Brecht e il semplice che è difficile da realizzare

Com’è possibile accordare la tensione all’ingenuità con la complessità della teoria dello straniamento, con l’esigenza di valorizzare l’intima dialetticità del dramma e come si può valorizzare l’aspirazione alla classicità che emerge dall’ultima fase della produzione di Brecht, salvaguardando, però, tutta la radicalità della sua riforma drammaturgica?


Brecht e il semplice che è difficile da realizzare Credits: https://www.exlibris20.it/lattualita-di-brecht/

 Al tentativo di sottolineare l’aspetto naïf della sua opera si accompagna, nelle riflessioni dell’ultimo Brecht, l’esigenza di dare maggiore equilibrio strutturale alla propria produzione drammaturgica. Lo testimonia, oltre alle ultime regie curate da Brecht per il Berliner Ensemble, la volontà, che traspare dagli scritti di questo periodo, di mostrare il valore non solo polemico della sua riforma drammaturgica. In questa ricerca volta a dare maggiore stabilità e concretezza scenica agli elementi più innovativi della sua riforma, Brecht si era riaccostato con crescente interesse alle riflessioni sul teatro dei classici tedeschi, che fino ad allora aveva considerato un ostacolo più che uno stimolo per un radicale rinnovamento drammaturgico. Nelle annotazioni di questi anni è possibile cogliere lo stupore quasi indispettito con cui Brecht riscopriva la profondità e l’attualità dei risultati raggiunti da quei grandi intellettuali tedeschi che tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo si erano interrogati sulla problematica che gli stava maggiormente a cuore: la relazione che doveva intercorrere tra arte drammatica e narrazione epica. La questione se fosse possibile rimettere in discussione la netta bipartizione della tradizione aristotelica tra drammatico ed epico era stata al centro del carteggio tra Schiller e Goethe ed era presente nella stessa estetica di Hegel, nel difficile equilibrio ivi ricercato tra l’adesione alla poetica classica dei generi e le nuove esigenze della rappresentazione artistica, tematizzate dalla poetica romantica. Indicativo a questo proposito è quanto Brecht annota sul suo diario di lavoro il 3.1.1948: “Schiller vede con stupefacente chiarezza la dialettica (connessione piena di contraddizioni) nel rapporto epos-dramma” [1].

In effetti Brecht, più che motivi di polemica, trovava conferma in queste eminenti riflessioni dell’importanza della questione da lui stesso presa in esame: come era possibile sottomettersi all’esigenza di una trattazione epica imposta dai contenuti del mondo moderno conservando, però, le caratteristiche fondamentali attribuite dalla tradizione al genere drammatico, cioè la sua capacità di sintetizzare, di dare rappresentazione sensibile a quei contrasti ideali che caratterizzano e vivificano le relazioni interumane.

Allo stesso modo il naïf, pur essendo una struttura rappresentativa indispensabile per conseguire la semplicità della rappresentazione, non poteva aver di mira una semplicità immediata, come hanno sostenuto diversi critici [2], ma una semplicità che per essere raggiunta richiedesse l’impiego anche dei più complessi mezzi poetici. La riduzione della complessità, come precisava Brecht, non andava infatti confusa con la indifferenziazione [Undifferenziertheit]. Brecht riteneva, infatti, “primitivo il naïf indifferenziato” [3].

Il naïf era, in effetti, strumentale alla presentazione di immagini il cui godimento fosse possibile in maniera ingenua, cioè immediata, benché essa fosse il risultato di un processo estetico molto complesso in grado di mediare elementi conoscitivi. Come ha osservato Wekwert “per questo processo di rovesciamento della scientificità in gioia immediata, della dialettica in immediato godimento, del pianificato e organizzato in immediato soddisfacimento, del lavoro in immediato autogodimento, dunque per il ritorno dell’astrazione (scienza) in immediatezza (Genuß), in cui la scientificità non scompare, ma nel senso di Hegel è superata, Brecht propone un nuovo concetto: il naïf” [4]. Come ha osservato Hans Mayer, Brecht aveva “in mente un nuovo concetto di ingenuità, che può svilupparsi in più alto grado al termine del processo conoscitivo dialettico; ingenuità come sintesi, negazione della negazione” [5]. Si trattava, in effetti, di una semplicità strutturale del tutto opposta a quella cui aspirava certo realismo del tempo che si richiamava al naturalismo ottocentesco. Solo attraverso la rigorosa selezione dei fatti compiuta dal narratore era possibile fare del passivo spettatore del naturalismo un “consumatore produttivo”. Come ricorda Ernst Fischer, tale selezione non comporta affatto una qualche astrattezza intellettualistica, quanto un massimo di concretezza [6]. Brecht riteneva, infatti, il naïf la categoria estetica più concreta.

Tutti questi elementi: l’importanza data all’aspetto naïf delle proprie opere, la ricerca dell’armonia e della semplicità delle opere classiche, la necessità di ristabilire la continuità della sua riflessione sul dramma con quella dei classici, hanno indubbiamente contribuito al giudizio generalmente negativo espresso dalla critica su quest’ultima fase della produzione di Brecht. Scarso credito fu dato alla genuinità di queste esigenze, tanto che esse sono state spesso tralasciate dagli studiosi o sono state considerate degli elementi spuri, in stridente contraddizione con la riflessione e la produzione precedente [7]. Tuttavia si tratta in massima parte di giudizi un po’ frettolosi, che sembrano dimenticare la complessità, la problematicità a tratti persino contraddittoria di quest’ultima fase di sviluppo dell’opera di Brecht. Lo stesso interesse per l’opera e la riflessione dei classici è stato spesso frainteso e considerato alla stregua di una rinuncia all’arditezza e alla radicalità della precedente ricerca, quasi che Brecht avesse inteso scendere a compromessi con le direttive culturali della Repubblica Democratica Tedesca, su cui influiva allora il clima asfittico dello zdanovismo.

Se non s’intende accontentarsi di semplicistiche soluzioni occorre risolvere in qualche modo due questioni: com’è possibile accordare la tensione all’ingenuità con la complessità della teoria dello straniamento, con l’esigenza di valorizzare l’intima dialetticità del dramma e come si può valorizzare l’aspirazione alla classicità che emerge dall’ultima parte della produzione di Brecht, salvaguardando, però, tutta la radicalità della sua riforma drammaturgica?

Nel rafforzamento della categoria dell’ingenuo Brecht aveva individuato un prezioso strumento in grado di ovviare ad alcune debolezze strutturali dell’effetto di straniamento che era alla base del suo teatro epico. Il nuovo dramma cui Brecht aspirava sarebbe dovuto nascere proprio in base alla possibilità di mediare dialetticamente il distacco scettico dal dato permesso dallo straniamento e lo sguardo naïf su quella nuova realtà, fondata proprio sulla base del distanziamento dal piano del fenomenico [8].

Come ci ricorda Manfred Wekwert Brecht aveva sviluppato quella che potrebbe essere considerata una vera e propria arte del dimenticare che gli permetteva di rapportarsi a tutto ciò che è noto, come a qualcosa di estraneo, qualcosa che conservasse intatta la sua capacità di stupire [9]. Inoltre se il naïf permetteva a Brecht di abbattere la barriera che nel teatro tradizionale divideva il palcoscenico dalla platea, l’atteggiamento critico indotto dall’effetto di straniamento nello spettatore gli impediva di confondere lo sguardo ingenuo con una presunta fruizione diretta, metafisica della rappresentazione scenica [10].

Note:

[1] Brecht, Bertolt, Arbeitsjournal, a cura di Hecht, W., Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1973, 2 voll., tr. it. di Zagari, B., Diario di Lavoro, Einaudi, Torino 1976, p. 886. Notevole è anche l’annotazione relativa al Carteggio Goethe-Schiller del 9.1.1948, cfr. ivi, p. 895.

[2] Ernst Schumacher, ad esempio, in Brecht und die deutsche Klassik ha scritto: “Brecht intendeva, semplificando, con naïf [Naivität] la considerazione non prevenuta di un argomento, la vivace originarietà della penetrazione spirituale e della comprensione sensibile” Schumacher, E., Brecht. Theater und Gesellschaft im 20. Jahrhundert, Henschelverlag, Berlin 1981, p. 265.

[3] Wekwerth, M., “Auffinden einer ästhetischen Kategorie”, in Sinn und Form, Zweites Sonderheft Bertolt Brecht, Berlin 1957, p. 260 ss., in seguito anche in Schriften. Arbeit mit Brecht, Henschel, Berlin-Ost 1973, pp. 67-76 e, in particolare, p. 74.

[4] Id., Theater und Wissenschaft, Carl Hanser Verlag, München 1974, p, 44, tr. it. di R. Ascarelli, id., Teatro e Scienza. Riflessioni per il teatro di oggi e di domani, Bulzoni, Roma 1979.

[5] Mayer, Hans, Bertolt Brecht und die Tradition, Verlag Günther Neske, Pfullingen 1961, tr.it. di Magris, C,. Brecht e la Tradizione, Einaudi, Torino 1972, p. 136.

[6] “Brecht era un grande maestro nell’escludere [Weglassen], nel rinunciare a tutto ciò che riteneva inessenziale; ma il suo metodo del Weglassen, del ridurre, dell’economia artistica non portava mai ad astrazioni, ma, al contrario, alla concentrazione del concreto, dell’oggetto che viene rappresentato nella sua forma più semplice” Fischer, E., “Das Einfache, das Schwer zu machen ist”, in Sinn und Form n. 9, Zweites Sonderheft, pp. 124-138, Berlin 1957, p. 131.

[7] Confronta, ad esempio, Hultberg, H., Die ästhetischen Anschauungen Bertolt Brechts, Munksgaard, Kopenhagen 1962.

[8] Annota sul suo diario di lavoro Brecht il 5 agosto 1950: “il riso provocato dall’effetto V: il riso su ciò che appare forestiero, sul negro, l’ippopotamo, il cittadino in campagna ecc. Gradino più alto: il sorriso sui bambini, sulle automobili antidiluviane ecc.” Brecht, B., Diario…op. cit., p. 1009.

[9] Cfr. Wekwerth, M., Schriften …, op. cit., p. 69.

[10] A questo proposito si veda: Nägele, R., Augenblicke: Eingriffe Brechts Ästhetik der Wahrnehmung, in The Other Brecht I. The Brecht Yearbook, n. 17, The International Brecht Society, University Wisconsin at Madison 1991.

04/08/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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