo processo vi è di fondamentale, nei rapporti economici, la sostituzione dei monopoli capitalistici alla libera concorrenza” [5]. D’altra parte, però, “i monopoli, sorgendo dalla libera concorrenza, non la eliminano, ma coesistono, originando così una serie di aspre e improvvise contraddizioni, di attriti e conflitti” [6]. 2. Il capitale monetario e il capitale industriale si fondono progressivamente nel capitale finanziario, mediante l’affermarsi delle grandi banche di investimento. “Il capitale finanziario – secondo la definizione di Lenin – è il capitale bancario delle poche grandi banche monopolistiche fuso col capitale delle unioni monopolistiche industriali” [7]. 3. La sovrapproduzione di capitali e la conseguente necessità di esportarli acquista maggior rilievo rispetto all’esportazione di merci propria della precedente fase colonialista. 4. Il mercato internazionale, che si allarga su scala mondiale, fine ultimo dello sviluppo del capitalismo, è progressivamente controllato da associazioni monopolistiche di carattere transnazionale. 5. Il mondo intero è, di conseguenza, spartito in zone d’influenza fra le potenze imperialiste in cui hanno la propria base i grandi trust, che si lanciano alla conquista dei paesi arretrati per la necessità di trovare uno sbocco ai capitali e alle merci sovraprodotte, oltre che poter sfruttare materie prime e forza-lavoro a basso costo. La ripartizione del mondo comporta, dunque, sottolinea Lenin, “il passaggio dalla politica coloniale, estendentesi senza ostacoli ai territori non ancor dominati da nessuna potenza capitalistica, alla politica coloniale del possesso monopolistico della superficie terrestre definitivamente ripartita” [8]. Volendo riassumere i cinque contrassegni fondamentali dell’imperialismo, Lenin osserva: “l'imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo, in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l'esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell'intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici” [9].
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Note
[1] L’epistemologo austriaco Ernst Mach (1838-1916) aveva posto alla base della conoscenza le sole sensazioni, considerate come i dati ultimi tanto del mondo fisico quanto dell’universo psichico.
[2] Hilferding (1877-1941), esponente di primo piano dell’austromarxismo, prima di suicidarsi per non cadere nelle mani dei nazisti, aveva ricoperto la carica di presidente della socialdemocrazia austriaca e di ministro delle finanze austriaco nel primo dopoguerra. Proprio con il suo imponente studio dedicato a Il capitale finanziario, Hilferding ha dato un apporto significativo allo sviluppo della teoria marxista dal punto di vista economico, fornendo un’accurata e puntuale analisi degli sviluppi del capitalismo nei decenni seguenti la morte di Marx, che è stato alla base degli ulteriori sviluppi della concezione marxista dell’imperialismo.
[3] Come osserva Lenin: “Il sistema dei monopoli è il passaggio del capitalismo a un ordinamento superiore nella economia”. V. Lenin, L'Imperialismo fase suprema del capitalismo, in Lenin, Opere, vol. 22, Editori Riuniti, Roma 1966, p. 265.
[4] “1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica; 2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo ‘capitale finanziario’, di un'oligarchia finanziaria; 3) la grande importanza acquistata dall'esportazione di capitale in confronto con l'esportazione di merci; 4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo; 5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche”. Ivi p. 266.
[5] Ivi p. 265. Prosegue Lenin: “La libera concorrenza è l'elemento essenziale del capitalismo e della produzione mercantile in generale; il monopolio è il diretto contrapposto della libera concorrenza. Ma fu proprio quest'ultima che cominciò, sotto i nostri occhi, a trasformarsi in monopolio, creando la grande produzione, eliminando la piccola industria, sostituendo alle grandi fabbriche altre ancor più grandi, e spingendo tanto oltre la concentrazione della produzione e del capitale, che da essa sorgeva e sorge il monopolio, cioè i cartelli, i sindacati, i trust, fusi con il capitale di un piccolo gruppo, di una decina di banche che manovrano miliardi.” Ibidem.
[6] Ibidem
[7] Ibidem
[8] Ivi p. 266.
[9] Ibidem.