Lo spirito del mondo nella Fenomenologia di Hegel

Con il capitolo dedicato allo spirito iniziamo la trattazione della seconda parte della Fenomenologia dello spirito, in cui il protagonista del processo di formazione da individuale diviene collettivo


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Link al video della lezione tenuta per l’Università popolare Antonio Gramsci su concetti analoghi

segue da: La ragione attiva

La ragione esaminatrice delle leggi

L’autocoscienza – per superare il fondamento ancora soggettivo dell’uomo della ragione legislatrice, che entrava necessariamente in contraddizione con l’universalità della legge – si mette alla ricerca di leggi universalmente valide. A tale scopo, per vagliarne il grado di universalità, l’uomo della ragione esaminatrice delle leggi le porta, a una a una, dinanzi al tribunale della pura ragione. In realtà l’unico tribunale a cui il singolo è in grado di avere accesso è il tribunale della concezione che ha della pura ragione. Si tratta, dunque, necessariamente – al di là delle pretese di questa autocoscienza kantiana – di untribunale della ragione individuale. L’autocoscienza ricade così nella contraddizione di un singolo che pretende di porsi – in quanto considera “pura ragione” la rappresentazione che ne ha – come arbitro dell’universalità, pretesa manifestamente assurda.

Il passaggio allo spirito oggettivo: dall’individuo alla vita etica di un popolo

Dunque, dal punto di vista dell’individuo, da cui necessariamente muove, la ragione non raggiungerà mai l’agognata universalità, che gli consentirebbe di realizzare la sua vana pretesa di essere la fonte di ogni verità. Il singolo potrà finalmente ricongiungersi con l’universalità solo passando a un livello superiore, dopo aver colto i diversi limiti delle varie figure della ragione attraversate. Il momento superiore a cui, infine, l’autocoscienza accede è lo spirito oggettivo, la vita etica di un popolo, in quanto la ragione si toglie come individuale e si realizza come universale unicamente nei costumi e nelle istituzioni politiche di una civiltà storica, in cui di volta in volta si è incarnato lo spirito del mondo. L’individuo, secondo Hegel, ha il suo fondamento, la sua stessa essenza nella realtà storico-sociale in cui vive. In tal modo cade, infine, la pretesa soggettivistica dell’autocoscienza moderna di essere lei, in quanto ragione (individuale) a fondare la vita etica di un popolo e le sue istituzione storiche, politiche e sociali.

Con lo spirito entriamo nella seconda parte della Fenomenologia dello spirito, anch’essa articolata, come la prima, in tre momenti fondamentali. Il passaggio dalla prima alla seconda parte segna anche un decisivo passaggio di testimone dal protagonista individuale della prima parte – coscienza, autocoscienza e ragione – al protagonista collettivo della seconda parte, sia esso il popolo di una delle grandi civiltà che hanno segnato lo sviluppo del corso storico, sia il modo in cui tali civiltà si sono ricomprese mediante lo sviluppo della religione e, infine, il sapere assoluto con cui l’individuo, finalmente formatosi, entra a far parte a pieno titolo della comunità scientifica. Perciò i temi successivi Hegel li casserà, nella trattazione del suo sistema delle scienza filosofiche nell’Enciclopedia, dalla parte dedicata alla fenomenologia – momento dello spirito soggettivo – per trattarle in modo più diffuso nello spirito oggettivo (collettivo e storico) e nello spirito assoluto. Per poi approfondirli ulteriormente nelle lezioni dedicate in particolare alla filosofia della storia e alla religione. Dunque, anche noi, tratteremo questa seconda parte in modo più sintetico, in quanto avremo modo di riprendere e sviluppare meglio queste problematiche quando inizieremo a esporre il sistema di Hegel.

Dalle figure della coscienza alle figure di un mondo storico

Lo spirito è, dunque, sempre lo spirito di un mondo storico, di una civiltà che ha segnato la storia universale, della comunità sociale, politica e culturale di cui l’individuo è parte. Le figure che incontreremo non saranno, quindi, più figure della coscienza, ma figure di un mondo storico e del suo contraddittorio sviluppo. Hegel così, nel capitolo dedicato allo spirito, ha modo di affrontare questioni di filosofia della storia dall’antica civiltà ellenica all’epoca immediatamente precedente la sua. La trattazione è divisa in tre sezioni:

1. Lo spirito vero: l’eticità

Questo primo momento del capitolo spirito ha come modello la bella vita etica della polis greca, che Hegel tende a idealizzare per la fusione armonica e immediata fra il singolo individuo e la polis, la città-Stato. D’altra parte, nel suo contraddittorio sviluppo emergerà il problema fondamentale che questa società non è in grado di risolvere, ovvero il mancato emergere e porsi per sé della soggettività, proprio in quanto l’individuo segue naturalmente, in modo immediato, senza bisogno di riflettervi la vita etica del suo popolo, regolata non da leggi scritte ma da costumi in cui i singoli si riconoscono ancora compiutamente. La contraddizione strutturale di questa prima grande civiltà storica, emerge non a caso in un vero e proprio capolavoro artistico, la tragedia Antigone di Sofocle. In quanto, come vedremo meglio in seguito, in questa antica civiltà arte e religione sono ancora compiutamente fuse insieme e, perciò, questo mondo storico prende essenzialmente consapevolezza di sé attraverso queste magnifiche rappresentazioni sensibili della religione artistica. In particolare, in questa immortale tragedia, che Hegel considera la più importante opera d’arte della storia, Sofocle intuisce la necessaria scissione, in un futuro prossimo, fra il dovere morale dell’individuo e quello etico nei confronti delle istituzioni e dei costumi della comunità e dello Stato. Tale scissione segna la fine dell’eticità immediata antica, del bel mondo ellenico. Come diverrà evidente con la altrettanto tragica figura di Socrate, la prima a vivere questa lacerazione nel mondo reale. Il mondo greco non potrà comprendere né accettare tale lacerazione e, perciò, da una parte ucciderà Socrate, dall’altra si condannerà a un necessario tramonto. Tale contraddizione emergerà in tutta la sua forza dirompente, divenendo pienamente evidente, nel momento successivo dello sviluppo dello spirito umano, rappresentato dall’Impero romano in cui – al riconoscimento per la prima volta della persona giuridica, per quanto nella sua astrattezza e formalità – fa riscontro lo sfrenato arbitrio soggettivo dell’imperatore, che pretende di concentrare in un solo punto, in un individuo singolo lo spirito del mondo.

2. La seconda sezione è dedicata allo spirito che si è reso estraneo

Questa contraddizione dirompente porta al crollo del mondo antico, nel momento in cui gli individui si pongono per sé disinteressandosi della vita dello Stato, in cui non si possono più riconoscere in quanto quest’ultimo è sempre più ostaggio dell’arbitrio di un singolo. Lo spirito umano tende così inevitabilmente a usciere fuori di sé, perdendo così la propria immediata unità e scindendosi e alienandosi nel mondo esterno, in quanto si è ormai inaugurata la frattura fra Io e mondo politico, che caratterizza questa lunga epoca di transizione alla modernità. In un primo momento l’individuo, scisso dal vecchio mondo storico che è crollato e alienato nel nuovo dominato da popolazione barbare, cerca perciò rifugio nella propria interiorità, universalizzando questo ritorno in sé dell’individuo nella fede, in cui crede di poter ritrovare, in un altro mondo, quell’unità con l’universale andata perduta nel mondo reale, storico. Ma anche in questo nuovo ambito. in cui lo spirito trova rifugio nei secoli bui del tardo antico e dell’alto medioevo, si riproduce la lacerazione fra il singolo e l’universale della fede, con il sorgere, con la ripresa dell’anno mille, dell’esigenza di indagine razionale dei fondamenti della fede, a partire da Anselmo d’Aosta e poi, soprattutto, con Abelardo. Con la successiva riscoperta, mediante i rapporti con il mondo arabo di Aristotele e con la successive dissoluzione della scolastica nel tardo medioevo tale estraniazione tende ad aumentare. La lacerazione si accentua ulteriormente nei secoli di passaggio fra il medioevo e l’era moderna, con Umanesimo e Rinascimento. Un ulteriore sviluppo dell’alienazione si ha con l’affermarsi della visione scientifica del mondo, con la rivoluzione scientifica del seicento e il sorgere della filosofia moderna, fondata sul soggetto con Cartesio. In tal modo non fa che accrescersi il dualismo fra individuo e universale, quale dualismo fra soggetto razionale e mondo esterno meccanicisticamente indagato. Tale lacerazione finalmente raggiunge il suo culmine, il punto di arrivo, l’apice con l’affermarsi della cultura del mondo moderno, la cultura illuminista. Quest’ultima dissolve tutto nella sua critica, a partire dalla fede, dalla chiesa e da dio che muore. Questa critica giunge alle estreme conseguenze quando, dopo aver travolto tutto il mondo esteriore, dio compreso, non può che rivolgersi verso se stessa. Questo momento coincide con la Rivoluzione francese, che nel suo sviluppo e nella sua radicalizzazione, in nome della pura libertà dell’individuo da ogni universale, finisce per precipitare nel grande Terrore in cui i rivoluzionari, dopo aver ghigliottinano tutti gli avversari esterni, finiscono per eliminarsi a vicenda, ghigliottinando se stessi.

3. La moralità o coscienziosità

Al di là di tale continua lacerazione e alienazione si innalza lo spirito conquistando la certezza di se stesso, in primo luogo nella moralità, o coscienziosità quale dimensione tutta interiore della libertà, perciò ancora contrapposta alla realtà. In tale terzo momento, lo spirito dell’umanità si sviluppa attraverso il grande sviluppo culturale e filosofico in Germania e, in particolare, con Kant e il romanticismo. D’altra parte l’interiorità dello spirito certo di se stesso riproduce nuovamente una lacerazione con il mondo esteriore, da cui, dunque, vanamente, si era cercato di liberare. Altrettanto invano lo spiritomorale certo di se stesso cerca di superare questa nuova lacerazione con postulati che asseriscono l’armonia fra morale e volontà sensibile, garantita soltanto da un dio di cui non possiamo comprovare l’esistenza. Così, di contro a questa rappresentazione che ha ormai perduto la tradizionale autorità, resta l’assoluto rigorismo morale che, nel suo fondamentalismo finisce per cadere nel suo opposto, ovvero nell’ipocrisia che asserisce che l’individuo è sempre egoista e, dunque, mai potrà realizzare il proprio dovere morale. In tal modo l’assolutezza della vita morale vale solo sull’astratto piano teorico, ma si dà per scontato l’impossibilità di tradursi sul piano pratico. In tal modo Hegel dalla critica, volta a mostrarne i limiti, dell’astrattezza e della formalità della morale di Kant, passa ad affrontare la coscienziosità, che si realizza in modo esemplare in quello che considera il massimo esponente filosofico del romanticismo: F. H. Jacobi.

La coscienziosità fa della immediata certezza interiore soggettiva l’unico criterio della moralità. Tale posizione radicalizza, portandola al suo naturale estremo, la morale kantiana dell’intenzione. Lo spirito divenuto romantico, sulle orme di Jacobi, si trova dinanzi a una possibile nuova lacerazione. Ogni azione è, infatti, necessariamente individuale e, quindi, unilaterale, al contrario dell’intenzione soggettiva che si proclama puramente morale. Per non ledere questa presunta armonia ricostruita nella coscienza soggettiva dell’individuo con un’azione, in quanto tale, necessariamente egoistica – essendo fondata su una volontà altrettanto necessariamente soggettiva e particolare – l’azione come tale non può essere accettata o riconosciuta dalla coscienziosità.

Continua sul numero 261

17/11/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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