La crisi politica spagnola, che dura ormai da un anno, ha finito per travolgere anche il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE). I socialdemocratici spagnoli hanno costretto alle dimissioni il segretario Sanchez e si apprestano a far nascere il nuovo governo di Mariano Rajoy, il leader della destra del Partito Popolare (PP). Che un partito socialdemocratico europeo governi o lasci governare la destra, non è una novità. Ma andiamo con ordine.
La crisi spagnola
La crisi politica spagnola è iniziata con le elezioni generali del dicembre 2015, i due partiti tradizionali PSOE e PP per la prima volta non erano in grado di formare autonomamente un governo, e neanche di ottenere l'appoggio dei partiti “minori”, in questo caso Ciudadanos a destra e a sinistra Podemos e Izquierda Unida (IU, di cui fa parte il Partito Comunista Spagnolo). Con una mossa irrituale il re Filippo VI decide di non affidare l'incarico di governo al primo partito – il PP – ma al secondo – il PSOE. Il segretario Sanchez avvia così una serie di colloqui con tutti i partiti, l'unico accordo che riesce a trovare però è verso destra: PSOE e Ciudadanos votano a favore di Sanchez nel marzo 2016, ma non è abbastanza, si va a nuove elezioni. Alcuni alti dirigenti del PSOE cominciano a criticare apertamente Sanchez per non aver chiuso un accordo con Rajoy.
Dal voto del Giugno 2016, il PSOE esce ancora secondo, la coalizione di sinistra Unidos Podemos (Podemos + IU), non riesce a scavalcare la socialdemocrazia, si ripropone lo stesso stallo: questa volta la domanda è se e quando il PSOE si asterrà per facilitare la nascita di un governo Rajoy. Ai primi voti di fiducia – avvenuti tra fine Agosto e inizio Settembre – il PSOE ha continuato a votare contro Rajoy. Poi è scoppiata la crisi interna al partito.
Dalle elezioni regionali alla crisi del PSOE
I colloqui per la formazione del governo sono stati interrotti per la campagna delle elezioni del 25 settembre nelle comunità autonome della Galizia e dei Paesi Baschi. In entrambe le regioni il PSOE è stato sorpassato delle alleanze di sinistra locali. Il giorno dopo le elezioni, la presidente dell'Andalusia Susana Diaz ha richiesto pubblicamente le dimissioni di Sanchez.
Dopo una settimana di lotta burocratica nelle strutture del partito, il gruppo di dirigenti riunito attorno a Diaz è riuscito ad ottenere le dimissioni di Sanchez ed eleggere una direzione temporanea in vista del prossimo congresso.
La lotta tra Diaz e Sanchez lascia il PSOE spaccato. Il presidente pro tempore Javier Fernandez ha dichiarato esplicitamente che il PSOE deve scegliere tra astenersi sul voto di fiducia a Rajoy - cioè lasciare il governo ai popolari e Ciudadanos – o innescare le terze elezioni nel giro di dodici mesi. La possibilità di un governo con la sinistra non è contemplata.
Appare evidente che la direzione presa dal PSOE è verso destra: Sanchez non ha voluto favorire da subito il governo del PP ma non è stato neanche in grado di costruire un governo di sinistra con Podemos e Izquierda Unida – d'altra parte i programmi sono totalmente incompatibili. Ora Diaz spinge evidentemente verso l'astensione per far nasce un nuovo governo e potersi poi dedicare al congresso.
Tutta la manovra non passerà però senza strascichi. Nel gruppo parlamentare, i sette deputati catalani hanno già annunciato che in ogni caso voteranno contro Rajoy. Il sindacato UGT, storicamente legato al PSOE, non ha ancora espresso nulla sul “golpe di palazzo” ma è stato in precedenza tra i principali sostenitori del rifiuto di lasciar governare il PP. L'UGT si è già molto autonomizzata dal partito negli scorsi anni, avvicinandosi alle posizioni della confederazione comunista CCOO e scioperando anche contro i “governi amici”. Se Diaz e Fernandez porteranno la socialdemocrazia spagnola a facilitare il governo della destra, allora si allontaneranno ancora di più dalla seconda confederazione sindacale del paese.
Il prossimo appuntamento è per il 24 e il 25 Ottobre, giorni per i quali il re ha fissato il nuovo giro di consultazioni. Già dal 26 e 27 Rajoy potrebbe essere di nuovo incaricato di formare un governo.