Nella vita sociale degli uomini ci sono dei periodi lunghi in cui si sedimentano dei malesseri, determinati dal fatto che una serie ininterrotta di abitudini distorte, di leggi ingiuste, di comportamenti sociali irrazionali vengono acquisiti, naturalizzati, interiorizzati dalle persone come fossero un abito che gli individui indossano senza rendersene conto. L’orizzonte angusto in cui le persone si muovono è stato sedimentato nel tempo dalle leggi, enfatizzato dal rimbombo e dalla grancassa dei media, penetrato nelle università e istituzionalizzato nelle scuole attraverso il meccanismo imperante della burocrazia che ha la forza di far apparire come naturale, eterno, immodificabile, un modo specifico di operare che è invece il frutto di determinati rapporti di forza tra gli uomini e che, invece, naturale non è, che è stato prodotto dalla storia, e che solo dentro la storia degli uomini può essere effettivamente compreso e modificato da quegli stessi individui che per decenni lo hanno accolto passivamente.
Se vogliamo analizzare con attenzione un aspetto specifico della vita sociale, e nel nostro caso lo facciamo con il movimento studentesco, forse dovremmo osservarlo con gli occhi del biologo, che è consapevole del fatto che nella vita di una cellula opera la vita dell’intero organismo ma che questa vita complessiva si esprime in una forma condensata specifica, particolare, individuale. Osservare nell’individuo il movimento complessivo del tutto rappresenta un lavoro complesso poiché richiede una visione d’insieme all’interno della quale contestualizzare delle specificità che vanno osservate, riconosciute, individuate come proprie di quel singolo organismo per poi poter essere iscritte e comprese nel quadro d’insieme dell’organismo sociale all’interno del quale assumono tutta la loro densità e il loro significato universale.
Non ho la pretesa di riassumere in un breve articolo un fenomeno complesso, pieno di variabili, e soprattutto in piena fase d’evoluzione, come può essere quello del disagio delle giovani generazioni e del suo embrionale modo d’esprimersi nel movimento studentesco attuale. Non possiamo certo prevederne le evoluzioni – se perdurerà nel tempo o arretrerà, se avrà effetti sul resto della società oppure rimarrà nel recinto suo proprio – quello che posso fare è cominciare a leggerlo e interpretarlo come il prodotto embrionale di un malessere che si esprime attraverso i giovani e che, implicitamente, descrive un malessere e una sofferenza dell’intero mondo della scuola e, allargando l’orizzonte, di tutta la società italiana.
Come è cambiata la vita scolastica dei ragazzi dagli anni ’90 a oggi? Cosa è avvenuto in questi ultimi anni di pandemia? Come l’hanno vissuta gli studenti? Cosa si aspettano i genitori dall’istruzione dei loro figli? Cosa propone la società ai ragazzi alla fine del percorso di formazione?
A queste domande non si può rispondere se non si inquadrano i cambiamenti della scuola all’interno dei cambiamenti complessivi che sono avvenuti nell’intera società: l’affermarsi dell’ideologia ordoliberista, conseguente alla fine del blocco sovietico, ha naturalizzato i rapporti di sfruttamento e di libertà assoluta nei movimenti di capitale rispetto al ruolo regolamentatore dello Stato in tutti i campi della vita sociale. Il compromesso relativo tra capitale e lavoro ottenuto parzialmente fino agli anni ’80 è stato spazzato via dal dogma della libera circolazione dei capitali e dalla percezione dell’impossibilità, da parte dello Stato, di controllare questi movimenti. Le aziende, soprattutto le grandi aziende, così come i grandi gruppi finanziari, hanno chiesto e ottenuto, con il consenso attivo di tutta la classe politica, leggi che regolamentavano il lavoro in modo sempre più precario, aiuti e sovvenzioni statali nelle fasi di difficoltà, riduzione sistematica delle imposte, pena la fuga dei capitali dall’Italia e la perdita di posti di lavoro.
Il risultato che si è ottenuto è stato l’aumento del tasso di disoccupazione giovanile, e con esso una scuola sempre più subordinata alle esigenze del profitto immediato. Il disagio studentesco si è manifestato in primis nelle occupazioni di dicembre – che hanno visto gruppi autorganizzati di studenti cimentarsi con l’esperienza difficile di organizzare uno spazio sottratto alle rigidità di una scuola sempre più burocratizzata, che non a caso sotto la pressione dei provveditori e dei Ds li ha puniti severamente – poi con la reazione spontanea e istintiva alla morte di un ragazzo di 18 anni, Lorenzo, all’interno di un esperienza associabile all’alternanza scuola-lavoro. Mentre scriviamo è morto un altro ragazzo nell’ambito dei progetti Pcto all’interno di un furgone in un incidente stradale ed è prevista una manifestazione nazionale in moltissime città per il 18 febbraio. Il movimento studentesco non cresce omogeneamente in tutte le città e, all’interno delle città, non è presente capillarmente in tutte le scuole; tuttavia, la sua crescita è costante, manifestandosi non solo nell’autunno ma anche nel tardo inverno.
Non sempre la classe docente riesce a coglierne la portata poiché, pur condividendo in buona parte le critiche di fondo alla scuola delle competenze – che è poi, di fatto, una scuola completamente subordinata alle esigenze più immediate delle imprese – è immersa in un’ideologia della legalità che, dovendo sopportare i soprusi e le illegalità compiute dall’alto (governo, Miur, provveditorati), è costretta a forzare la propria funzione pubblica di rappresentante dello Stato verso l’azione formalmente illegale compiuta dagli studenti durante l’occupazione. Più aumenta la capacità di conflitto dei lavoratori, e con essa quella dei docenti, più si riduce questo ruolo che gli apparati dello Stato – passando per i dirigenti Scolastici – vorrebbero alimentare negli insegnanti. Su questo punto si potrebbe aprire una riflessione su come l’ideologia liberista, pur essendo stata contrastata sindacalmente dagli insegnanti in questa fase (pensiamo alle lotte contro la legge 107 di Renzi o al disagio profondo che tutti hanno vissuto nella gestione catastrofica nella fase di pandemia) riemerga poi in questa visione un po’ discronica e contraddittoria della legalità che, a volte, poco ha a che vedere con un senso più profondo di giustizia e uguaglianza sociale.
Come detto in precedenza, non possiamo conoscere l’evoluzione che avrà il movimento studentesco. Personalmente, se intravedo un elemento di enorme portata generale nella critica radicale alla legge sull’alternanza scuola-lavoro, d’altro canto non condivido la richiesta di eliminazione delle prove scritte dall’esame di maturità che, a mio parere, seppur involontariamente, sembra venire incontro a quel processo di semplificazione dei percorsi scolastici tanto cara a una certa pedagogia liberista; tuttavia, questa richiesta appare comprensibile dal punto di vista studentesco, in particolare in una fase caotica di gestione della pandemia in cui molto si è perso in termini di apprendimenti e conoscenza. L’elemento più interessante è che proprio dal movimento degli studenti medi cominciano a manifestarsi in forma di malessere e, progressivamente, anche di progetto, tutte quelle distorsioni che una società tutta impregnata sulla logica del profitto ci mette in luce quotidianamente e che si sono accentuate nella gestione politica della pandemia da parte di una classe dirigente sempre più incapace di elaborare una potenziale via d’uscita dalla sua crisi endemica.