L’esposizione all’inquinamento atmosferico comporta effetti avversi alla salute della popolazione (effetti cardiovascolari, respiratori, neoplastici) con aumento di mortalità e morbilità.
Questo rilevante problema è da tempo all’attenzione del dibattito politico e scientifico in particolar modo rispetto agli agenti atmosferici emessi principalmente dal traffico autoveicolare, dal riscaldamento domestico e dagli insediamenti industriali.
Negli agglomerati urbani la popolazione è esposta a inquinanti con impatto a breve o a lungo termine con i rispettivi periodi di latenza tra esposizione ed effetto sanitario che rappresentano il rischio maggiore ed effetti nefasti per la salute.
Appare dunque opportuno disporre di strumenti adeguati a salvaguardia della salute e dell’ambiente, anche a fronte di una maggiore consapevolezza sviluppatasi nel corso del tempo rispetto al nesso causale tra ambiente e salute che ha coinvolto la popolazione sempre più sensibile a accogliere misure di prevenzione, nel rispetto dei principi di equità sociale.
Per alcuni decenni, nonostante l’attualità del problema, non si sono adottate, da parte dei diversi livelli istituzionali, quelle misure idonee ad attuare una concreta politica capace di ridurre significativamente l’inquinamento atmosferico. Eppure, se andiamo a ricercare tra la pletora dei decreti legislativi, delle deliberazioni del Consiglio o della Giunta regionale, delle deliberazioni del Consiglio o della Giunta comunale, dei diversi Piani quali il Piano di intervento operativo, il Piano generale del traffico urbano, nonché le direttive CE, il risultato a cui ci si trova di fronte è che a conclusione di procedure, ristrutturazioni dipartimentali, aggiornamenti, ripensamenti, ritardi, alla fin fine è dovuta intervenire la Corte di giustizia europea con due sentenze di condanna nei confronti dell’Italia (una in data 10 novembre 2020 e l’altra in data 12 maggio 2022) e con il rischio di una terza condanna in arrivo, per svegliare repentinamente le amministrazioni pubbliche e adottare interventi di limitazione della circolazione veicolare, di tipo “permanente”, “programmato” ed “emergenziale”.
A fronte di un programma da attuare in sei mesi, con una visione unicamente emergenziale, sta salendo di giorno in giorno la protesta cittadina. Vediamo perché.
Il Piano generale del traffico urbano (PGTU) del Comune di Roma, approvato con deliberazione di Consiglio comunale n. 84 del 28 giugno 1999, poi rinnovato con DAC n. 21/2015, ha individuato alcune aree concentriche della città a diversa variabilità quanto a rischio di inquinamento atmosferico e con maggiore pericolosità per le aree più centrali: fascia verde, anello ferroviario e centro storico, che sono quella parte della città descritta in delibera “a maggiore densità abitativa, con più carichi emissivi”.
I provvedimenti recentemente adottati riguardano il divieto di accesso e circolazione nell’area di Roma Capitale delimitata dal perimetro coincidente con quello della nuova ZTL “fascia verde” per i veicoli considerati più inquinanti, ovvero alimentati a benzina, a gasolio – pre-Euro 1, Euro 1, pre-Euro 2, Euro 2, Euro 3 e così via fino a comprendere anche le auto alimentate a GPL e metano, prima mai considerate inquinanti.
I 51 varchi di accesso a presidio della fascia verde, sono in fase di installazione e riguardano anche le zone più periferiche della città, quelle a senso unico, parti di borgate che sembrano spaccate in due.
Quali sono le criticità?
I provvedimenti adottati prendono in considerazione esclusivamente il settore trasporti per contenere l’inquinamento e c’è da chiedersi se, in via di programmazione, non si debba avere più ampia e generale considerazione di tutte le componenti ambientali che incidono sull’inquinamento, quali arsenico, cadmio, nichel, piombo, benzene, sorgenti di influenza per l’ozono, amianto ecc. oltre alle note PM10, NO2, biossido di zolfo, monossido di carbonio, queste sì, dovute alle emissioni veicolari. La realizzazione di un inceneritore a Roma non sembra orientare verso la tutela dell’ambiente o quantomeno la riduzione dell’inquinamento e non si configura certamente come una misura di prevenzione a salvaguardia della salute dei cittadini. C’è da chiedersi perché non sono considerati quali inquinanti ambientali la presenza di manufatti in amianto che ancora non sono stati bonificati e disperdono fibre respirabili.
Ma la criticità più logica e perfino ovvia, è la mancata previsione e realizzazione di un sistema di trasporto pubblico efficiente, ecologico, non inquinante (si rammenta che buona parte dei mezzi circolanti sono ad alimentazione diesel e da tempo fuori legge) capace di offrire una concreta alternativa a coloro che sono obbligati a non usare il proprio mezzo di trasporto. Prospettiva che avrebbe dovuto essere prevista prima del divieto, con una programmazione economica e gestionale del trasporto pubblico su gomma e ferro.
Per il trasporto pubblico invece non sono previsti cambiamenti strutturali, se non per l’aumento del costo dei biglietti anziché puntare a una riduzione significativa per le fasce più deboli o con abbonamenti ad hoc e misure di gratuità.
Le fasce sociali più colpite sono i pendolari, i lavoratori, gli studenti, gli anziani e in definitiva, tutti coloro che non potranno permettersi l’acquisto di costose auto elettriche. Non si tratta più dunque, di un problema di trasporto o di traffico, ma diventa un fatto di discriminazione sociale.
Si evidenzia poi il mancato decentramento delle funzioni amministrative nell’area metropolitana che, se realizzato, avrebbe ridotto il pendolarismo, e invece si è puntato a un accentramento di Roma Capitale, così come fece Mussolini per avere un maggior controllo politico.
Il mezzo di trasporto ammesso a circolare sarà dunque solamente l’elettrico, obbligando all’acquisto di nuove auto (e a una massiccia rottamazione di veicoli) con una spesa che non può essere alla portata di tutti. Si parla di 30.000 residenti interessati dal divieto, tra i 300.000 e i 350.000 titolari di auto “bandite” che dovrebbero accedere alla fascia verde da zone esterne e da fuori Roma.
Il provvedimento varrà per tutti, sia i residenti sia i non residenti.
Le deroghe previste riguardano i veicoli per persone invalide, adibiti a servizi di polizia e sicurezza, emergenza stradale anche sociale, soccorso stradale, quelli adibiti a trasporto collettivo pubblico di linea soggetti a oneri di servizio pubblico, adibiti alla gestione dei rifiuti urbani, tutela igienico-ambientale, gestione emergenziale del verde, protezione civile, adibiti a interventi manutentivi per conto del Comune, i veicoli con targa Corpo diplomatico (CD), Servizi Città del Vaticano (SCV) e auto di Stato (CV), veicoli d’epoca in occasioni autorizzate. È giusto chiedersi quanto possono inquinare tutti questi mezzi di trasporto in deroga e se non è corretto anche per questi pretendere misure di adeguamento tali da non produrre emissioni nocive.