Com’era facilmente prevedibile, senza una forte spinta dal basso, Schlein sta tradendo completamente le speranze e le aspettative che avevano portato una parte significativa del popolo di sinistra a votarla alle primarie, per non lasciare il Pd nelle mani di un renziano. Siamo alle solite: il “popolo di sinistra”, non disponendo di una sua autonoma visione del mondo, se non a livello molecolare, è naturalmente egemonizzato dall’ideologia dominante. Anche perché non ci sono molte alternative: o si sviluppa una concezione del mondo marxista o si è facili prede dell’ideologia dominante, naturalmente funzionale agli interessi delle classi dominanti. Evidentemente, dopo che da ormai decenni in Italia praticamente nessuno forma i militanti alla concezione del mondo marxista, l’ideologia dominante liberale-borghese non ha rivali e domina completamente sulla società civile italiana, controllandone tranquillamente tutte le “casematte”. Così, proprio nel momento in cui ci sarebbero le condizioni oggettive per la rivoluzione in occidente, vista la conclamata crisi del modo di produzione capitalistico, sono completamente assenti in Italia le condizioni soggettive per rendere quantomeno realistica e verosimile tale prospettiva. Così la Rivoluzione in occidente non solo non interessa minimamente il proletariato, che la considera del tutto al di fuori del proprio orizzonte, ma anche una parte significativa dei militanti di sinistra, constatando la totale assenza del soggetto rivoluzionario, non avvertono come un problema il venir meno di quello che dovrebbe essere il loro principale obiettivo.
Tornando alla questione dell’occasione persa dopo la sconfitta di Bonaccini, il punto è che buona parte del popolo di sinistra, anche per inconsapevole opportunismo, tende a illudersi che sia realmente possibile cambiare la realtà e i rapporti di forza fra i blocchi sociali soltanto mettendo ogni tot anni una croce su un pezzo di carta. Quindi, sarebbe bastato votare Schlein piuttosto che Bonaccini per far tornare, magicamente, il Pd una forza di sinistra. Naturalmente questo è il grande imbroglio della dominante ideologia liberale che fa credere che basti il suffragio universale per avere la democrazia, quando la storia ha ampiamente dimostrato il contrario. Le classi dominanti da Bismarck in poi, dinanzi alle forti spinte sociali per uno sviluppo in senso democratico del regime liberale, hanno compreso come una “rivoluzione passiva”, come la concessione del suffragio universale, avrebbe consentito di togliere da una parte forza al movimento di opposizione socialista e democratico e dall’altra di allargare le basi dello Stato capitalista, consentendo alle classi dominanti di rafforzare il proprio potere grazie all’egemonia sulle classi dominate. Naturalmente, tutto ciò non significa cadere nella prospettiva nichilista dell’opportunismo di sinistra per cui la conquista del suffragio universale sarebbe inutile e non avrebbe senso impegnarsi sul piano elettorale per impedire che le forze più reazionarie vadano al governo.
Anche in questo caso la storia non sembra aver insegnato nulla, visto che spesso si dimenticano le conseguenze tragiche che hanno avuto le affermazioni elettorali non solo di fascisti e nazisti, ma anche di Berlusconi e dei sostenitori dei governi tecnici, da Amato a Draghi. Tanto è vero che oggi vi è una completa sottovalutazione dagli spaventosi danni che può provocare il governo degli eredi del fascismo. La sinistra moderata, che ha introiettato la logica liberaldemocratica dell’ideologia dominante, ritiene che avendo vinto in modo netto le elezioni il governo più a destra dai tempi del ventennio fascista sia legittimato a governare, anche se punta esplicitamente a imporre il modello statunitense con il micidiale mix di federalismo e presidenzialismo e il modello controrivoluzionario affermatosi nei paesi ex “socialisti” caratterizzato dalla flat tax, che azzera la progressività delle imposte, una delle più importanti conquiste storiche del movimento anticapitalista. D’altra parte, anche la sinistra radical, in parte mai guarita dalla malattia infantile del comunismo, ritiene che un governo borghese valga l’altro, anzi, per i più estremisti sarebbe preferibile un governo della destra radicale perché cancellerebbe le illusioni prodotte dalla socialdemocrazia. Per cui avendo di fatto rinunciato a contendere alla destra l’egemonia sulla società civile, non si cerca di costruire un’opposizione di massa al governo più apertamente di destra della storia della Repubblica italiana. Del resto, considerata la sostanziale continuità con il governo Draghi a livello di politica economica ed estera, si rischia di sottovalutare l’attacco del governo ai diritti civili e politici. Anche perché l’opportunista di sinistra tende a contrapporre questi diritti formali “borghesi” ai diritti economici e sociali. Allo stesso modo si rischia di sottovalutare l’attacco ideologico rovescista portato avanti dalla destra, che mira a screditare la Costituzione nata dalla Resistenza e dall’antifascismo, tanto che una significativa azione partigiana viene spacciata come un attentato a un gruppo musicale di italiani prossimi alla pensione. Peraltro, dal momento che la sinistra liberale e borghese del Pd critica il governo, la sinistra radical, per distinguersi, nella prospettiva dell’opportunismo di sinistra, dovrebbe criticare principalmente l’opposizione e, naturalmente, i sindacati maggiormente rappresentativi.
In tal modo la sconfitta elettorale dei renziani del Pd e la sostituzione alla guida di questo partito di un rappresentante del grande capitale finanziario con una tipica esponente della sinistra liberale borghese rischia di perpetrare la tradizione trasformista e gattopardesca della politica politicante. Da una parte abbiamo, in effetti, la parte del popolo di sinistra preda dell’ideologia dominante, che ritiene di avere la coscienza a posto, avendo consentito la vittoria di Schlein. Dall’altra abbiamo l’estremismo di sinistra che, invece di cercare di fare egemonia sul popolo di sinistra, per indurlo a impegnarsi nel conflitto sociale, si appaga nel sostenere che il popolo di sinistra è un concetto populista, tanto più che i veri comunisti non sarebbero nemmeno di sinistra.
Anche il Movimento 5 Stelle non appare in grado di esercitare una pressione in grado di costringere i democratici a riposizionarsi a sinistra, se non sulla questione di non ostinarsi ad armare l’Ucraina. Come prevedibile, su questo tema, la direzione di Schlein non si differenzia molto non solo rispetto a Letta, ma neanche rispetto al governo Meloni, se non per una posizione più accentuatamente europeista. I 5 stelle, ora che di fatto non si vota nemmeno più sull’invio delle armi, hanno assunto la saggia posizione di dichiararsi contrari all’invio di nuove armi e favorevoli a un maggior sforzo per sviluppare trattative di pace. D’altra parte, le posizioni atlantiste non sono messe significativamente in tensione nemmeno dal M5S. Del resto tale partito, fino a che ha avuto responsabilità di governo, non ha mai assunto posizioni che mettessero in discussione l’imperialismo italiano, europeo e della Nato, a ulteriore dimostrazione del fatto che a meno di puntare sulla transizione al socialismo, in un paese a capitalismo avanzato, in crisi di sovrapproduzione, non ci sono reali alternative alle politiche filoimperialiste.
D’altra parte i 5 Stelle – per difendere la loro tradizione qualunquista di non essere né di destra né di sinistra – non attaccano il governo su una questione decisiva tanto dal punto di vista tattico che strategico, cioè sul revisionismo storico che mira a sdoganare, senza dover fare i conti con il proprio passato, gli eredi della fiamma tricolore. Per giustificare il fatto di non voler essere identificati come una forza di sinistra e, perciò, nemmeno come una forza realmente antifascista, assumono la posizione opportunista di sinistra, per cui il revisionismo storico rovescista della destra al governo sarebbe esclusivamente funzionale a non affrontare le problematiche reali. Peraltro tale posizione, che rinuncia ad attaccare il governo su uno dei suoi punti più deboli, è, di fatto, condivisa da Schlein. Anche quest’ultima sostiene che non bisogna cadere nella trappola di rispondere colpo su colpo ai tentativi della destra al governo di riscrivere la storia del paese, per non sviare in tal modo dall’affrontare i problemi reali. Come se la battaglia delle idee e per l’egemonia sulla società civile non fosse una lotta e una questione reale. Così, per esempio, nella grande manifestazione per il 25 aprile a Roma, in cui dopo diverso tempo il popolo della sinistra si è ritrovato in piazza, erano di fatto invisibili tanto i 5 Stelle quanto il Partito Democratico. Così, senza una spinta reale dal basso e una significativa pressione da parte delle forze politiche a sinistra del Pd – anche per i limiti di Schlein che si vanta di essere una nativa democratica, cioè di non venire dal Pci – tale partito, anche sul piano elettorale, rinuncia a una scelta di campo, mirando ad allearsi, a seconda dei casi, con Conte o con Calenda e Renzi. Certo, rispetto alla rottura completa dei rapporti con il M5S della direzione Letta si fa un timido passo avanti, ma non si rinuncia all’abbraccio mortale con gli ultraliberisti di Bonino e Calenda.
D’altra parte, dopo le elezioni tutti i mezzi di comunicazione controllati dal blocco sociale dominante, dunque, praticamente tutti i mass media, si sono immediatamente mobilitati affinché non ci fosse un riposizionamento in senso anche vagamente socialdemocratico del Pd, mentre persino i sindacati non sono riusciti a mettere in discussione la capacità di egemonia di liberisti e atlantisti sui democratici.
In tale drammatica situazione, in cui non si è in grado di mettere seriamente in difficoltà nemmeno un governo della destra radicale, occorre tuttavia segnalare la crescente insoddisfazione delle classi subalterne dinanzi all’esistente, all’ideologia guerrafondaia dominante, alla politica politicante tanto di centrodestra che di centrosinistra. A ulteriore dimostrazione che l’unica battaglia realmente persa in partenza è quella che si decide di non combattere.