Quando si iniziò a parlare della Terra dei Fuochi e del disastro sanitario ed ecologico tra Napoli e Caserta, buona parte degli abitanti del Nord guardavano a quelle vicende con distacco. Nella mente dei Padani, quei roghi erano tanto distanti ed “esotici” quanto quelli che Magellano vide secoli fa nella Tierra del Fuego. Ma negli anni, gli incendi dolosi di rifiuti hanno risalito la penisola: nell’ultimo triennio, dei 250 casi accertati verificatisi in tutto il paese ben 40 sono avvenuti tra Lombardia e Veneto, conferendo alla Pianura Padana questo poco invidiabile primato. Guardando ai soli incendi (dolosi o meno) nei siti di stoccaggio autorizzati, il 2017 ha visto un incremento esponenziale del fenomeno, con la media di un incendio al mese in Lombardia. Ci sono stati roghi alle porte di Milano (a Bruzzano, Arese, Gaggiano e Cinisello Balsamo), nonché nelle province di Monza e Brianza (Senago), Brescia (Calcitello) e Bergamo (Alzano Lombardo).
La situazione della Provincia di Pavia è particolarmente grave. Si tratta di una provincia abbastanza estesa, con mezzo milione di abitanti sparsi in pochi centri urbani e in una miriade di piccoli paesi dalla tradizionale vocazione agricola e zootecnica. Nel 2017 si sono verificati due incendi nel centro di stoccaggio Aboneco di Parona, seguiti da quello all’impianto Eredi Bertè di Mortara, avvenuto proprio il giorno prima di un controllo programmato dell’ARPA. L’incendio si è protratto per due settimane, mandando in fumo 12.000 metri cubi di rifiuti.
A novembre è stata la volta dell’impianto Salpo di Gambolò e dell’inceneritore di Parona (il terzo più grande della regione). Ma questi episodi non bastano a spiegare perché la Provincia di Pavia occupi il secondo posto in Italia per mortalità dovuta all’inquinamento atmosferico (10% sopra la media nazionale), e perché l’indice della mortalità per tumori sia superiore del 19% alla media nazionale, incidendo sulla mortalità totale maschile e femminile rispettivamente per il 40% e per il 27%. La salute della popolazione è messa a repentaglio da due inceneritori (a Parona e Corteolona), 68 impianti di biogas, 15 impianti di combustione delle biomasse, 4 gassificatori, 13 impianti di trattamento dei fanghi industriali che gestiscono la metà dell’intero quantitativo regionale. A vessare il territorio provinciale contribuiscono inoltre le emissioni della raffineria Eni di Sannazzaro de’ Burgundi, peraltro soggetta non di rado a incidenti (due esplosioni tra 2016 e 2017) e le centinaia di migliaia di tonnellate di fanghi che vengono sparse nei campi (circa il 20% del totale nazionale). A ciò si aggiungono i roghi delle discariche abusive.
Il nuovo anno si è aperto con l’incendio di un vecchio capannone industriale di circa 2.000 metri quadri tra i paesi di Corteolona e Genzone. Plastiche, pneumatici e carcasse di macchinari hanno sprigionato un quantitativo di diossina 40 volte superiore ai limiti di legge (11,9 picogrammi equivalenti per metro cubo, contro gli 0,3 ammessi dall’OMS). I cittadini avevano segnalato da tempo un anomalo via-vai di camion che andavano a depositare rifiuti nel capannone, come dimostrato anche dalle immagini di una telecamera di sorveglianza. Il sindaco (PD) sostiene di aver denunciato verbalmente l’accaduto alle Forze dell’Ordine: fatto sta che le istituzioni, come al solito, sono intervenute quanto il danno era ormai irreparabile.
Pochi giorni dopo, il 7 gennaio, si è tenuto un presidio di cittadini di fronte alla discarica abusiva, alla presenza delle telecamere RAI, del prefetto e dei sindaci. C’era Gabriele Grossi, presidente dell’Associazione “Vivo la Bassa”, che da anni si batte contro il previsto raddoppiamento dell’inceneritore del colosso energetico A2A, sito nella stessa Corteolona, che andrà a triplicare la quantità di rifiuti bruciati. Fatto che non potrà che aggravare la situazione sanitaria in una zona in cui l’incidenza dei tumori è già ora altissima. Assieme a lui erano presenti cittadini e altri membri di comitati provinciali per la tutela del territorio, come Donatella, che porta la solidarietà del “Comitato No Discarica Cemento Amianto” di Sannazzaro. Infatti, proprio di fronte alla raffineria dell’Eni, è stata autorizzata l’apertura della più grande discarica di amianto e cemento della regione, che dovrebbe ricevere nella prossima decade 650.000 tonnellate di rifiuti. Davanti alle telecamere RAI, il prefetto ha annunciato “maggiori controlli”: pratica pressoché impossibile, considerati i tagli apportati alle Province sull’onda della battaglia populista del Movimento 5 Stelle.
Come coordinamento territoriale di Potere al Popolo abbiamo portato la nostra solidarietà ai cittadini della zona, cercando di dare voce alle loro istanze e mettendoci a disposizione per fare rete e inserire la loro battaglia in un discorso più ampio di gestione del territorio. Sappiamo bene che le promesse (peraltro quasi mai mantenute) di maggiori controlli e le rassicurazioni sul buon esito delle indagini e dei processi (che nella maggior parte dei casi non portano a niente) non risolveranno la situazione. L’intero sistema dello smaltimento dei rifiuti si fonda sulla logica del profitto: chi vende rifiuti, chi li compra, chi li sposta, chi li brucia, tutti ci guadagnano. Ciò porta a una gestione totalmente irrazionale: basti pensare, ad esempio, che per un’azienda proprietaria di un inceneritore è più conveniente bruciare rifiuti urbani provenienti da altre regioni piuttosto che i rifiuti speciali della propria. Anche la criminalità organizzata si ritaglia il proprio spazio, come è forse accaduto a Corteolona e Genzone. Tuttavia, che questo business avvenga illegalmente o legalmente, alimentando le ecomafie o coinvolgendo soggetti autorizzati, la sostanza è la stessa: tutti ci perdiamo in salute, ci ammaliamo di più, viviamo di meno. Del resto, se la natura dolosa del rogo di Genzone è di per sé evidente, anche l’epidemia di incendi negli impianti legali appare tutt’altro che un fenomeno casuale, dal momento che spesso vengono rinvenute violazioni delle norme di sicurezza, sulla quantità e sulla tipologia di rifiuti stoccati.
In questo sistema, il pubblico interviene solo per pagare le spese di bonifica dei siti inquinati dai privati: lo “Sblocca Italia” del Governo Renzi ha contribuito a rinsaldare questo principio. Ciò che noi vogliamo è che si inizi a fare tutto il contrario, partendo da un piano nazionale per la bonifica dei siti inquinati, facendo pagare gli inquinatori e tutelando la salute della popolazione. Per scardinare l’intero sistema che ha portato alle centinaia di roghi di rifiuti degli ultimi anni serve una gestione pubblica dell’intero ciclo di smaltimento dei rifiuti. Solo l’esclusione dei privati permetterà di realizzare una nuova politica energetica che raccolga la richiesta di democrazia dei territori e che metta al bando gli inceneritori.
Ciò che noi vogliamo è che il Potere ritorni realmente a quel Popolo che ha segnalato i camion che portavano i rifiuti a Corteolona e Genzone, che tutt’oggi lotta contro gli inceneritori e le maxi-discariche di amianto, che in questi anni ha resistito, ha lottato, ma ha quasi sempre perso. Solo unendo le tante battaglie su tutto il territorio nazionale potremo iniziare a vincere e a immaginare una gestione realmente democratica del territorio e delle scelte in campo energetico ed economico. A immaginare, insomma, una nuova società.