Il giovane Hegel critico del cristianesimo

Il cristianesimo, secondo Hegel, è strutturalmente inefficace a fungere da religione popolare per un’umanità che si è liberata dalle catene del dispotismo e pretende di autodeterminare il proprio agire, di riorganizzare razionalmente le proprie istituzioni, perché la vita cristiana rinvia a una dimensione trascendente, che porta a non farsi carico del mondo intramondano e a lasciarlo dominare dalla tradizione. 


Il giovane Hegel critico del cristianesimo

In alcuni passaggi degli scritti giovanili hegeliani, il concetto acquista un’accezione non più meramente trascendentale, ma in grado di fare i conti con lo spirito oggettivo e, dunque, con la filosofia della storia. Hegel muove dall’inadeguatezza del cristianesimo a continuare a svolgere la sua funzione fondamentale, a essere conforme al fine che ha attribuito alla religione: il rafforzamento dell’eticità popolare. Spesso in modo contraddittorio con diversi altri luoghi degli stessi manoscritti, egli arriva a criticare la stessa religione soggettiva predicata da Gesù, cogliendone – al di là della concezione kantiana e a partire dal fondamento concettuale del Volksgeist (spirito del popolo) – i limiti che la rendono scarsamente funzionale al progetto di una nuova religione popolare [1]. Hegel, in altri termini, pur riconoscendo al cristianesimo una certa conformità alla ragione morale, dovuta al suo essere sorto come religione soggettiva, ne individua gli elementi negativi non tanto nella positività – che diviene preminente nel momento in cui da credenza privata si trasforma in pubblica – ma nella sua scarsa utilizzabilità come religione nazionale tedesca: “essa non si è curata della fantasia come invece accade presso i greci; è triste e malinconica, orientale; non cresciuta sul nostro suolo, non vi si può mai assimilare” [2]. Lo slittamento di interesse dalla religione soggettiva a quella popolare porta con sé il tendenziale superamento della moralità da parte della Sittlichkeit [eticità], che implica il recupero di problematiche proprie dell’illuminismo, apparentemente perdute nella filosofia trascendentale. A questo proposito, di grande rilievo è stata certamente l’influenza herderiana, il cui magistero non comporta tuttavia la perdita della priorità assegnata ai diritti dell’uomo e del cittadino, fondati sull’universalismo kantiano [3]. La concezione hegeliana del progresso storico assume sin da ora connotati dialettici, in cui convergono sviluppo sul piano universale della ragione e sviluppo fenomenico dei costumi.

Il cristianesimo è strutturalmente inefficace a fungere da religione popolare per un’umanità che si è liberata dalle catene del dispotismo e pretende di autodeterminare il proprio agire, di riorganizzare razionalmente le proprie istituzioni, perché la vita cristiana rinvia a una dimensione trascendente, che porta a non farsi carico del mondo intramondano [4] e a lasciarlo dominare dalla tradizione. “Tutta la vita del cristiano – scrive Hegel – deve essere una preparazione a questo cambiamento; a ciò sono indirizzati i suoi desideri, la famigliarità quotidiana con le immagini della morte e le speranze dell’altra vita, di fronte a cui i godimenti e le gioie di questo mondo, al quale egli non è attaccato prendendovi una debole parte come un estraneo, non meritano alcuna attenzione” [5]. All’“essere per il cadavere» del cristianesimo, che rinchiude l’uomo in una dimensione esistenziale, impedendogli di assurgere alla coscienza generica indispensabile all’agire politico, si contrappone allora l’“essere per la vita” del mondo greco [6]. 

A ciò si connette la violenta critica alla precettistica protestante, fondata sul principio agostiniano, poi radicalizzato da Lutero, del male radicale [7], che avrebbe provocato il deperire delle coscienze. “Si fecero di questi stati d’animo – scrive Hegel – come se fossero gli stessi in tutti gli uomini, descrizioni psicologiche dettagliate, che furono del resto artificiosamente incasellate in una ridicola esegesi completamente priva di conoscenze intorno all’uomo, non secondo una reale conoscenza del cuore umano, ma secondo pregiudizi teologici inerenti ad un’innata corruzione della natura umana” [8]. Si tratta, dunque, di opporsi a una concezione della religione che tende a indebolire la coscienza di sé dell’uomo, facendolo dubitare della possibilità di autodeterminare le proprie azioni, di uscire dallo stato di minorità. In questa prospettiva la figura del Cristo, lungi dal costituire il superamento della lacerazione tra uomo e Dio, contribuisce ad ampliarla, in quanto solo alla sua natura divina, sovrasensibile è attribuita la possibilità di muoversi secondo i dettami della morale razionale: “ahimé! Ci hanno convinto che queste facoltà sono a noi estranee, che l’uomo rientra solo nella serie degli esseri naturali, e dei più corrotti; l’idea della santità è stata del tutto isolata ed attribuita solo ad un essere remoto, e si è ritenuto che essa non possa associarsi alla limitazione dipendente da una natura sensibile (…). Questa umiliazione della natura umana non ci permette dunque di riconoscerci in uomini virtuosi. Per tale ideale, che per noi sarebbe l’immagine della virtù, vi è stato bisogno di un Uomo-Dio” [9].

Note:

[1] Anche in questo caso non si tratta ancora di un consapevole superamento della prospettiva trascendentale in direzione della filosofia della storia. A passi che sembrano indicare in questa direzione, si affiancano luoghi in cui Hegel sembra attenersi a una posizione illuminista pre-kantiana, non ancora in grado di riconoscere il rilievo del dualismo tra piano meramente storico e piano trascendentale, ovvero tra esistente e razionale, sia al livello storico-sociale, sia della sua teorizzazione filosofica.

[2] Hegel, Georg Wilhelm Friedrich, Gesammelte Werke, In Verbindung mit der Deutschen Forschungsgemeinschaft, a cura della Rheinisch-Westfälischen Akademie der Wissenschaften, Hamburg, Meiner dal 1968, vol. I, p. 140; id., Scritti giovanili I, tr. it. di Mirri, E., Guida, Napoli 1993, p. 231.

[3] Nonostante il rilevante influsso dell’opera di Herder sul concetto hegeliano di Geist [spirito], nel suo sviluppo non si ritrova traccia delle tendenze nazionali ed etniche, che il protoromanticismo contrapponeva all’universalismo illuminista. In Hegel l’attenzione per la nazione e lo spirito del popolo sono indissociabili dall’universalismo.

[4] A questo proposito Hegel riprende l’opposizione tra i discepoli di Cristo e quelli di Socrate: “perciò vi furono sì dei socratici, ma mai nessuna consorteria che, come i muratori, fosse da dividere in martelli e cazzuole. Ognuno dei suoi scolari fu maestro per sé. Molti fondarono proprie scuole, e i più furono grandi generali, uomini di stato, eroi di ogni genere, non di un medesimo stampo, ciascuno in un proprio ramo, eroi non del martirio e nella sofferenza, ma nel commercio e nella vita” ivi, p. 119; p. 205. Da questo passo emerge anche il richiamo allo spirito democratico di Rousseau, l’attenzione rivolta alle masse popolari in evidente contrapposizione con il dispotismo illuminato della massoneria. Proprio con riferimento al magistero di Rousseau, ha osservato Finelli, che la religione cristiana: “con il suo spirito di umiltà sollecita a rispettare ad ogni modo l’autorità costituita, a non rivoltarsi contro chi usurpa il potere, ponendo come scopo essenziale della vita di un cristiano la beatitudine ultraterrena e certo non la questione della libertà o schiavitù di un popolo o dei suoi cittadini” Finelli, Roberto, Mito e critica delle forme. La giovinezza di Hegel (1770-1801), Roma, Editori Riuniti 1996, p. 79.

[5] Hegel, G.W.F., Gesammelte…, op. cit. vol. I, p. 136; Scritti…, cit., p. 225.

[6] Scrive Hegel: “come sono diverse le immagini che della morte si tramandano nella fantasia del nostro popolo ed in quello dei greci! Presso di questi un genio bello, il fratello del sonno, eternato nei monumenti funebri; da noi invece lo scheletro, il cui orrendo cranio fa mostra di sé su tutte le casse da morto” ivi, p. 137; pp. 226-27.

[7] Anche in questi anni di Berna Hegel sembra preferire la concezione rousseauiana e la critica illuminista di Herder, Goethe e Schiller alla concezione kantiana del male radicale, che sembrava negare la stessa definizione kantiana dell’illuminismo come uscita dallo stato di minorità dell’uomo, in cui si trova per sua stessa colpa. Solo in seguito a una più profonda comprensione di questa tematica centrale nella riflessione di Kant, Hegel potrà giungere ad una più profonda comprensione della filosofia della storia, che lo condurrà a relativizzare il mito greco delle origini. Va, infine, osservato come Kant stesso rigetti ogni semplificazione della sua teoria del male radicale volta a sancire un’antropologia negativa o una concezione decadente della filosofia della storia: “che il mondo si trovi in una condizione di male è un lamento vecchio quanto la storia, vecchio anche quanto la poesia, più vecchia della storia, vecchio anzi quanto la più vecchia di tutte le leggende poetiche, la religione dei preti” Kant, Immanuel, La religione entro i limiti della sola ragione [1793], tr. it. di Poggi A., riveduta da Olivetti M., Laterza, Bari 1995, p. 17.

[8] Hegel, G.W.F., Gesammelte…, op. cit. vol. I, p. 132; Scritti…, cit., p. 220. Nel rifiuto hegeliano della “naturalità” della corruzione umana si fa ancora sentire l’influenza di Rousseau: “Il principio della corruzione non solo degli uomini, ma anche della natura umana, è contraddetto dall’esperienza colà dove l’umanità non è stata umiliata da cattivi governi” ivi, p. 156; p. 250. Come osserva Finelli: “e la prova a contrario che il male, anziché nell’interiorità degli uomini, stia nell’esteriorità dei poteri e delle fedi che li governano, quand’essi siano autoritari e dogmatici – ossia nasca dalla storia e non dalla natura umana – è data, nello Hegel dei testi di Tubinga e di Berna, dalla testimonianza di un popolo, come quello greco, che dall’infanzia della storia dell’umanità ha goduto di forme di vita e di pensiero che hanno garantito ai suoi membri comunione, senza scissure, con la natura e armonia di reciproca partecipazione e libertà” Finelli R., Mito e critica… op. cit., p. 80.

[9] Hegel, G.W.F., Gesammelte…, op. cit. vol. I, p. 160; Scritti…, cit., p. 255.

19/04/2024 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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L'Autore

Renato Caputo

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

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