L’Unione Europea al bivio tra guerra e pace

L’Ucraina, nonostante i notevoli sforzi economici e militari occidentali, sembra essere sul procinto di perdere la guerra con la Russia. Ciò spinge verso un ingresso diretto della UE nel conflitto. Per questo alle imminenti elezioni europee è necessario l’affermarsi di un segnale di pace. 


L’Unione Europea al bivio tra guerra e pace

La guerra alla Russia combattuta da Stati Uniti, UE e loro alleati sembra sul punto di essere persa dalle potenze imperialiste occidentali. Subito dopo l’ingresso delle truppe russe in Ucraina fu scatenata una guerra economica che avrebbe dovuto minare la prosperità della Russia, portando alla caduta del governo di Vladmir Putin e, successivamente, alla disgregazione della Federazione Russa. Due anni dopo la Russia vive una situazione economica più favorevole della UE e Putin è stato rieletto con una percentuale bulgara, prossima all’87,5% dei voti validi sul 74% degli aventi diritto al voto. L’Occidente ha accusato Putin di brogli, non riconoscendo sostanzialmente il risultato. Sarà un po’ difficile in futuro trattare con un presidente che non si è di fatto riconosciuto. Ancora meno valido come interlocutore è Zelensky per la Russia: permane, infatti, il suo decreto di non negoziabilità con la Russia finché Putin ne è il presidente e, dal primo aprile, risulta essere un presidente illegittimo, essendo scaduto il suo mandato, con un’opposizione fuorilegge e un rinvio sine die del voto fino alla fine del conflitto.

La controffensiva ucraina “di primavera”, avvenuta nell’estate-autunno del 2023, che avrebbe dovuto tagliare le comunicazioni tra Donbass e Crimea, arrivando fino al Mar d’Azov, è fallita, trasformandosi nei fatti in una lenta, ma inesorabile, avanzata russa. Sono caduti bastioni importanti della linea difensiva ucraina, come Artemovsk, a maggio 2023, e Andiivka, a febbraio di quest’anno, causando innumerevoli vittime tra l’esercito ucraino. Si stima che solo nel 2024 siano morti circa 80000 militari ucraini, nonostante Zelensky sostenga che in tutto il conflitto l’Ucraina abbia perso il numero inverosimile di 70000 uomini, in contraddizione con i numeri forniti dai suoi stessi alleati. L’avanzata russa procede a rilento, perché la Russia, che ha in mano le redini del gioco, non ha interesse a trasformare questo conflitto da una guerra di logoramento ad una di movimento. I “tritacarne” di Artemovsk e Andiivka hanno permesso di decimare l’esercito ucraino, le attrezzature sovietiche e quelle occidentali. La Russia non perde la pazienza nel logorare l’avversario, nonostante le provocazioni ucraine sul territorio russo, con attacchi agli oblast confinanti, in Crimea e nelle regioni di Mosca e San Pietroburgo. A questi si aggiungono i diversi atti di terrorismo organizzati dal governo di Kiev sul territorio russo, tanto da rendere per la Russia l’Ucraina il primo sospettato per l’ultimo sanguinoso attentato, con oltre 100 morti, al Crocus City Hall.

La Russia non solo sta smilitarizzando l’Ucraina, uno degli obiettivi dichiarati della sua campagna militare, ma sta anche procedendo a una progressiva smilitarizzazione dei paesi europei facenti parte della Nato, di conseguenza non ha interesse a cambiare la tattica militare nel breve e medio periodo. Il logoramento militare è evidente, l’esercito ucraino ha subito perdite spaventose di attrezzature militari e di uomini, tanto che, nonostante il continuo susseguirsi di nuove mobilitazioni, ha sempre più la necessità di ricorrere a mezzi occidentali e a truppe dei paesi Nato. Non a caso Macron ha esternato la necessità di inviare truppe francesi in Ucraina per evitare la vittoria russa. Vittoria sempre più temuta dall’Occidente, avendo sempre più alzato la posta in gioco  e speso ingenti risorse nel sostenere economicamente e militarmente il governo di Kiev.

L’Occidente sembra privo di una strategia di uscita, ma anche un maggiore coinvolgimento nel conflitto appare difficile, nonostante non manchino evidenti provocazioni verso l’escalation. Tali sono da ritenere le recenti dichiarazioni di Macron, la consegna degli F-16 e di nuovi armamenti a lungo raggio, come i missili Taurus tedeschi, o la volontà della Polonia di abbattere mediante gli aerei della Nato i missili russi, rei di “essere entrati” in territorio polacco. 

Da una parte, gli Stati Uniti sono impegnati in un acceso confronto elettorale tra Repubblicani e Democratici, che sta avendo ripercussioni sugli stanziamenti economici per l’Ucraina, in quanto i fondi necessari per Kiev sono bloccati dall’ostruzionismo dei Repubblicani che vogliono vincolarli a concessioni a loro favore per poi giocarsele nelle elezioni presidenziali di novembre. Tutto ciò sullo sfondo di un sempre più acceso confronto con la Cina, la potenza che gli Stati Uniti percepiscono come il loro principale competitore economico e, in futuro, militare. L’aumento della tensione con la Cina conduce a un progressivo disimpegno degli Stati Uniti dal conflitto ucraino, che sarà appaltato agli alleati europei. Dall’altra parte gli europei, nonostante i proclami bellicosi, sembrano consapevoli di non poter fronteggiare da soli la Russia, almeno fino a non aver aggiornato i loro eserciti, mediante una nuova coscrizione di massa e la produzione di nuovi armamenti. In questo senso vanno lette le dichiarazioni del ministro Crosetto di constatazione dell’insufficienza delle quantità di munizioni di artiglieria prodotte rispetto a quelle russe e della necessità di riconvertire in produzione militare parte dell’apparato industriale, in evidente crisi, come evidenziato dalla recessione della Germania, locomotiva della UE.

Gli europei potrebbero necessitare di un congelamento delle ostilità per rendersi più pronti in futuro ad un confronto militare con la Russia, un po’ come fu la logica, per ammissione degli stessi Hollande e Merkel, degli accordi di Minsk per l’Ucraina. In quest’ottica l’attentato del Crocus City Hall, qualora emergesse una paternità ucraina, potrebbe essere letto come un modo di sbarazzarsi del sempre più ingombrante Zelensky per sostituirlo con qualcun altro, sempre filo-occidentale, ma in grado di stipulare la necessaria tregua; tuttavia difficilmente la Russia accetterebbe una tregua che non prendesse in considerazione come base di partenza gli avanzamenti territoriali e le proprie richieste di sicurezza, davanti alla sempre maggiore espansione della Nato. La paura di essere scaricato dall’Occidente spiegherebbe anche i licenziamenti, i rimpasti e i trasferimenti forzati all’estero, come ambasciatori, voluti da Zelensky per i possibili rivali.

La guerra procede anche sul piano economico con il possibile utilizzo da parte dell’UE degli asset sovrani russi congelati per supportare economicamente e militarmente l’Ucraina, sempre più in evidente difficoltà a saldare i debiti con gli sponsor occidentali, che non hanno investito tanto nel conflitto per poi perdere tutto. Questo passo potrebbe però, oltre a determinare misure speculari da parte di Mosca sugli asset europei in Russia, ulteriormente minare l’affidabilità dell’euro come valuta internazionale, determinando, nel breve e medio termine, un ritiro degli investimenti internazionali dai fondi sovrani dei paesi UE e un concomitante ulteriore aumento del tasso di interesse della BCE per scongiurare questa ipotesi. Tanto che anche autorevoli personalità del sistema bancario europeo, come il vice presidente della BCE Luis de Guindos, si sono pronunciate contro questo utilizzo evidenziandone i rischi di perdita di credibilità. Questo in un quadro di crisi economica, che sempre di più affligge il vecchio continente, di progressiva decadenza occidentale nell’apporto al PIL mondiale e di potenziale sviluppo di un sistema alternativo finanziario incentrato sui paesi BRICS.

La posta in gioco sempre maggiore, i maldestri toni e le azioni bellicose potrebbero però determinare un inasprimento del conflitto, con un suo allargamento, anche se non voluto, ai paesi UE. Per questo è necessario alle prossime elezioni europee di giugno l’affermarsi di un segnale di pace, mediante l’ingresso nel parlamento europeo di quelle forze sinceramente pacifiste, come la “Lista per la pace” promossa da Santoro e altri intellettuali italiani. L’importanza di questo segnale, in questa fase, dovrebbe far mettere da parte quelle riserve che non mancano, per via dei profondi limiti di questa lista elettorale, a partire dall’elettoralismo e dall’assenza di un radicamento sociale. L’affermarsi sempre più evidente di forze reazionarie e bonapartiste in UE, unito alla crisi economica e alla necessità di convogliare verso l’esterno il malcontento interno, potrebbe determinare ulteriori passi, non reversibili, verso un maggiore aggravamento del quadro internazionale e nazionale. Tutto questo in assenza di una forza rivoluzionaria in grado di trasformare la barbarie imperialista in un processo rivoluzionario che determini un avanzamento per l’intera umanità. Il fosco quadro ucraino è inoltre ulteriormente aggravato dalle azioni israeliane che, come l’attacco al consolato iraniano a Damasco, spingono verso un allargamento del conflitto israeliano-palestinese ad altri attori che fino ad oggi hanno fatto sforzi notevoli per rimanerne fuori.

05/04/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Marco Beccari

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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