Questione sociale e questione nazionale nel quadro dei mutamenti internazionali

Le classi dirigenti a livello mondiale scaricano la loro crisi sulle spalle dei popoli del Terzo mondo e delle classi popolari dei Paesi a capitalismo avanzato. In Italia in particolare l’analisi delle cause della frammentazione sindacale e politica della classe lavoratrice potrebbe aprire potenzialmente scenari inediti.


Questione sociale e questione nazionale nel quadro dei mutamenti internazionali Credits: https://www.africarivista.it/in-crescita-i-lavoratori-agricoli-africani-in-italia/216137/

Nel corso degli ultimi due anni, dall’entrata in guerra della Federazione Russa in Ucraina, le dinamiche dei rapporti economici mondiali e la politica internazionale hanno subito una brusca accelerazione, indubbiamente la più significativa mai avvenuta dagli anni ‘90 ad oggi. Si tratta di tendenze già in atto, almeno dal primo decennio del XXI secolo, periodo in cui Cina, Russia, Iran ed altri Paesi hanno cominciato a cercare delle soluzioni possibili al signoraggio del Dollaro, ovvero a quella forma di monopolio della moneta statunitense sugli scambi internazionali – in particolare sulle materie prime – che è alla base dello strapotere della finanza su tutta l’economia mondiale e dell’egemonia statunitense nella politica internazionale.

Dall’inizio della guerra in Ucraina, gli Usa, insieme ai suoi alleati occidentali, hanno usato lo strumento della moneta tentando di isolare la Russia, escludendola dal sistema d’interconnessione bancaria Swift, sperando così di utilizzare la leva monetaria con lo scopo dichiarato d’impedirne ogni forma d’approvvigionamento dei prodotti. In sostanza una forma d’embargo, assimilabile a quelle esercitate nei confronti di Cuba, Iran, Iraq, Venezuela, etc. sebbene il tentativo non sia completamente riuscito, data la richiesta incessante di materie prime da parte di molti Paesi in cui la crescita industriale è costante – India in primis, Cina ma anche molti paesi asiatici ed africani. Pertanto, al di là dei sistemi politici e delle forme di governo, molti Stati asiatici ed africani hanno deciso, a partire dai loro interessi, di non seguire l’occidente in questa nuova “guerra di civiltà” compiuta con lo scopo di conservare lo status quo degli ultimi 30 anni, restaurandolo con la forza attraverso l’uso incessante della guerra.

Utilizzando la leva del blocco degli scambi commerciali, nonché dell’embargo forzato sui prodotti petroliferi russi, l’Unione Europea e gli USA hanno accelerato, di fatto, una politica economica di stampo protezionistico nei confronti della Russia (ma tendenzialmente anche verso la Cina, soprattutto gli USA) che è alla base dei crescenti aumenti dei prezzi in tutto l’occidente ed in modo particolare in Europa. La crescita esponenziale dell’inflazione ha preso le mosse dai settori energetici ma poi si è estesa su tutte quelle merci per cui è più alto il livello di concentrazione dei capitali ed è possibile aumentare i prezzi scaricando la crisi principalmente sui settori popolari, in primis i lavoratori dipendenti. A ciò va aggiunto l’elevato livello di concentrazione anche nel campo della distribuzione – soprattutto nel settore alimentare – tale per cui il livello d’inflazione è più alto per quei prodotti di largo consumo in cui ad essere maggiormente colpite sono proprio le classi popolari.

A tutto ciò va aggiunta la politica monetaria della Federal Reserve americana che, aumentando i tassi d’interesse, ha prodotto una reazione a catena anche sulla BCE la quale, volendo evitare la fuga dei capitali verso gli USA, ha seguito gli USA nell’innalzamento dei tassi. Tutto ciò significa un vantaggio per i creditori ed una perdita netta per i debitori, quindi l’aumento esponenziale dei mutui perché il denaro costa di più ed un potenziale pericolo d’incremento dell’inflazione determinata dall’incremento dei profitti e della rendita sul lavoro.

Sono queste le cause di fondo che hanno determinato l’impoverimento della classe lavoratrice e la conseguente tenuta dei profitti in quest’ultimo anno, se non addirittura la loro crescita esponenziale – come nel caso del settore petrolifero o bancario. E’ sempre per questa ragione che la grande borghesia italiana ha condiviso completamente le politiche protezionistiche, razziste e guerrafondaie dell’Occidente a guida USA.

Se la classe dirigente degli Stati Uniti con la politica protezionista ha in parte scaricato la sua crisi verso gli Stati Europei, le classi dirigenti di questi Stati l’hanno scaricata completamente sulle spalle dei lavoratori dipendenti, tutelando profitti e rendite dall’erosione del potere d’acquisto della moneta determinato dall’inflazione. Anche gli USA hanno fatto la stessa cosa sulla pelle delle loro classi popolari, innescando la crescita esclusivamente sull’indebitamento delle classi popolari.

L’intera politica oligarchica attuata verso i popoli del Terzo mondo, ma anche verso le classi popolari nei Paesi occidentali, viene celata dietro il paradigma ideologico della superiorità della democrazia occidentale che nasconde quest’immenso processo di rapina verso i più poveri con la necessità di difendere una civiltà che si è sempre proclamata (e lo fa ancora oggi in maniera sempre più goffa, maldestra e spregiudicata) come una civiltà superiore.

Se il paradigma utilizzato in tutte le cosiddette “democrazie occidentali” è quello di impiantare l’intera economia sul protezionismo e sulla guerra, tentando in maniera irrazionalistica di riportare indietro le lancette della Storia, le condizioni dei lavoratori, la lotta per la difesa del salario da questa gigantesca azione di rapina non è la stessa in tutti i Paesi.

Mentre in Francia, in Germania ed in parte anche in Spagna, la presenza di forze di sinistra organizzate e di un movimento sindacale che è in grado di esercitare una forza sui contratti hanno determinato degli incrementi salariali che hanno fatto recuperare ai lavoratori una parte della quota di ricchezza estorta con l’inflazione, in Italia il movimento dei lavoratori sembra anestetizzato, schiacciato da una percezione dell’impossibilità di modificare i rapporti sociali esistenti. Se è vero che la rabbia, l’insoddisfazione verso le politiche antipopolari dei governi Draghi e Meloni è progressivamente crescente, le classi subalterne manifestano una difficoltà enorme a tradurre quest’insoddisfazione in progetto politico e sindacale concreto, ovverosia in un’azione efficace che delinei in un orizzonte di senso l’azione conflittuale, la possibilità di esercitare un’azione che inverta i rapporti di forza o, per lo meno che riduca l’attacco feroce che la parte di popolazione più ricca esercita sfacciatamente ed impunemente su quella più povera.

La radice di questa debolezza sia politica che sindacale va ricercata, a mio avviso, su due ragioni di fondo, che, magari possiamo sviluppare ulteriormente in successive analisi. La prima è legata al processo di scomposizione, frammentazione e segmentazione che le politiche ordoliberiste hanno compiuto in questi ultimi trent’anni sull’intera classe lavoratrice e che, dal punto di vista politico-istituzionale, corrispondono all’entrata dell’Italia nell’Unione Europea. La frammentazione si è estesa in tutti i campi, compreso quello politico, disintegrando completamente i corpi intermedi politico-sindacali all’interno dei quali la rappresentanza degli interessi trovava una collocazione. Una parte delle burocrazie sindacali si è identificata con le forze politiche che portavano avanti questo progetto ed ha cercato di contenere l’attacco attraverso un rapporto privilegiato con le forze istituzionali per garantire a sé un ruolo di concertazione minima da presentare ai lavoratori. L’assenza di forze politiche significative anticapitaliste ha accelerato questa tendenza sindacale poiché gli interessi delle classi lavoratrici, non trovando una rappresentanza, vengono semplicemente eliminati dall’agenda politica e, sostanzialmente cancellati.

La seconda ragione di questa crisi va ricercata nella debolezza intrinseca al capitalismo italiano rispetto a paesi più sviluppati come la Francia e la Germania. Il carattere parassitario, arretrato, nanistico della borghesia italiana ha utilizzato la compressione dei salari in maniera molto più netta, decisa e radicale di quanto non sia avvenuto in Francia ed in Germania. In nessun Paese europeo i contratti sono stati demoliti come è avvenuto in Italia, la riforma delle pensioni è stata fatta, con la passività della classe lavoratrice, sotto la scure ed il terrore innescato col pericolo del debito pubblico. Il taglio drastico delle risorse per la sanità pubblica è avvenuto in una modalità feroce come non è avvenuto in Francia ed in Germania. Lo stesso dicasi per le riforme sulla scuola e sulla sanità. Le ricette sono le stesse in tutti i paesi ma nessun paese ha demolito gli investimenti sulla ricerca come lo ha fatto l’Italia.

Nonostante ciò, le classi popolari italiane, manifestano, seppur in modo embrionale e confuso, un malessere, un disagio, che per certi aspetti potrebbe manifestare dei tratti di maggiore radicalità che in altri Paesi d’Europa. Essendo l’anello debole dei Paesi occidentali, la classe lavoratrice italiana – ma anche una parte della piccola borghesia – è più sensibile alle ingiustizie ed alle contraddizioni determinate dalle politiche razziste e suprematiste delle democrazie occidentali. Se già una parte della popolazione era fortemente contraria all’invio delle armi in Ucraina – una parte di gran lunga superiore ad altri paesi d’Europa – con l’operazione di pulizia etnica d’Israele nei confronti dei palestinesi nella striscia di Gaza il divario tra la narrazione della classe dominante ed i sentimenti d’una parte crescente della popolazione si è ulteriormente accentuato.

Cogliere il significato sociale di questo disagio è compito di una forza politica e non – almeno nell’immediato – di un movimento sindacale, tanto più che i lavoratori sono impoveriti ed hanno difficoltà a proiettare i loro interessi in un’ottica universale. Da questo punto di vista l’Italia può rappresentare un’anomalia tra i Paesi occidentali poiché è più largo e diffuso nelle masse il disagio verso le politiche militariste dell’occidente ed i media compiono un azione di censura ben più marcata, maldestra e ridicola di quanto, comunque, avviene negli altri paesi. Il tasso di frammentazione in cui si trovano i subalterni, tuttavia, rende difficile che un processo di questo tipo nasca su basi pienamente democratiche, l’opposizione di classe è frammentata tanto quanto lo sono le classi che intende rappresentare. E’ per questo motivo che mi aspetto una fase populista, dove le proposte di ricomposizione non saranno l’espressione di una sintesi efficace e completa delle contraddizioni che stiamo vivendo. Tanto meno mi aspetto la promozione di una forza autenticamente e coerentemente antimperialista – anche perché su questo tema molte sarebbero le differenze sull’interpretazione che andrebbero sviscerate – ma una forza che sappia coniugare una critica netta alle politiche belliciste, protezionistiche e razziste della classe dirigente italiana con un programma concreto e praticabile in difesa delle fasce popolari di fronte alla cieca ed arrogante rapina messa in atto da parte delle classi dirigenti. Tutto ciò avrebbe effetti salutari anche all’interno del movimento dei lavoratori ed, indirettamente, sul terreno sindacale.



12/11/2023 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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L'Autore

Francesco Cori

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La città futura

“Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.”

Antonio Gramsci

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