La parabola dell’economia politica – Parte XXIII: Sraffa, Produzione di merci a mezzo di merci

Il modello di Produzione di merci a mezzo di merci di Piero Sraffa respinge l’idea che la remunerazione di capitale dipenda dalle rispettive produttività e ripropone implicitamente quella che la distribuzione del prodotto fra profitti e salari dipenda dai rapporti di forza fra le classi. L’esame di pregi e difetti di questa impostazione è rinviato a un prossimo articolo.


La parabola dell’economia politica – Parte XXIII: Sraffa, Produzione di merci a mezzo di merci

Dopo la critica alla teoria marshalliana, nella sua opera più famosa Sraffa, come recita il suo sottotitolo [1], pone le basi per una critica radicale al marginalismo nel suo insieme, conquistando la posizione di caposcuola di una corrente che annovera anche molti economisti italiani [2]. 

La teoria marginalista prevede la possibilità, all’interno di una tecnica produttiva, di sostituire fra di loro i fattori produttivi per giungere al loro mix di che massimizza il risultato. Tale mix dipende dai prezzi dei fattori. La funzione di produzione neoclassica Q=f(L,K,) (con Q=quantità del prodotto, L=lavoro e K=capitale) sintetizza l’idea della sostituibilità. Ma come si misurano lavoro e capitale? Si può supporre che tutti i lavori siano riducibili a lavoro generico e misurabili in tempo di lavoro, come è possibile una misurazione in termini fisici del prodotto (se è unico, escludendo quindi la produzione congiunta, cioè di più merci nel medesimo processo produttivo) ma come misurare il capitale che è composto da merci eterogenee? Non si possono sommare le mele con le ciliegie. Ciò nonostante questa teoria è divenuta l’abc nell’accademia, passando sopra all’assillo di Ricardo di cercare, senza riuscirvi in maniera soddisfacente, di misurare rigorosamente il capitale. Lo stesso problema era stato mostrato da Keynes, ma mentre quest’ultimo non si distaccava dal paradigma marginalista per la maggior parte degli aspetti, in Piero Sraffa questa critica diviene centrale e colpisce alle fondamenta quella teoria.

Secondo la ricostruzione di Gianfranco Pala nel suo brillante Pierino e il Lupo [3], Sraffa fu forse l’unico economista occidentale, a conoscenza delle opere pionieristiche, ispirate agli schemi marxiani di riproduzione, dell’economista russo Vladimir Karpovič Dmitriev [4], che influenzò anche la famosa Input-output analysis di Wassily Leontief [5]. A questi lavori va aggiunto, come probabile tributo, quello dell’economista russo di origine polacca Ladislaus Bortkiewicz [6]. Tutti questi apporti gli sono stati certamente utili per perseguire il suo proposito di gettare le basi teoriche della sua critica alla scuola marginalista e di perfezionare la teoria ricardiana del valore. A tal fine costruisce un modello di produzione costituito da un’equazione lineare per ogni industria i cui parametri sono la tecnologia (le quantità fisiche di ciascuna merce e di lavoro necessari a ciascuna produzione, o input, e la quantità di ciascun prodotto, o output), permettendo di determinare i prezzi relativi e una delle due variabili distributive, alternativamente saggio del profitto o salario, una volta nota l’altra variabile.

Definendo A la quantità complessivamente prodotta della merce A, Ai la quantità di tale merce utilizzata per produrre la merce i, e così per B, C...K, pi il prezzo della merce i, r il saggio del profitto Li il lavoro diretto impiegato per produrre la merce i, w il salario per unità di lavoro, il modello assume la seguente forma: 

(Aapa+Bapb+...+Kapk)(1+r)+Law=Apa

(Abpa+Bbpb+...+Kbpk)(1+r)+Lbw=Bpb

.  .  .  .  .

(Akpa+Bkpb+...+KKpk)(1+r)+Lkw=Kpk

Pur preferendo Sraffa – lo abbiamo visto nel precedente articolo – presupporre i rendimenti costanti, l’utilizzo in questo contesto di coefficienti fissi non designa necessariamente la scelta di questa condizione restrittiva, ma soltanto che si intende rappresentare schematicamente un sistema statico, in cui non cambiano le quantità prodotte, le tecniche produttive ecc. La staticità del suo sistema è infatti una caratteristica ben precisa e da tenere presente quando si vuole discuterne.

Il sistema ha soluzioni perché i prezzi da determinare simultaneamente sono relativi, cioè in rapporto a uno di essi preso come numerario, il quale pertanto è noto e vale 1, e perché i prezzi degli input sono identici a quelli degli output, cioè uno per ogni merce, sia che figuri dal lato dei mezzi di produzione input, sia che figuri da quello del prodotto.

Pertanto, conoscendo una delle due variabili distributive, w o r, il numero delle incognite (n-1 prezzi e l’altra variabile distributiva) è pari al numero delle equazioni.

La determinazione simultanea dei prezzi degli elementi del capitale e dei prodotti implica che il valore del capitale impiegato possa essere conosciuto solo mediante la soluzione del sistema e non a priori. Le teorie che invece presuppongono valori noti dei fattori produttivi, come quella marginalista e quella marxiana, non sono perciò compatibili con questo modello.

Altra caratteristica di questo sistema è che il saggio del profitto può essere determinato solo se è conosciuto il saggio del salario o viceversa. Quindi le variabili distributive non derivano dalla produttività dei fattori ma, evidentemente, dai rapporti di forza fra le classi. A conferma di ciò si può osservare che la variazione dell’una, per esempio il saggio del profitto, determina variazioni di segno opposto dell’altra, il salario, anche se il grado di utilizzo del lavoro non è cambiato e quindi neppure la sua produttività marginale.

Sraffa mette anche in discussione la scelta delle tecniche in base al solo prezzo dei fattori e quindi la circostanza che al crescere del costo di un fattore, per esempio il lavoro, diventi sempre conveniente introdurre tecniche disponibili che sostituiscono quel fattore, per esempio con il capitale. Ciò, per Sraffa, varrebbe solo se il capitale fosse composto di un’unica merce e quindi non si presentasse il problema di misurarne il valore. Nel caso contrario può accadere che si possa sostituire capitale con lavoro anche nel caso in cui i salari aumentino e viceversa – il cosiddetto ritorno delle tecniche – cosa esclusa dalla teoria marginalista in cui gli isocosti relativi a due tecniche alternative possono avere un solo punto di intersezione che indica il passaggio da una tecnica all’altra. Invece, se a seguito di un aumento dei salari una data tecnica di produzione viene sostituita con un’altra tecnica a più alta intensità di capitale (che risparmia lavoro), può accadere che, dopo un ulteriore aumento dei salari, la prima tecnica torni a essere conveniente e soppianti la seconda. Ciò può avvenire perché anche i prezzi dei “beni-capitale” variano al variare della distribuzione del reddito. Un’altra importante conseguenza del ritorno delle tecniche è che la disoccupazione può non dipendere dal troppo elevato livello dei salari, ma è possibile che dipenda da una loro diminuzione che fa tornare conveniente una tecnica che risparmia lavoro.

Veniamo all’importante artificio della merce e del sistema tipo.

Nella sua introduzione agli scritti di Ricardo, Sraffa dà atto dell’evoluzione della teoria del valore del grande economista classico. Nel suo Essay on the Influence of the Low Price of Corn on the Profits of Stock, Ricardo usa l’ipotesi strumentale di una pura economia di grano, in cui questo cereale funge da unico mezzo di produzione (semente), unico bene di sussistenza dei lavoratori e unico prodotto e in cui pertanto non è necessario conoscere i prezzi per determinare il saggio del profitto, essendo sufficiente un confronto fra le quantità fisiche costituenti gli input e quelle costituenti l’output. Nei Principles, invece, il rapporto fra prodotto e input viene misurato in ore di lavoro, pur nella consapevolezza che i prezzi naturali, così denominati da Ricardo, divergono dalle quantità di lavoro qualora il saggio del profitto non sia nullo e i capitali siano impiegati nei diversi rami produttivi con durate temporali differenti. Rimane così insoluto il problema di individuare una misura invariabile del valore al variare della distribuzione.

Cercando di dare una soluzione a tale problema, Sraffa in un certo senso torna alla prima formulazione di Ricardo, alla misurazione in base alle quantità, scartando la determinazione in ore di lavoro. A tal fine costruisce un sottosistema formato da un mix opportuno di tutte le merci prodotte, ciascuna presa in una adeguata proporzione tale che la composizione percentuale degli elementi degli input risulti identica alla composizione degli output. Per ottenere ciò occorre utilizzare una ben determinabile frazione di ciascuna equazione. In tal modo è come se si producesse un’unica merce composta in maniera identica a quella impiegata nella sua produzione e quindi non si pone il problema di valutare le singole merci in quanto è sufficiente confrontare la quantità dell’output aggregato con quella del corrispondente input. In presenza di un saggio del profitto non nullo l’output sarà un determinato multiplo dell’input. Il prezzo della merce tipo non risente quindi delle variazioni della distribuzione, anche se ne dipendono i prezzi delle singole merci che la compongono. Se la struttura tecnica dell’economia reale si approssimasse a quella del sistema tipo, come nel caso ipotetico di una ideale situazione di riproduzione allargata a tecnologia immutata e completa accumulazione del sovrappiù, potrebbe quindi non sussistere il ritorno delle tecniche. Si potrebbe obiettare, tuttavia, che a ogni modifica della tecnica è necessario rideterminare la merce tipo e quindi la misura “invariabile” del valore è tale rispetto alla distribuzione ma non rispetto alla dinamica del sistema economico. Ma l’obiezione si infrangerebbe sulla considerazione del carattere statico del sistema che non prende in considerazione simili circostanze.

La soluzione del sistema tipo è identica a quella del sistema reale perché vengono prese a base, sia pure in determinate proporzioni, tutte le equazioni, escluse quelle delle industrie che producono beni di lusso, denominate da Sraffa non base, le quali, secondo questo modello, non incidono nella determinazione degli altri prezzi e delle variabili distributive [7].

Il lavoro appare nel processo produttivo come un input al pari di qualunque altra merce. Ma nel sistema tipo, dovendo confrontare quantità di merci ugualmente composte in entrata e in uscita (e il lavoro non può figurare nel prodotto) Sraffa ricorre all’espediente di rappresentare il salario come un ammontare di merce tipo acquistabile dai lavoratori. Se Marx, e prima di lui Ricardo, misurano il valore delle merci in quantità di lavoro, Sraffa misura il lavoro (in lui non è visibile la distinzione fra lavoro e forza-lavoro) in merci e, secondo la vulgata di alcuni suoi seguaci, propone attraverso questo espediente una soluzione all’annoso problema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione. Infatti è possibile determinare il saggio di profitto come rapporto tra due quantità fisicamente omogenee: il sovrappiù, cioè la quantità di merce tipo prodotta che eccede gli input, in rapporto con gli input stessi.

Nel caso della produzione congiunta il numero dei prodotti potrebbe eccedere il numero delle industrie e quindi le incognite (i prezzi meno uno e una variabile distributiva) sarebbero superiori al numero di equazioni (le industrie). In una simile circostanza il sistema non sarebbe risolvibile. L’escamotage adottato da Sraffa è quello di ipotizzare per tale caso la possibilità che alcuni prodotti congiunti vengano realizzati anche da altre imprese con altri metodi di produzione, aggiungendo così nuove equazioni, di modo che il sistema divenga risolvibile.

La possibilità di risolvere il sistema è cruciale perché senza produzione congiunta non si potrebbe trattare il capitale fisso. Infatti Sraffa lo esamina supponendo che nell’output figuri, oltre al prodotto, l’insieme di macchine, immobili ecc. impiegati nella produzione invecchiati però, rispetto a quelli che figurano nell’input, di un tempo pari a quello di produzione (il tempo di circolazione non è considerato in questo modello e quindi sarebbe improprio parlare di tempo di rotazione).

La produzione congiunta costituisce anche una maggiore generalizzazione della produzione singola. Infatti è possibile costruire un sistema in cui gli output di ciascuna industria siano pari al numero complessivo di prodotti. Basta ammettere che possano esserci coefficienti degli output uguali a zero.

Tuttavia alcune proprietà che erano state indicate nella produzione singola non si ripropongono nella produzione congiunta. Una di esse è importante: nella produzione singola una diminuzione del salario in termini di merce tipo implica che nessun prodotto possa diminuire di prezzo in proporzione maggiore di quanto avvenga nel salario, mentre il prezzo di una delle merci prodotte congiuntamente può diminuire di più perché quello di un’altra diminuisce di meno o addirittura aumenta. La conseguenza, di non poco conto, è che a fronte di tale diminuzione salariale non necessariamente aumenta il profitto. La generalizzazione del sistema, quindi rimette in discussione una serie di cruciali acquisizioni raggiunte con la produzione singola [8].

Ian Steedman ha individuato un’altra pesante conseguenza di questa teorizzazione: si possono ottenere profitti positivi in presenza di plusvalore negativo e con ciò svanisce anche l’origine del profitto dal plusvalore [9].

In questo articolo ci siano limitati al propedeutico cenno del modello di Sraffa, nei prossimi discuteremo dei suoi pregi e difetti e dei suoi rapporti con il sistema di analisi di Marx, nonché della discussione assai animata che non ha messo d’accordo i sostenitori di diverse tesi.

 

Note:

[1] P. Sraffa, Produzione di merci a mezzo di merci. Premessa a una critica della teoria economica, Giulio Einaudi Editore, 1960.

[2] I più importanti sono Pierangelo Garegnani, riconosciuto da Sraffa stesso come suo erede spirituale, e Luigi Pasinetti.

[3] G. Pala, Pierino e il lupo. Per una critica a Sraffa dopo Marx, Contraddizione, Roma, 1988, pp. 17-18. 

[4] V.K. Dmitriev, Saggi economici, Utet, Torino 1972.

[5] V. Leontief, Input-Output Economics, Scientific American, 1951, ristampato in Input-Output Economics, Oxford University Press, 1966.

[6] L.J. Bortkiewicz, On the Correction of Marx’s Fundamental Theoretical Construction in the Third Volume of Capital, in appendice a Paul M. Sweezy (a cura di), Karl Marx and the Close of his System, Augustus M. Kelley, New York, 1949. Si veda anche dello stesso autore La teoria economica di Marx e altri saggi su Böhm-Bawerk, Walras e Pareto, Einaudi, Torino, 1999.

[7] Marx, al contrario, include anche il plusvalore prodotto nei rami d’industria che producono beni di lusso nel plusvalore complessivo che deve essere ripartito fra i capitalisti. Esso quindi incide sul saggio del profitto e di conseguenza sui prezzi di produzione.

[8] Un’altra complicazione è che il sistema tipo, in presenza di produzione congiunta, dovrebbe essere costruito diversamente. Ma non ci pare il caso di entrare in questo dettaglio di scarso significato.

[9] J. Steedman, Marx dopo Sraffa, Editori Riuniti, 1977, pp. 158 e segg.

23/09/2022 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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