Le elezioni politiche del 25 settembre scaturiscono da una fase d’imbarbarimento e d’involuzione autoritaria nelle istituzioni italiane ed europee causata da un inasprimento della vocazione imperialistica dell’Occidente che ha tentato di ridurre ogni spazio di critica alle politiche razziste e suprematiste portate avanti dall’Italia nella guerra in Ucraina e della scelte ordoliberiste in ambito di politica economica. Se nella gestione del Covid e dei prestiti del Recovery Fund Confindustria ha esercitato la parte del leone nella distribuzione dei fondi, nell’ambito del conflitto ucraino abbiamo assistito a un discorso martellante sulla necessità di armare l’oligarchia nazistoide al potere in Ucraina a tutto vantaggio degli Usa e della Nato. Nonostante i consistenti interessi dell’economia italiana verso la Russia, Mario Draghi è stato l’alfiere europeo, il più deciso e accanito sostenitore delle politiche Nato e con lui il Pd, Fratelli d’Italia e in misura più defilata tutte le altre forze di governo.
Come è tipico nei governi tecnici sostenuti dai banchieri, il potere è stato del tutto esautorato da quel minimo di parvenza democratica che hanno i parlamenti borghesi, si è proceduto con il pilota automatico, con un sistema mediatico che, senza entrare minimamente nel merito delle questioni, non ha fatto altro che osannare un governo costruito con congiure di palazzo e con un meccanismo di fortissima pressione preparata dai media e dai poteri forti del paese che mal avevano digerito anche una critica minima, confusa ma potenzialmente antioligarchica che era stata rappresentata dal Movimento 5 Stelle. Incapace di costruire un blocco sociale in grado di reggere l’attacco dell’oligarchia finanziaria e confindustriale, il movimento è stato vittima delle sue stesse illusioni parlamentariste, ovvero l’idea di rappresentare il punto di vista del popolo contro le elitè in chiave solo parlamentare: il gruppo parlamentare è stato in parte cooptato dalle elitè economiche (vedi Di Maio ecc.) in parte si è scisso tra una componente di destra e una di sinistra e, per un lungo periodo di tempo ha appoggiato un governo (Draghi) che ha lavorato alacremente a snaturare quelle poche riforme che il Movimento 5 Stelle era riuscito a realizzare. Nonostante ciò il carattere populista e antioligarchico del Movimento 5 Stelle ha rappresentato un elemento di frizione per la classe dominante italiana, tutta concentrata nell’accaparrarsi i fondi del Pnr in un’ottica di rapina e a gestire il potere in forma diretta, senza alcuna mediazione della politica.
Per questa ragione, a nostro avviso, la cultura piccolo-borghese e populista del 5 stelle ha rappresentato un elemento fuori controllo, una variabile non sempre controllabile dalla classe dominante ed è stata così ferocemente contrastata e annichilita dai media. La figura di Draghi ha rappresentato la rivincita di questo capitalismo predatorio e parassitario, feroce sia con i lavoratori che con la piccola borghesia in crisi.
Durante questi anni una parte della piccola borghesia, di fronte al proprio pericolo d’estinzione, ha cominciato a organizzarsi, è scesa in piazza soprattutto durante il lockdown – prima contro le chiusure, poi contro il green pass trascinando con sé una parte di lavoratori. Il fenomeno ha dato vita a una sorta di scetticismo generale, di rifiuto di ogni informazione che veniva prodotta dall’informazione mainstream, in una logica tutta negativa e antisistema colorita da fantasie complottiste e disegni utopistici di rigenerazione nazionale. Il cuore di questa ideologia – che spesso contiene anche ottimi lavori di destrutturazione dell’informazione, come per esempio sulla guerra – si basa sull’assunto liberale della libertà individuale, sul recupero di una dignità nazionale di stampo corporativo e sul contrasto alle élite globaliste fautrici di questa dissoluzione. È evidente come in questo ragionamento, pur essendoci elementi condivisibili – la critica alla Nato e all’Unione Europea – il punto di vista piccolo-borghese, incapace di un vero universalismo, risulta egemone, per cui in una notte indistinta in cui tutte le vacche sono nere troviamo un generico antimperialismo di facciata che riesce a convivere con il razzismo e i valori della tradizione clericale.
La classe lavoratrice dovrebbe essere in grado di guidare queste componenti pauperizzate, riconoscendone le esigenze ma rendendole subalterne agli interessi dei lavoratori; tuttavia, anche le formazioni della sinistra di classe sono state vittime dell’individualismo dilagante nel nostro paese, incapaci di dirimere le loro differenze ideologiche e politiche, spesso hanno lavorato in un'ottica autoreferenziale, inebriate dal leaderismo, dalla rappresentazione di sé come guida, non pensando al vuoto che questa frammentazione produceva nei lavoratori che, infatti, hanno preferito tutelare i loro interessi o dai partiti riformisti o, data la crisi di questi ultimi, dal M5S.
Con la caduta del governo Draghi, tuttavia, uno spazio per l’organizzazione dei lavoratori, si è cominciato ad aprire. Il Partito Democratico, nel perseguire l’agenda Draghi, sta dimostrando di accelerare la sua vocazione padronale senza alcuna mediazione, la scelta iperbellicista in Ucraina e l’agenda Draghi in economia segnano chiaramente, agli occhi di milioni di lavoratori, che questo partito si schiera a spada tratta con la borghesia più parassitaria e filoatlantista che vuole imporre coercitivamente il suo potere in Italia. La sua collocazione in ambito internazionale e sulle politiche economiche si distingue sempre meno dalla destra reazionaria di Meloni e Salvini.
Rispetto allo spazio che si apre siamo oggettivamente impreparati: non sappiamo rispondere con apertura alla richiesta di rappresentanza che milioni di lavoratori e democratici sinceramente progressisti auspicano. L’unico progetto credibile, a nostro parere è l’Unione Popolare costruita da DeMa, Rifondazione Comunista, Pap e dalle fuoriuscite a sinistra del Movimento 5 Stelle che hanno dato origine al gruppo ManifestA. Dati i tempi tardivi e lo spirito ferocemente antidemocratico che contraddistingue la vita politica italiana in questa fase, non possiamo non riconoscere i limiti organizzativi e democratici di quest’organizzazione, e tuttavia riteniamo che rappresenti un importantissimo elemento di aggregazione a sinistra che può ridestare fiducia e rappresentanza alle classi popolari e in modo particolare ai lavoratori di questo paese. Riconosciamo anche l’abilità di De Magistris e Ferrero di aprire anche al movimento 5 Stelle di Conte con lo scopo di strutturare un fronte politico che ambisca a rappresentare – anche se nell’ottica della coalizione e con posizioni diverse – gli interessi di larghissimi strati della popolazione che sono stati totalmente marginalizzati dalla vita politica in Italia. È evidente che noi non condividiamo buona parte delle posizioni politiche, in particolare dei 5 Stelle (e in modo più marcato sulla guerra della Nato in Ucraina) e stiamo vedendo che è lo stesso movimento a non voler condividere un programma con la sinistra di classe, ma l’approccio è giusto, l’allargamento è fondamentale per uscire dal ruolo di testimonianza e marginalismo in cui sono state collocate le forze genuinamente progressiste ed è anche segno di consapevolezza dei rapporti di forza in campo.
Per noi Unione Popolare non è un partito ma un aggregato eterogeneo di forze da cui potrebbe svilupparsi una sinistra autonoma dai diktat dell’imperialismo e capace di sviluppare consenso e conflitto. Non ci facciamo neanche illusioni, senza conflitto sociale, senza la spinta spontanea dei movimenti dei lavoratori e del riprendere del conflitto sociale non c’è progetto politico che tenga, ma è anche vero che per molti settori sociali l’esistenza di una rappresentanza politica genera speranza, aiuta il conflitto a svilupparsi. Non sappiamo se accadrà questo, non sappiamo se Unione Popolare sarà in grado, in futuro, di uscire dalla logica verticistica determinata dalla fase storica e dalla ristrettezza dei tempi. Siamo pienamente consapevoli dell’involuzione autoritaria che coinvolge tutti i settori della società e che è stata accelerata dalle politiche di Draghi e dalla vergognosa legge sulla raccolta delle firme in tempi brevissimi e modalità discutibili, però sappiamo che bisogna sostenere chi ha l’ambizione di occupare quello spazio di sinistra in difesa dei lavoratori e delle istanze antibelliciste presenti in vastissimi settori della società.
Per questa ragione, pur consapevoli di tutti i limiti – che sono anche i nostri – sosterremo il progetto di Unione Popolare.