Perché sì, perché no

I motivi del sostegno necessario alla lista “Pace, Terra, Dignità” e della difficoltà oggettiva a dare un'espressione politica organizzata alle istanze di classe


Perché sì, perché no

Per le prossime elezioni europee è necessario sostenere la Lista “Pace, Terra, Dignità”, promossa da Michele Santoro e da Raniero La Valle, con convinzione, nonostante gli evidenti limiti dell'esperienza che pure vanno sottoposti a critica senza reticenze.

E' necessario perché, in assenza di un rilevante conflitto di classe esercitato dal basso e dai lavoratori, l'esigenza della pace è primaria per i subordinati: lo è in termini di risparmio di singole vite umane (ucraine e russe innanzitutto) e di sopravvivenza del genere umano in generale, in considerazione del rischio evidente che la guerra trascenda in conflitto nucleare.

Ma lo è anche in termini strettamente di classe, in quanto le politiche di riarmo del blocco occidentale, portate avanti supinamente dal governo italiano di estrema destra, comportano il taglio del salario indiretto dei lavoratori, ovvero, come già si vede, di pensioni, sanità pubblica, istruzione, investimenti sui trasporti pubblici, sussidi come il Reddito di cittadinanza, ecc.

Se si fosse in presenza di una forte mobilitazione popolare e della classe operaia contro queste politiche belliciste, non ci sarebbe bisogno di una lista per la pace: si porrebbe al contrario la questione di dare uno sbocco politico più avanzato alla lotta con la costruzione di un autentico partito comunista o almeno di sinistra che desse una rappresentazione parlamentare di quanto avviene sul piano sociale. Ma così non è.

Lotta di classe, perché non è così

In Italia non si sviluppa una lotta di classe degna di questo nome per ragioni oggettive, insite nella stessa struttura produttiva del paese. Un paese, come già scritto, il cui apparato produttivo consiste in quasi l'80% di piccole e medie imprese che lavorano spesso in conto terzi per la grande industria europea (tedesca) metalmeccanica, ma anche farmaceutica

La manodopera di queste imprese ha spesso un'età anagrafica elevata. E' forse un caso che la logistica sia un settore che anche in Italia esprime un relativo (e duro) conflitto di classe e registra anche una giovane classe operaia formata in gran parte da lavoratori immigrati?

Pertanto, non è solo per l'insipienza dei gruppi dirigenti della sinistra radicale e delle (troppe) sette comuniste che non si riesce a produrre una risposta politica efficace ai molti anni di politiche antipopolari portate avanti dai diversi governi di centro-sinistra e centro-destra. Piuttosto, proprio quell'insipienza, quel settarismo estremistico (o l'opportunismo di destra) si spiegano con l'assenza di lotta di classe.

L'accensione del motore della lotta dei subordinati, come è accaduto in Francia, in Spagna, in Grecia, farebbe irrompere immediatamente sulla scena della politica migliaia di persone: donne lavoratrici precarie, madri sole con figli, immigrati sfruttati in nero, addetti ai call center con “contratti di lavoro pirata”, lavoratori e braccianti agricoli, ecc. ecc.

La sola presenza di queste persone, mi riferisco alla mera presenza fisica, sconvolgerebbe il “teatrino” della politica, in primis quello della sinistra  politica: i settari sarebbero inesorabilmente indotti ad aprirsi ai bisogni politici di nuova unità dei nuovi arrivati; gli opportunisti sarebbero costretti di fatto a spostarsi su posizioni più radicali, pena l'irrilevanza.

Perché no, non ci servono i camuffamenti

L'assenza di questo grande orizzonte strategico che si aprirebbe con la lotta di classe, tuttavia, non autorizza l'apertura del “cantiere dei camuffamenti politici”. Ossia, bisogna prendere atto che la realtà del nostro paese ci consegna non solo l'assenza di un partito dei comunisti, ma anche quella di un grande partito socialdemocratico.

Non possiamo porre rimedio a questa carenza con uno sforzo soggettivistico, ovvero immaginando di poter utilizzare gli apparati che già esistono per installarvi dentro le istanze politiche dei lavoratori. Non lo possiamo, nel caso del Pd, perché questa organizzazione è strutturalmente sussunta nel campo borghese (è stata creata appositamente per questo) e la sua adesione incondizionata alle politiche di invio armi nel conflitto russo-ucraino lo evidenzia, così come la sua adesione acritica all'ideale del federalismo europeista. 

Non lo possiamo, nel caso dei 5 Stelle perché questa formazione politica piccolo-borghese (che pure è l'unica che riesce a portare avanti politiche di reale opposizione alla destra) ha una struttura politica che impedisce la partecipazione dal basso: i circoli locali si occupano esclusivamente di problematiche di quartiere, mentre la politica nazionale è di fatto delegata al gruppo parlamentare.

Dobbiamo prendere atto che in questo paese e in questo momento non vi è uno spazio politico dei subalterni.

C'è uno spazio sindacale rappresentato principalmente dalla Cgil (e da alcuni combattivi sindacati di base) che consentono una partecipazione e una espressione, seppur parziale,  delle esigenze politiche dirette dei lavoratori (si pensi alla ancora capillare rete organizzativa di massa nei luoghi di lavoro delle diverse RSU e RSA o alle esperienze degli Autoconvocati), ma non c'è un vero spazio politico organizzato che invece è totalmente occupato dalla piccola e media borghesia alla quale i subalterni hanno generalmente appaltato la sfera della rappresentazione dei propri interessi politici.

Tutto ciò è frutto di un lungo e doloroso percorso storico che ha visto la sconfitta dei lavoratori della Fiat, la sconfitta nel referendum sulla scala mobile, il crollo del cosiddetto socialismo reale, la dissoluzione del Pci, l'estinguersi delle grandi mobilitazioni per la pace e per un altro mondo possibile e il rapido dileguarsi di molteplici figure di leader più o meno carismatici (si pensi a Cofferati).

La classe operaia non può risollevarsi da tutto ciò con un semplice scrollo di spalle.

Perché sì, non possiamo rimanere passivi

L'assenza di prospettive politico-organizzative immediate, non deve significare però la passività. Come comunisti possiamo istruirci, agitarci organizzarci e possiamo farlo attraverso strumenti come l'Università popolare “Antonio Gramsci” e come questo piccolo, grande giornale che quest'anno compirà dieci anni: dieci anni di controinformazione e di cultura senza soldi, senza padrini, senza appoggi parlamentari.

Possiamo agitarci, istruirci e organizzarci praticando l'unità dei comunisti e dei subalterni in ogni occasione di conflitto dal basso (vertenze sindacali, autoconvocazione dei lavoratori, lotte ambientali, studentesche, di genere).

Possiamo farlo cercando di preservare ogni seppur parziale esperienza politica unitaria

Possiamo farlo praticando ogni opzione politica e anche elettorale che possa apparire come favorevole alla rappresentazione delle esigenze dei lavoratori. In questo caso, la lista “Pace, Terra, Dignità”.



05/04/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Stefano Paterna

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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